Alone in the Dark - Recensione
Pieces Interactive si fa carico del rilancio di una serie storica ma piagata, nel tempo, da capitoli deludenti
Assente da anni dalle scene, dopo i due ultimi dimenticabili capitoli del 2008 e del 2015, Alone in the Dark tenta la ribalta con un reboot che porta il titolo della serie senza alcuna aggiunta: niente numeri, nessun sottotitolo, solo Alone in the Dark - a rimarcare la volontà di ricominciare da zero. Seguendo dunque le orme di Resident Evil e, forse, di Silent Hill (vedremo se il remake del secondo capitolo a cura di Bloober Team condurrà da qualche parte), lo studio di sviluppo svedese Pieces Interactive ci porta a Villa Derceto nei panni degli intramontabili Edward Carnby ed Emily Hartwood. Assieme, i due dovranno fare luce sulla strana scomparsa dello zio di lei, Jeremy Hartwood, e sugli antichi segreti della villa.
A doppiare i personaggi troviamo voci d'eccezione: David Harbour (I segreti di Brokeback Mountain, Stranger Things) e Jodie Comer (The Last Duel) interpretano i protagonisti del gioco, con un risultato calzante soprattutto per quanto riguarda Edward Carnby. Nel complesso, Alone in the Dark è un gioco discreto, che rielabora bene l'originale del 1992 in termini narrativi ma patisce un po' troppo la presenza di bug più o meno fastidiosi; c'è ancora strada da fare, come vedremo, però le basi gettate sono buone.
Bentornati a Villa Derceto
Partendo dalla componente narrativa, Alone in the Dark si allontana in modo piuttosto netto dall'omonimo di trentadue anni fa, ma senza stravolgere storia e personaggi al punto da renderli irriconoscibili: lo avrete forse notato nell'introduzione di questa recensione che, per quanto riguarda Jeremy Hartwood, ho parlato di scomparsa e non di morte. Questa è la prima, tangibile differenza con il gioco originale, assieme al fatto che Emily ed Edward sono legati da un rapporto di committenza: ha infatti assunto lei il detective, sempre per quei famosi 150 dollari, dopo aver ricevuto una lettera dallo zio che le imponeva di non avvicinarsi a Villa Derceto.
Preoccupata per la sua salute, poiché la villa è stata riconvertita in una sorta di casa di cura, Emily contatta Carnby chiedendogli di accompagnarla per verificare che tutto sia in ordine salvo scoprire, una volta lì, che dello zio non c'è traccia. Il personale di Derceto assicura che stanno facendo il possibile per rintracciarlo, ma in loro c'è qualcosa di sospetto che spinge i due a volerci vedere chiaro.
Prima ancora di entrare nella villa, dovremo scegliere con quale personaggio proseguire l'avventura: la decisione porta a due linee narrative molto diverse tra loro, sebbene poi si arrivi allo stesso finale se si gioca linearmente, e di questo si deve rendere atto. Optando per Carnby, la storia sarà un po' più complessa da capire perché i personaggi reagiranno in modo tendenzialmente ostile, o indifferente, nei suoi confronti a eccezione di un paio - che, in ogni caso, non saranno mai diretti nelle loro esternazioni. Essere un estraneo e, in particolare, un detective non gioca a suo favore, ed entrare in contatto con l'oscurità e la follia che avvolgono Derceto lo lascia comprensibilmente confuso su cosa stia accadendo.
Emily, al contrario, è consapevole della follia che scorre lungo il proprio albero genealogico e ha colpito chiunque nella sua famiglia. Perciò, a differenza di Carnby, crede con più facilità alle manifestazioni sovrannaturali che arriveranno a circondarla, e le sue stesse interazioni con gli altri personaggi saranno più dirette in virtù della sua parentela con Jeremy. Mentre col detective ci si muove un po' sul filo del rasoio in termini di chiarezza e comprensione, l'avventura con Emily risulterà più chiara nell'immediato: a ogni modo, servirà giocare nei panni di entrambi per avere una visione d'insieme della trama e di loro come personaggi. I percorsi si incroceranno ma sempre a livello superficiale, poiché scegliendo un personaggio, l'altro protagonista porterà avanti le indagini in modo più canonico e senza essere coinvolto in bizzarri fenomeni. L'idea della doppia linea narrativa, dunque, funziona in termini di racconto in sé, portando a interazioni e filmati inediti che solo nel finale convergeranno fino a essere molto simili. Se incapperete nella conclusione canonica, perché a quanto pare ce n'è più di una ottenibile, ma di questo parlerò meglio affrontando la questione gameplay.
