Cassetta per la manovra a mano di un deviatoio
La cassetta per la manovra a mano di un deviatoio, nella regolamentazione tecnica delle ferrovie italiane, è un dispositivo per la manovra a mano di un deviatoio[1]. Nel gergo tecnico dei ferrovieri italiani è frequente, specialmente nel nord d'Italia, in sua vece l'uso del termine gergale macaco (nel Lazio il termine gergale più diffuso è caciotta, forse usato dapprima per il contrappeso e poi esteso all'intero dispositivo; nella Sicilia orientale è diffuso il termine mazza), probabilmente derivato dalla ragione sociale McCann & Co. (secondo altri McCahn & Co.) di una delle prime fabbriche che nell'Ottocento fornirono questi apparati alle società ferroviarie italiane del tempo[1].
Componente essenziale per questo tipo di apparecchi di deviazione, tramite le leve connesse al telaio degli aghi ne comanda il cambio di posizione, definendo quindi la direzione della marcia dei treni e delle manovre [2].
Descrizione
modificaLa cassetta di manovra è costituita da una leva di primo genere collegata al telaio degli aghi tramite un tirante. L'estremità libera della leva termina in un contrappeso con impugnatura. Tramite un raccordo a manovella essa può essere portata in due posizioni di riposo, l'una opposta all'altra, corrispondenti alle due disposizioni del telaio degli aghi e, quindi, agli itinerari di corretto tracciato e di inserimento sul ramo deviato dei veicoli che impegnano il deviatoio[3].
La manovra viene eseguita dal ferroviere (denominato "deviatore") sfruttando la propria forza muscolare. Una volta ruotato il braccio della leva e assicuratosi che gli aghi siano nella posizione prevista per il transito dei veicoli, il ferroviere resta a sorvegliare che le vibrazioni impresse al deviatoio dal transito non spostino gli aghi (ossia che il deviatoio sia "bloccato" nella posizione desiderata). Per garantire il bloccamento la cassetta è dotata di fori nei quali viene inserita un'asticciola che impedisce al tirante di manovra di spostarsi. A questo accorgimento si aggiunge il fermadeviatoio, una serratura che blocca il telaio degli aghi dopo la manovra, la cui chiave viene consegnata, prima delle operazioni di manovra descritte, dal capostazione o da un altro ferroviere di pari funzione al manovratore. Questi, terminate le operazioni di sua competenza, la restutisce al capostazione o al suo incaricato[4].
Limitazioni
modificaFin dall'Ottocento la crescente complessità degli impianti ferroviari col conseguente aumento del numero dei deviatoi e, pertanto, dei ferrovieri incaricati del loro azionamento pose il problema, per garantire l'efficienza del servizio[5]e la sicurezza del personale[6], di raggruppare i dispositivi di azionamento in uno o più punti dell'impianto[7][8].
Per far ciò si dovette affrontare il problema del comando a distanza dei deviatoi, che si risolse dapprima tramite trasmissioni meccaniche (con barre o con cavi condotti da pulegge). Tuttavia, l'impossibilità di azionare deviatoi collocati, in media, a un centinaio di metri dal posto di comando[9] spinse a studiare sistemi di azionamento a distanza basati su motori idraulici (azionamenti a fluido, come l'Apparato Centrale Idrodinamico ideato da Riccardo Bianchi) e poi elettrici (azionamenti elettromeccanici)[10][11]
Conseguentemente il numero dei deviatoi azionati a mano andò via via diminuendo, compatibilmente con la disponibiltà delle risorse finanziarie necessarie per la sostituzione con gli azionamenti a fluido o elettromeccanici[12][13].
Nelle reti ferroviarie dell'Italia e dei Paesi più sviluppati all'inizio del XXI secolo rimangono con azionamento manuale soltanto i deviatoi che devono essere impegnati a bassissima velocità, come quelli degli impianti di manutenzione dei rotabili (in cui la circolazione si svolge "a vista" e il macchinista riceve i comandi dai manovratori a terra) o dei raccordi industriali (in cui il macchinista assolve anche i compiti del deviatore)[14]
Note
modifica- ^ a b Guida, Milizia, p. 58.
