Il putridarium (plurale: putridaria), anche detto "colatoio dei morti"[2], è un ambiente funerario "provvisorio", in genere sotterraneo (tipicamente, una cripta sotto il pavimento delle chiese), in cui i cadaveri dei frati (o delle monache) defunti venivano collocati entro nicchie lungo le pareti, seduti su appositi sedili-colatoio in muratura (cantarelle), ciascuno munito di un ampio foro centrale e di un vaso sottostante per il deflusso e la raccolta dei liquidi cadaverici e dei resti in via di decomposizione. Il putridarium veniva poi sigillato con una o più porte di massiccio metallo, per evitare che i miasmi si diffondessero. Una volta terminato il processo di putrefazione dei corpi, le ossa venivano raccolte, lavate e trasferite nella sepoltura definitiva dell'ossario. In alcuni casi sono presenti delle mensole su cui venivano esposti i crani dei defunti.

I sedili in pietra del putridarium del cosiddetto Cimitero delle Clarisse, presso il Castello Aragonese (Ischia).

Nel putridarium, il continuo modificarsi dell'aspetto esteriore del cadavere, che cedendo progressivamente le carni in disfacimento (l'elemento contaminante) si avvicinava sempre più alla completa liberazione delle ossa (simbolo della purezza), intendeva rappresentare visivamente i vari stadi di dolorosa "purificazione" affrontati dall'anima del defunto nel suo viaggio verso l'eternità, accompagnata dalle costanti preghiere di confratelli o consorelle.

Putridaria in Italia

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Ricollegabile per certi aspetti all'antica credenza della "doppia morte" e alla pratica della "doppia sepoltura",[3] in Italia l'usanza dei putridaria si diffuse principalmente nel meridione (sostanzialmente nel territorio del Regno delle Due Sicilie), dove questi luoghi sono noti anche con il termine generico di "camere di mummificazione" o, più nello specifico, come "colatoi a seduta" (per distinguerli dai colatoi orizzontali) e, soprattutto nel napoletano, con il nome di "cantarelle". Ne esistono tuttavia esempi anche in altre regioni.[4]

La pratica religiosa cominciò ad essere osteggiata dalle autorità cattoliche ufficiali dopo il Concilio di Trento (1563).[10] Tuttavia, ancora nel Settecento e Ottocento, mentre l'inumazione andava sempre più diffondendosi tra le classi povere, per le élite privilegiate laiche ed ecclesiastiche rimasero in uso, accanto alla mummificazione, i colatoi per la decomposizione e scheletrizzazione dei cadaveri. Essi scomparvero solo all'inizio del XX secolo, in seguito a una più rigorosa applicazione delle norme igieniche e sanitarie.

  1. ^ "Relazione de' medici per l'abolizione delle Terresante di Napoli" del 20 dicembre 1779, in Archivio di Stato di Napoli, Supremo Magistrato e Soprintendenza Generale di Salute, Edificazione di camposanti, sepolture, traslocazioni di cadaveri ed espurghi di terresante, busta 286, cc. 2v-4r. Sull'argomento si può vedere anche Pierroberto Scaramella, Le Madonne del Purgatorio. Iconografia e religione in Campania tra Rinascimento e Controriforma, Genova, Marietti, 1991, pp. 293-294. ISBN 88-211-6813-1.
  2. ^ Colatoio dei morti, su Weboli - Sito del Turismo e Attività culturali della Città di Eboli. URL consultato il 22 aprile 2021.
  3. ^ Sull'argomento si possono vedere Fornaciari, Giuffra e Pezzini, op. cit., che citano il gesuita settecentesco Joseph-François Lafitau, Moeurs des sauvages amériquains comparées aux moeurs des premiers temps, Parigi, Saugrain - Hochereau, 1724, vol. 2º, p. 444 («Per la maggior parte dei popoli selvaggi i corpi morti non sono altro che un deposito messo temporaneamente dentro un sepolcro. Dopo un certo lasso di tempo vengono celebrati nuovi funerali attraverso i quali, con nuovi riti funebri, si estingue il debito dovuto ai defunti»), e la rappresentazione collettiva della morte del sociologo Robert Hertz ("Contribution a une étude sur la représentation collective de la mort", in L'Année sociologique, 1907, pp. 48-137).
  4. ^ Cfr. sull'argomento le riflessioni di Davide Gorni, "Torna alla luce un convento del '500", sul Corriere della Sera dell'8 dicembre 2000, p. 54.
  5. ^ Cripta della chiesa dei Santi Eusebio e Antonio, su bioarcheo.it.
  6. ^ Cfr. Giovanna Buda, "Giarre una piazza restituita", I lavori di restauro del Camposanto Vecchio, Regione siciliana - Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione - Dipartimento dei Beni Culturali, Ambientali ed Educazione Permanente - Palermo 2007
  7. ^ [1]
  8. ^ [2]
  9. ^ [3]
  10. ^ Cfr. la già citata "Contribution..." di Robert Hertz, che individua nel purgatorio cattolico la successiva elaborazione (e mediazione) storica del concetto popolare di "doppia sepoltura".

Bibliografia

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