Alone in the Dark offre un valido cast di personaggi, sebbene non particolarmente approfonditi, ciascuno con il suo ruolo all'interno di Derceto e un diverso approccio ai protagonisti. Ho anche apprezzato che la storia sia a mano a mano riassunta da un voce esterna, che possiamo ascoltare o leggere aprendo il menu obiettivi ogni volta che appare l'icona di un foglio sullo schermo, e dia la sensazione di star scrivendo gli avvenimenti sul momento; nello specifico, è bello notare come i toni e le parole usate cambino a seconda che si stia giocando nei panni di Carnby oppure di Emily. Dimostra la cura posta a livello narrativo, che rende piacevole la necessità di sperimentare il gioco due volte (almeno) per via del diversi approcci adottati.
Dal punto di vista delle minacce che incombono su Derceto, non mi spingerò nei dettagli ma, di nuovo, ho apprezzato la rielaborazione del cosiddetto Dark Man, che qui affonda le sue radici in un contesto diverso da quello originale e il cui stesso ruolo viene modificato. Ben si sposa con la supposta follia che scorre nelle vene degli Hartwood, sebbene per capirne meglio la natura si debbano trovare e leggere molti documenti distribuiti nel gioco. Insomma, se questa è la strada che narrativamente si vuole percorrere per una possibile rinascita della serie, siamo già a buon punto. Considerato poi che tutto si svolte all'interno di Villa Derceto, non era nemmeno facile diversificare l'approccio e l'esperienza, perciò il fatto che Pieces Interactive ne sia stato in grado fa molto ben sperare per un eventuale futuro.
Usare le armi ma anche la testa
Duole un po' di più riconoscere che, dal punto di vista del gameplay, non ci sono quasi differenze tra i due personaggi: eccezion fatta per uno specifico momento che riguarderà il loro personale passato, dunque per forza diverso, tutto il resto compresi gli enigmi sono identici. Possibile che Derceto in sé sia il vero limite in termini di diversificazione, ma non nego che avrei preferito vedere qualche piccola differenza in più, cambiamenti magari in relazione alle indagini del nostro partner all'interno della villa. Dopo averlo giocato la prima volta, invece, il senso della novità e della scoperta si limita al passato dei personaggi, che seppur lodevole (soprattutto nel caso di Emily, apre un'area interamente nuova nel presente) ha lasciato un leggero amaro in bocca per non aver voluto, o potuto osare di più.
Sia Edward sia Emily arriveranno ad avere le stesse armi, trovate negli stessi luoghi e con le stesse tempistiche, affronteranno i medesimi enigmi le cui soluzioni saranno identiche, e anche in termini di documenti raccolti ci saranno pochissime differenze. Giocata la prima partita, dunque, la seconda risulterà molto più veloce perché ludicamente invariata tranne il punto già menzionato: a fare vera differenza sarà la parte narrativa. Torno a ribadire che la causa è con molta probabilità la limitatezza posta dai confini di Villa Derceto, che pur avendo il suo lodevole numero di segreti rimane una singola ambientazione all'interno della quale introdurre due diversi personaggi giocabili. Certo, ci sono luoghi extra per quanto riguarda il lato prettamente sovrannaturale del gioco, ma sono tutti legati a doppio filo alla trama e, quindi, non possono cambiare nella resa, né nel modo in cui i personaggi vi giungono.
Tolto poi il fattore esplorazione, che vi ruberà la maggior parte del tempo, il gioco conta cinque capitoli in totale, l'ultimo dei quali prevede solo lo scontro finale quindi potremmo anche toglierlo dall'equazione. Non c'è molto margine per variare l'esperienza e, in ogni caso, viene fatto solo per quanto riguarda il passato dei personaggi - probabilmente introdotto anche per questo motivo. Poter offrire un po' di varietà in un contesto dove, per durata e una serie molto contenuta di ambientazioni, c'era poco spazio su cui fare leva.
