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Antonio Gramsci

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Antonio Gramsci

Antonio Gramsci (1891 – 1937), politico, filosofo e giornalista italiano.

Citazioni di Antonio Gramsci

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  • Anzitutto l'operaio deve negare recisamente qualsiasi solidarietà col giornale borghese. Egli dovrebbe ricordarsi sempre, sempre, sempre, che il giornale borghese (qualunque sia la sua tinta) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi. Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un'idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice. E difatti, dalla prima all'ultima riga, il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione. [...] E non parliamo di tutti i fatti che il giornale borghese o tace, o travisa, o falsifica, per ingannare, illudere, e mantenere nell'ignoranza il pubblico dei lavoratori.[1]
  • Carlo Marx è per noi maestro di vita spirituale e morale, non pastore armato di vincastro. È lo stimolatore delle pigrizie mentali, è il risvegliatore delle energie buone che dormicchiano e devono destarsi per la buona battaglia. È un esempio di lavoro intenso e tenace per raggiungere la chiara onestà delle idee, la solida cultura necessaria per non parlare a vuoto, di astrattezze.[2]
  • Chi ha fede, chi solo alla realtà attinge l'energia necessaria per combattere le lotte sociali deve rimanere sul terreno della violenza contro la violenza e non subirà umiliazioni.[3]
  • Cinquant'anni di vita unitaria sono stati in gran parte dedicati dai nostri uomini politici a creare l'apparenza di una uniformità italiana: le regioni avrebbero dovuto sparire nella nazione, i dialetti nella lingua letteraria. La Sicilia è la regione che ha più attivamente resistito a questa manomissione della storia e della libertà. La Sicilia ha dimostrato in numerose occasioni di vivere una vita a carattere nazionale proprio, più che regionale.[4]
  • Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria.[5]
  • Fino all'avvento della Sinistra al potere, Lo stato italiano ha dato il suffragio solo alla classe proprietaria, è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di «briganti».[6]
  • Ebbene, anche per la pace la posizione dei cattolici è in antitesi stridente con la nostra [i socialisti]. Aspettano la redenzione dalla grazia, essi, invocano la buona volontà dei santi, quando sarebbe più opportuno fare appello a quella degli uomini. Per essi vale solo l'autorità, la rivelazione, la parola di Dio, poiché pongono la scaturigine dei fatti umani fuori dell'uomo, in una volontà suprema che tutto abbraccia e tutto giudica, e spartisce il torto o la ragione al lume di una semitica concezione del bene e del male che può valere per gli schiavi, non per gli uomini. Noi non aspettiamo nulla da altri che da noi stessi; la nostra coscienza di uomini liberi ci impone un dovere, e la nostra forza organizzata lo attua. Solo ciò che è opera, conquista nostra, ha valore per noi, diventa parte di noi stessi, non ciò che viene elargito da un potere superiore, sia esso lo Stato borghese, o sia la Madonna della Consolata. Non è quindi solo la ripugnanza per il rito, per l'esteriorità, per il simbolismo ormai vuoto di ogni contenuto di fede che, a malgrado gli sforzi dialettici di qualche abile casuista, ci tiene lontani dal cattolicismo. È l'antitesi insanabile delle idee.[7]
  • Fino a quando sussiste il regime borghese, col monopolio della stampa in mano al capitalismo e quindi con la possibilità per il governo e per i partiti borghesi di impostare le quistioni politiche a seconda dei loro interessi, presentati come interessi generali, fino a quando sarà soppressa e limitata la libertà di associazione e di riunione della classe operaia o potranno essere diffuse impunemente le menzogne più impudenti contro il comunismo, è inevitabile che le classi lavoratrici rimangano disgregate, cioè abbiano parecchie volontà.[8]
