Porro, quirites, libertatem perdimus
La locuzione latina Porro, quirites, libertatem perdimus, tradotta letteralmente, significa ormai, o Romani, stiamo perdendo la libertà (Decimo Laberio, 106 - 43 a.C.).
La frase è riportata da Macrobio e attribuita a Laberio, cavaliere romano ed autore di satire. Sempre Macrobio[1] riporta che Laberio abbia messo questa frase in bocca ad un personaggio schiavo, per alludere alla perdita della libertà politica da parte dei Romani a causa della politica di Giulio Cesare, che in quel periodo stava assumendo poteri dittatoriali: “Porro, quirites, libertatem perdimus... Necesse est multos timeat quem multi timent” (Ormai, o quiriti, perdiamo la libertà! Però chi da molti è temuto deve per forza temere molti).
Cesare, che si era messo a favorire un nuovo mimografo, Publilio Siro, costrinse Laberio, di fatto, a salire sulla scena (cosa ritenuta indegna per un cittadino romano, per di più cavaliere). Cesare attribuì la vittoria a Publilio Siro, ma restituì a Laberio l'anello di cavaliere che aveva dovuto togliere per calcare le scene.[2][3]
«Unde Caesar adridens hoc modo pronuntiavit:'Favente tibi me victus es, Laberi, a Syro — statimque Publilio palmam et Laberio anulum aureum cum quingentis sestertiis dedit. Tunc Publilius ad Laberium recedentem ait :Quicum contendisti scriptor, hunc spectator subleva.' Publilii autem sententiae feruntur lepidae et ad communem usum accommodatissimae, ex quibus has fere memini singulis versibus circumscriptas : Beneficium dando accepit, qui digno dedit.' Feras non culpes, quod mutari non potest.'»
«Donde Cesare ridendo disse: con il mio favore, o Laberio, sei stato vinto da Siro, e subito a Siro attribuì la palma della vittoria e a Laberio l'anello d'oro con cinquecento sesterzi. Allora Publilio Laberio che si allontanava disse: come autore gareggiasti, come spettatore applaudimi. Di Publilio si ricordano alcune sentenze molto sagaci e di uso comune e che si riportano con questi versi: Chi ha concesso un favore ad un uomo degno, nel concederlo lo ha ricevuto; sopportare non accusa ciò che non si può cambiare quello che è»
Note
modifica- ^ II 7, 4.
- ^ Treccani
- ^ Archive.org (TXT).