Per quanto riguarda gli enigmi, invece, è stato fatto un buon lavoro. Si passa da quelli più semplici ad altri un po' articolati e per i quali si devono consultare indizi contestuali oppure scritti nei documenti raccolti, per un risultato finale complessivamente equilibrato e vario. Se preferite un'esperienza più "vecchia scuola", inoltre, potete impostarla nel menu prima di cominciare la partita e il gioco vi offrirà giusto il minimo indispensabile; allo stesso modo, se siete contenti di ricevere una mano in più vi basterà giocare un po' con le impostazioni. Ce n'è per tutti e, avendole provate entrambe, posso dire che la differenza è sensibile e si adatta bene a entrambe le esigenze. Da notare che questi cambi si possono fare poi in qualsiasi momento durante il gioco, senza dover necessariamente ricominciare una nuova partita.
Passando al design delle creature, questo è un po' il punto debole dell'esperienza. Colpivano di più nei concept rispetto alla resa finale in gioco, che li fa sembrare molto standardizzati in termini di aspetto e varietà. A livello ludico non sono elaborati, attaccano bene o male allo stesso modo, sono più o meno resistenti in base al tipo e non rappresentano mai una vera minaccia a patto di non farsi attaccare da più di loro in una volta: in quel caso, complici a volte alcuni bug, si può facilmente rischiare di morire. Il loro vero punto di forza è che sono silenziosi e spesso ben mimetizzati, il che porta a qualche sobbalzo involontario senza scadere nel ripetitivo jump scare. Sono ben distribuiti rispetto alle munizioni disponibili, ma possono anche essere eliminati con armi contundenti, la cui resistenza è variabile ma prima o poi finiscono con lo spezzarsi tutte, o con quelle che si possono definire "armi di opportunità": mattoni, bottiglie vuote o addirittura vere e proprie molotov da raccogliere sul momento e lanciare sia prendendo bene la mira, sia d'istinto.
Un elemento apprezzabile, se non fosse per il fatto che questi tre diversi oggetti sono caratterizzati tutti dalla stessa icona, ovvero quella della molotov: l'ho trovata un'ingenuità non da poco poiché molto fuorviante, soprattutto nel caso di una situazione concitata. Doversi ogni volta accertare di cosa stiamo raccogliendo prima di farlo rende l'approccio a questo tipo di combattimento a tratti frustrante, perché è una perdita di tempo che non sempre possiamo concederci. Per quanto spesso un colpo di doppietta valga più di un mattone o anche una molotov ben piazzati, ciò non esime il gioco dal dover garantire all'utente la maggior chiarezza possibile: già mettere un'icona generica, dunque non riferita a nessuno dei tre oggetti, sarebbe stato criticabile sempre per mancata differenziazione, ma metterne una che indica la molotov anche quando non lo è, rende il tutto molto discutibile.
Da ultimo, non certo per importanza, abbiamo i Lagniappe: si tratta dei collezionabili del gioco, quarantacinque in totale divisi in quindici set da tre, che nella maggior parte dei casi ampliano la mitologia. Ce ne sono tuttavia alcuni che hanno un impatto diretto sul gioco in termini di meccaniche, se così vogliamo dire, e soprattutto di finali: sarà infatti grazie ad alcuni di questi set che potremo raggiungere conclusioni diverse per Edward ed Emily. La decisione in sé di unire esplorazione e narrativa in questo modo è molto valida, peccato che la resa sia molto lontana dall'essere non dico perfetta, ma proprio passabile, il che mi porta alla vera nota dolente e vero limite di Alone in the Dark: la fastidiosa quantità di bug.
Un'esperienza che meritava più cura
Alone in the Dark è, senza mezzi termini, un gioco sporco. Non mi riferisco ai modelli dei personaggi, un po' grezzi ma passabili anche perché ben distinti tra loro, né a Villa Derceto in sé e alle altre ambientazioni a essa collegate, quanto proprio al numero di bug e glitch in cui si incappa durante le partite. L'esperienza immacolata non esiste, su questo penso siamo tutti d'accordo, tuttavia c'è differenza tra l'avere piccoli bug qui e lì ed esserne bene o male costellati tanto da, a volte, costringere a ricaricare il gioco.
