La tipografia abbandonata
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a Carlo Mariotti ché gli voglio bene
Quale mano pietosa,
quale mano operosa,
lo spiraglio breve oprì?
Non lo so. Entrò il sole:
una festa di pulviscoli
d'oro, e i caratteri morti,
che composero parole
e che fecero piangere
i deboli ed i forti,
e che fecero ridere
tante bocche di rosa,
i caratteri tutti illuminò
de la sua luce meravigliosa.
Le lettere fremettero
alla improvvisa gioia,
e nel silenzio della lunga camera
ove i placidi ragni,
artefici sottili di sottili
trame, ogni dì morivano di noia;
ove era nata,
su tanti oggetti umili,
polvere immensa, come se il suggello
suo ci volesse all'opra abbandonata
da umani che fatica rese vili;
nel silenzio le lettere si unirono,
composero parole, versi, canti
interi, per quel sole tanto bello
e tanto buono, per quel sol che i pianti
d'una lunga tristezza, avea asciugato
col suo raggio divino
col suo raggio infuocato.
. . . . . . .
E le trame di seta infransero
e si sperse nell'aria la polvere...
O sole!
dicevano le parole,
i versi e i canti: O pio sole,
anche noi siamo amate da te.
Tu ci vieni a trovare
vieni ad illuminare
con la tue dolce luce
noi povere sorelle...
Oh quante volte, nelle
mani degli uomini vivi
abbiamo composta la morte!
E i pianti, e le angoscie, e il dolore
che infrange il cuore,
e le lagrime a rivi,
e il riso folle dei felici...
Noi, così fredde, abbiamo
composto più di un bacio appassionato;
così piccine abbiamo
più d'un immenso amore rovinato
quando ci dividevamo
poi che l'ultimo bacio era stampato...
. . . . . . .
Oh, ma tu fuggi, o sole!
Ritornerai domani?
O ci abbandoni come già gli umani
ci abbandonarono?...
Dicon le cose: è sera!
Dicon le stelle: è notte!
E solitaria e nera
tutta la stanza, a frotte
tornarono i ragni nelle tele loro,
torna a regnar la polvere
là dove un giorno vi regnò il lavoro.