- ^ Roberto Roberti, Lezione 05. Geometria dell'asse ferroviario. A.a. 2017-2018, pagina 69.
- ^ Mayer, p. 223.
- ^ Mayer, pp. 223-224.
- ^ Nelle stazioni anche solo di medie dimensioni il numero dei deviatoi portava quello delle chiavi a molte decine, custodite nel locale della dirigenza movimento, con le immaginabili complicazioni che ne derivavano specialmente in caso di manovre contemporanee. Cf Cesari, Rizzo, Lucchetti, pp. 271-274.
- ^ Nel 1982 il direttore del Servizio Movimento delle Ferrovie dello Stato italiane scrisse che: "Il sistema della manovra a mano dei deviatoi, specialmente nelle stazioni medie e grandi, è lento ed insicuro. È lento perché le operazioni di giro degli scambi richiedono tempi relativamente lunghi, perfino nell'ordine dei 10' [ minuti primi ]. È insicuro perché il controllo della giusta disposizione dell'itinerario è interamente affidato all'uomo" Piciocchi, p. 81.
- ^ Per una presentazione dello stato dell’arte all’inizio del XX secolo scritta dal direttore dell'Ufficio Apparati Centrali e Segnalamento della Rete Mediterranea, nel quale aveva lavorato anche Riccardo Bianchi, si veda Giuseppe Boschetti, Centralizzazione della manovra degli scambi e segnali, in Costruzione ed esercizio delle strade ferrate e delle tramvie, direttore dell'opera Stanislao Fadda, volume ii, parte II, capitolo X, Torino, UTET, 1905, pp. 1-99 e 45 tavole.
- ^ Piciocchi, p. 71.
- ^ Leonardo Loria, docente di Ferrovie nel Politecnico di Milano e primo presidente del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, scrive che le trasmissioni di comando dei deviatoi, prevalentemente del tipo rigido ossia con barre di comando metalliche, permettevano di manovrarli a distanze non maggiori di trecento metri dal posto di comando: Leonardo Loria, Le strade ferrate, vol. I, Milano, Hoepli, 1890, pp. 502-504, in particolare p. 503.
- ^ Mayer, pp. 733-741.
- ^ Cesari, Rizzo, Lucchetti, pp. 143-144.
- ^ Nel 1982 il direttore del Servizio Movimento delle Ferrovie dello Stato italiane lamentava che in "molte stazioni della rete", anche medie e grandi, i deviatoi erano ancora manovrati a mano sul posto. Cf Piciocchi, p. 80.
- ^ Focacci, Taramasso, pp. 32-35.
- ^ Mayer, pp. 743-745.
Bibliografia
modifica- Carlo Focacci e Emilio Taramasso, L’infrastruttura ferroviaria. La gestione dei lavori, Roma, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 1982.
- Antonio Piciocchi, Impianti ferroviari e loro funzioni, Roma, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 1982.
- Lucio Mayer, Impianti ferroviari, nuova edizione a cura di Pier Luigi Guida e Eugenio Milizia, Roma, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 2003, ISBN 978-88-95634-05-0.
- Pier Luigi Guida e Eugenio Milizia, Dizionario ferroviario. Movimento, Circolazione, Impianti di Segnalamento e Sicurezza, 2ª ed., Roma, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 2006.
- Filippo Cesari, Vito Rizzo, Settimio Lucchetti, Elementi generali dell’esercizio ferroviario. Tradizione, evoluzione, sviluppi, 2ª ed. a cura di Luca Franceschini, Antonio Garofalo, Renzo Marini, Vito Rizzo, Roma, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 2017, ISBN 978-88-95634-12-8.
Voci correlate
modificaAltri progetti
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