Li ho sperimentati soprattutto con Edward, sebbene non siano mancati anche con Emily. Si passa da quelli più comuni, come piccoli glitch nei filmati cui si fa caso solamente se si presta molta attenzione, o nemici che si incastrano da qualche parte, a occasionali freeze del gioco o sparizione dell'interfaccia con tutto ciò che ne consegue: non potendo più interagire con nulla, occorre per forza caricare il salvataggio automatico se non se ne ha uno immediatamente prossimo al punto in cui siamo rimasti bloccati. Nelle mie quattro partite, due con Edward e due con Emily a diverse difficoltà, ho avuto il problema quasi esclusivamente con lui in diversi capitoli, persino negli stessi luoghi e/o momenti. Finché capita una volta, come scritto sopra, OK, ma quando diventa sistematico e si aggiunge ad altri bug, è piuttosto fastidioso.
Non è però finita qui, perché al conteggio posso aggiungere la comparsa, solo alla terza partita, di una barra della salute legata a un boss, e che fino a quel momento non si era mai vista (parlando con un collega che lo stava recensendo ho invece scoperto che a lui è sempre stata visibile). A ogni nuova partita sembra sempre di trovare qualcosa di nuovo, tanto da non capire fino a che punto si sia spinto il controllo del gioco, data la tendenza a ripetersi.
La cosa peggiore, tuttavia, è legata ai Lagniappe. Il gioco ti avvisa, fin dalla prima volta, che tutti i collezionabili raccolti restano salvati tra le varie partite, anche perché altrimenti non è possibile completare certe collezioni. All'atto pratico, anche questo aspetto è del tutto casuale e vittima dei bug: dopo la prima partita con Edward, la seconda con Emily ha mantenuto solo parte dei collezionabili. Arrivata all'ultimo capitolo con lei, ho aperto il menu per controllare come fossi messa e li ho scoperti tutti eliminati. Persino i suoi. Va da sé che, ricominciando una terza partita, il gioco abbia considerato come persi tutti i collezionabili. Li ho raccolti di nuovo, ho finito la terza partita, ricominciato una quarta e, ancora, mi sono ritrovata senza collezionabili. Una situazione che non riesco a capire e va anche a minare la possibilità di ottenere i finali extra, che peraltro non è nemmeno chiaro quando dovrebbero occorrere.
Sempre durante la terza partita sono riuscita a completare il set di Edward e sbloccare la missione dedicata al finale: mi veniva chiesto di offrire uno specifico artefatto all'albero nella serra, il che significava andare lì e interagire, il resto lo avrebbe fatto il gioco. Il seguito della missione indicava di aspettare, che a un certo punto sarei stata chiamata e non avrei dovuto ignorare. Questa cosa non è mai successa, tutto è continuato come doveva fino alla fine e ho ottenuto di nuovo volta la stessa conclusione, salvo poi trovarmi cancellati tutti i collezionabili nella quarta partita.
In un'altra occasione, con Emily, mi si è sbloccata la missione pur senza che trovassi l'ultimo oggetto per il set - quello che, di fatto, avrei poi dovuto usare per portarla avanti. Tutt'ora non ho idea di cosa debba fare per sbloccare quei finali e poiché i Lagniappe continuano a non essere mantenuti da una partita all'altra, ho pochi dubbi in merito al fatto che sia l'ennesimo bug. A questo giro, però, piuttosto invalidante perché non solo mi obbliga a trovare in continuazione gli stessi oggetti ma mi taglia ogni volta fuori da conclusioni che avrei voluto vedere e giudicare.
Verdetto
Alone in the Dark è un gioco che avrebbe meritato di più se fosse stato maggiormente curato in termini di pulizia generale. Si può arrivare senza grossi problemi fino alla fine con tutti e due i personaggi ma nel mezzo, soprattutto giocando con Edward Carnby, si incappa in bug e glitch che si sarebbero potuti evitare - questo senza considerare la questione dei finali e dei collezionabili che si resettano a caso. A livello di gameplay è buono, ma paga la ripetitività dovuta a un'unica ambientazione, mentre per quanto riguarda la narrativa non c'è pressoché nulla da criticare: le atmosfere sono al loro posto, la rielaborazione di fatti e personaggi è valida, più chiara ed elaborata giocando con Emily che con Edward, e nonostante verso la fine si scolli un po' rimane ben costruita soprattutto nella differenziazione tra i protagonisti. Ci sono filmati dedicati e dialoghi sempre diversi, a riprova della cura infusa in questo aspetto; se fosse stato così anche e soprattutto in termini di pulizia, il gioco avrebbe potuto ambire a una valutazione più alta.