  • Il fascismo ha trasformato il nostro popolo, gli ha dato una tempra più robusta, una moralità più sana, una resistenza al male che prima era ignorata, una profondità di sentimenti che non era mai esistita.[9]
  • Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l'Unità puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale.[10]
  • [Il cosiddetto «mistero di Napoli» nell'analisi di Gramsci] Il Goethe aveva ragione nel demolire la leggenda del «lazzaronismo » organico dei napoletani e nel rilevare invece che essi sono molto attivi e industriosi. Ma la quistione consiste nel vedere quale sia il risultato effettivo di questa industriosità: essa non è produttiva e non è rivolta a soddisfare i bisogni e le esigenze di classi produttive. Napoli è la città dove la maggior parte dei proprietari terrieri del Mezzogiorno (nobili e no) spendono la rendita agraria. Intorno a qualche decina di migliaia di queste famiglie di proprietari, di maggiore o minore importanza economica, con le loro corti di servi e di lacchè immediati, si organizza la vita pratica di una parte imponente della città, con le sue industrie artigianesche, coi suoi mestieri ambulanti, con lo sminuzzamento inaudito dell'offerta immediata di merci e servizi agli sfaccendati che circolano nelle strade. Un'altra parte importante della città si organizza intorno al transito e al commercio all'ingrosso. L'industria «produttiva», nel senso che crea e accumula nuovi beni, è relativamente piccola, nonostante che nelle statistiche ufficiali Napoli sia annoverata come la quarta città industriale dell'Italia, dopo Milano, Torino e Genova. Questa struttura economico-sociale di Napoli spiega molta parte della storia di Napoli, città cosi piena di apparenti contraddizioni e di spinosi problemi politici. Il fatto di Napoli si ripete in grande per Palermo e Roma e per tutta una serie numerosa (le famose «cento città») di città non solo dell'Italia meridionale e delle isole, ma dell'Italia centrale e anche di quella settentrionale (Bologna, in buona parte, Parma, Ferrara, ecc). Si può ripetere per molta popolazione di tal genere di città il proverbio popolare: quando un cavallo caca cento passeri fanno il loro desinare.[11]
  • Il Vaticano rappresenta la più grande forza reazionaria esistente in Italia. Per la Chiesa, sono dispotici i governi che intaccano i suoi privilegi e provvidenziali quelli che, come il fascismo, li accrescono.[12]
  • In principio era il verbo...[13] No, in principio era il sesso.[14]
  • Io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna. […] Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. […] Torna agli studi e vi troverai tutti i beni possibili.[15]
  • Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.[16]
  • L'acqua è acqua pura e libera quando scorre fra le due rive di un ruscello o di un fiume, non quando è sparsa caoticamente sul suolo, o rarefatta si libra nell'atmosfera. Chi non segue una disciplina politica è appunto materia allo stato gassoso, o materia bruttata da elementi estranei: pertanto inutile e dannosa. La disciplina politica fa precipitare queste lordure, e dà allo spirito il suo metallo migliore, alla vita uno scopo, senza del quale la vita non varrebbe la pena di essere vissuta.[17]
  • L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva; la storia insegna, ma non ha scolari.[18]
  • L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.[19]
  • L'Italia è diventata un mercato di sfruttamento coloniale, una sfera d'influenza, un dominion, una terra di capitolazioni, tutto fuorché uno Stato indipendente e sovrano. Ciò ha prodotto la politica forsennata della classe dirigente italiana, queste sono le magnifiche sorti progressive che sono state assicurate al popolo italiano dagli intrighi mercantili del capitalismo in caccia di maggiori profitti. Ebbene, il popolo italiano reagisce contro questa condizione di fatto; reagisce con l'azione della parte sua che non è compromessa nell'avventura della guerra, che non ha abdicato al suo diritto sovrano di essere qualcuno nella storia del mondo, che non vuole essere serva né di tedeschi, né di inglesi, e tanto meno serva della serva. Quanto più la classe dirigente ha precipitato in basso la nazione italiana, tanto più aspro sacrificio deve sostenere il proletariato per ricreare alla nazione una personalità storica indipendente; quanto piú la classe dirigente ha permesso che l'organismo economico-politico italiano fosse avvinto strettamente al carro imperiale britannico, tanto piú grande sforzo deve compiere il proletariato per divincolarsi, per riacquistare la libertà di movimento e di iniziativa nella storia.[20][21]
