Daitona, ovvero la dimostrazione che il futuro del cinema italiano è tutto nelle mani e nelle menti dei giovani. La nostra recensione
Con un aspetto che ricorda il Zach Galifianakis di Una notte da leoni ma con una comicità più vicina al Drugo de Il Grande Lebowski, Loris Daitona è uno scapestrato scrittore romano vittima del suo stesso successo, quello del romanzo giovanile d’esordio “Ti lovvo” che, divenuto un best-seller generazionale tradotto in quattro lingue, lo vincola alla scrittura dell’atteso sequel che però non arriva.
Il giovane ventiseienne (soprav)vive senza regole dribblando tra eccessi di ogni tipo, lavori saltuari e l’affitto non pagato ad un’anziana poetessa erotica fino a quando, dopo l’ennesimo risveglio col naso imbiancato, si ritrova in una camera da letto sconosciuta ignaro di ciò che è accaduto la sera precedente: una macchia di sangue sul casco del suo fido Ciao, un messaggio sul cellulare e un ignoto “Passero Rosso” da consegnare a luogo e ora prestabiliti sono gli unici indizi che catapultano Loris in una spirale di eventi più grandi di lui dove, tra scambi di persona ed equivoci, personaggi sinistri del calibro di teppisti schizzati e viscidi editori, gli unici obiettivi sono dipanare i misteri che sembrano averlo messo al centro del mondo e, possibilmente, uscirne vivo.
È con questa premessa che comincia Daitona, film d’esordio del giovane regista Lorenzo Giovenga, che qui firma anche la scrittura insieme alla sceneggiatrice e produttrice Valentina Signorelli, e che viene prodotto dalla Daitona S.r.l., società nata parallelamente al lungometraggio omonimo proprio dalle menti di questi giovani ragazzi conosciutisi tra i banchi dei corsi universitari. I toni sono quelli di una commedia che strizza l’occhio alla dark comedy, in cui la parte “nera” è tipicamente di stampo americano mentre la parte “commedia” affonda le sue radici nella tradizione italiana: rispecchiando l’immaginario e la cultura d’oltreoceano che li ha influenzati nella giovinezza degli anni ’90, questi giovani cineasti fondono le trame dei Fratelli Cohen e i dialoghi alla Tarantino con la romanità più totale, dalla comicità ai luoghi, dall’atmosfera ai simboli, ottenendo un’opera ibrida a tratti grottesca, a tratti surreale che però si distacca dai canoni a cui si ispira e trova la forza di vivere di luce propria.
Non vi sono strani o improbabili cliché di genere o stile quanto piuttosto una solida struttura narrativa con anche una discreta volontà “poetica” che trovano linfa vitale nell’immaginario del cinema americano, sia quello più mainstream che quello più indipendente ma comunque cult, di fine secolo scorso.
Il protagonista stesso, interpretato da Lorenzo Lazzarini anche lui qui al suo primo lungometraggio, è il perno centrale su cui si sorregge tutto il film perché è un personaggio solo all’apparenza macchiettistico ma invece pieno di sfaccettature e che soprattutto si fa facilmente adorare fin dalle prime inquadratura, catturando subito la simpatia dello spettatore: Lazzarini rende Daitona tridimensionale donandogli una fisicità possente ma un po’ impacciata e un’espressività a tratti caciarona che però, quando serve, riesce anche a mostrare la sua vera natura tagliente e acculturata.
Ma a funzionare bene sono anche tutti gli altri personaggi secondari, tra tutti la poetessa erotica interpretata dalla fantastica Lina Bernardi e il grottesco Pomilio portato in scena da Alessandro Grilli, che affollano tutto il mondo di Lorenzo senza però disorientare la narrazione poiché ognuno di loro ha il giusto spazio ed è presente in funzione della storia o, quantomeno, della veridicità di Daitona stesso.
Nemmeno il montaggio, che è spesso veloce e frenetico, è mai fine a se stesso ma definisce lo stile e il tiro del film molto più della fotografia, divenendo perfettamente funzionale nei numerosi stacchi musicali tra una scena e l’altra (alcuni addirittura della durata di pochissimi secondi) e riuscendo a togliere al film eventuali e rischiosi momenti “morti”. Il sonoro è allineato al montaggio e d’impatto con una colonna sonora azzeccata che completa questo piccolo gioiellino “spaghetti pulp” dove purtroppo però è la fotografia ad essere l’anello più debole, con inquadrature azzeccate e intervallate da angolazioni interessanti ma con una luce che in alcuni frangenti (soprattutto nella prima metà del film) si avvicina troppo paurosamente ai punti bassi della fiction all’italiana e con una color che, tendendo all’ocra, salva solo in parte l’aspetto fotografico.
Il ritmo del film è buono, con un inizio scoppiettante e uno sviluppo ritmato che non ha particolari cali o eccessive prevedibilità e che, evitando la tipica e insidiosa stasi di metà lungometraggio, giunge ad un finale funzionale e dai tratti inaspettatamente riflessivi e “poetici”.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare perché aggiunge credibilità al personaggio e interesse nello spettatore è l’universo espanso di Daitona, che riesce così a vivere anche al di fuori dello schermo con il libro “Ti lovvo” realmente esistente e auto-pubblicato e con un ricco videoblog su YouTube con protagonista lo stesso Lorenzo Lazzarini che permette di approfondire la storia di Loris sia prima che dopo gli eventi narrati nel film: anche questa una trovata più di stampo d’oltreoceano ma che non sfigura affatto traslitterata qui in Italia.
Daitona è un esperimento riuscito che non sfigura troppo nemmeno davanti a produzioni più grandi e blasonate ma che ha dell’incredibile se si pensa che è stato realizzato da una giovanissima produzione fatta di altrettanti giovani talenti e con un ultra-micro budget di “soli” 50 mila euro. E’ un piccolo gioiellino con un intreccio interessante e con una vivacità visiva e recitativa che però non stanca mai ma, anzi, assuefà al personaggio di Loris Daitona di cui, una volta usciti dalla sala, si vogliono vedere altre peripezie dove non è la trama a contare troppo quando il magnetismo del suo protagonista.
Vittorio