  • La cultura [...] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.[22]
  • La sfiducia reciproca, il sottinteso sleale corrodono nel nostro paese tutte le forme di rapporti: i rapporti tra singolo e singolo, i rapporti tra singolo e collettività. L'ipocrisia del carattere italiano è in dipendenza assoluta con la mancanza di libertà.[23]
  • La verità è che la Sicilia conserva una sua indipendenza spirituale, e questa si rivela piú spontanea e forte che mai nel teatro.[4]
  • Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l'incompiuto, l'immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza.[2]
  • Marx si pianta nella storia con la solida quadratura di un gigante.[2]
  • Marx significa ingresso dell'intelligenza nella storia dell'umanità, regno della consapevolezza.[2]
  • Nella coscienza delle masse, anche delle più arretrate, è scaduto il prestigio e la riverenza per le istituzioni, e queste, svuotate di ogni spirito, private di ogni moralità, sopravvivono solo come paurosi vampiri.[24]
  • Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.[25]
  • Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente.[26]
  • Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani»[27]. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. [...] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? [...] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.[28]
  • Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa dei cielo, sento che per me è capodanno.
    Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un'azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. [...] Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell'immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d'inventario dai nostri sciocchissimi antenati.[29]
  • Ogni movimento rivoluzionario è romantico, per definizione.[30]
  • [Ricordando Giulia, sposata nel 1923] Riandavo col pensiero a tutti i ricordi della nostra vita comune, dal primo giorno che ti ho visto a Sieriebriani Bor e che non osavo entrare nella stanza perché mi avevi intimidito (davvero, mi avevi intimidito e oggi sorrido ricordando questa impressione) al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile. [...] Ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido.[31]
  • Solo chi fortemente vuole identifica gli elementi necessari alla realizzazione della sua volontà.[32]
  • Solo un fascista, Aldo Palazzeschi, era contro la guerra. Egli ha rotto con il movimento e, quantunque fosse uno degli scrittori più interessanti, ha finito col tacere come letterato.[33]
  • Solo un futurista: Aldo Palazzeschi, era contro la guerra. Egli ha rotto con il movimento e, benché fosse uno degli scrittori più interessanti, finì col tacere come letterato.[34]
  • Tutti gli uomini sono intellettuali, [...] ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti).[35]
  • [Al giudice, che prima della condanna a 20 anni e 4 mesi di carcere gli aveva chiesto che cosa avrebbero fatto i comunisti se l'Italia fosse entrata in guerra] Voi fascisti porterete l'Italia alla rovina, e a noi comunisti spetterà salvarla![36]
  • Vorrei avere questi libri: 1° la Grammatica tedesca che era nello scaffale accanto all'ingresso; 2° il Breviario di linguistica di Bertoni e Bartoli che era nell'armadio di fronte al letto; 3° gratissimo le sarei se mi inviasse una Divina Commedia di pochi soldi, perché il mio testo lo avevo imprestato.[37]

Attribuite

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  • Oh! Saper essere come l'operaio che sente una sua precisa direttiva di azione e di pensiero, ed è filosofo senza saperlo, come il borghese gentiluomo era prosatore! (da Bergsoniano!, L'Ordine Nuovo, anno I, n. 2, 2 gennaio 1921)
Si tratta della frase finale dell'articolo, che non è firmato, ora incluso in Socialismo e fascismo: L'Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi; secondo i curatori dell'opera, le ultime tre righe del trafiletto probabilmente non sono di Antonio Gramsci. Per Giancarlo Bergami sono attribuibili a Palmiro Togliatti.[38]

Americanismo e fordismo

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  • Gli istinti sessuali sono quelli che hanno subito la maggiore repressione da parte della società in isviluppo; il loro «regolamento», per le contraddizioni cui dà luogo e per le perversioni che gli si attribuiscono, sembra il più «innaturale», quindi più frequenti in questo campo i richiami alla «natura». Anche la letteratura «psicanalitica» è un modo di criticare la regolamentazione degli istinti sessuali in forma talvolta «illuministica», con la creazione di un nuovo mito del «selvaggio» sulla base sessuale (inclusi i rapporti tra genitori e figli). (pp. 16 sg.)
  • Un'analisi accurata della storia italiana prima del '22 e anche prima del '26, che non si lasci allucinare dal carnevale esterno, ma sappia cogliere i motivi profondi del movimento operaio, deve giungere alla conclusione obiettiva che proprio gli operai sono stati i portatori delle nuove e più moderne esigenze industriali e a modo loro le affermarono strenuamente; si può dire anche che qualche industriale capi questo movimento e cercò di accaparrarselo (così è da spiegare il tentativo fatto da Agnelli di assorbire l'«Ordine Nuovo» e la sua scuola nel complesso Fiat [...]). (p. 29)
  • «Animalità» e industrialismo. La storia dell'industrialismo è sempre stata (e lo diventa oggi in una forma più accentuata e rigorosa) una continua lotta contro l'elemento «animalità» dell'uomo, un processo ininterrotto, spesso doloroso e sanguinoso, di soggiogamento degli istinti (naturali, cioè animaleschi e primitivi) a sempre nuove, più complesse e rigide norme e abitudini di ordine, di esattezza, di precisione che rendano possibili le forme sempre più complesse di vita collettiva che sono la conseguenza necessaria dello sviluppo dell'industrialismo. (p. 36)
  • Come si cammina senza bisogno di riflettere a tutti i movimenti necessari per muovere sincronicamente tutte le parti del corpo, in quel determinato modo che è necessario per camminare, così è avvenuto e continuerà ad avvenire nell'industria per i gesti fondamentali del mestiere; si cammina automaticamente e nello stesso tempo si pensa a tutto ciò che si vuole. (p. 51)

Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce

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Incipit

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Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l'attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono «filosofi», definendo i limiti e i caratteri di questa «filosofia spontanea», propria di «tutto il mondo», e cioè della filosofia che è contenuta: 1) nel linguaggio stesso, che è un insieme di nozioni e di concetti determinati e non già e solo di parole grammaticalmente vuote di contenuto; 2) nel senso comune e buon senso; 3) nella religione popolare e anche quindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere e di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama «folclore».

Citazioni

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  • Chi parla solo il dialetto o comprende la lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente di una intuizione dei mondo più o meno ristretta e provinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto delle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. I suoi interessi saranno ristretti, piú o meno corporativi o economistici, non universali. Se non sempre è possibile imparare piú lingue straniere per mettersi a contatto con vite culturali diverse, occorre almeno imparare bene la lingua nazionale. Una grande cultura può tradursi nella lingua di un'altra grande cultura, cioè una grande lingua nazionale, storicamente ricca e complessa, può tradurre qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale. Ma un dialetto non può fare la stessa cosa. (Alcuni punti preliminari di riferimento)
  • Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista «critico», l'unico fecondo nella ricerca scientifica. (La discussione scientifica)
  • L'affermazione di Feuerbach: «L'uomo è quello che mangia», può essere, presa in sé, interpretata variamente. Interpretazione gretta e stolta: cioè l'uomo è volta per volta quello che mangia materialmente, cioè i cibi hanno una immediata influenza determinatrice sul modo di pensare. Ricordare l'affermazione di Amadeo [Bordiga] che se si sapesse ciò che un uomo ha mangiato prima di un discorso, per esempio, si sarebbe in grado di interpretare meglio il discorso stesso. Affermazione infantile, e, di fatto, estranea anche alla scienza positiva, poiché il cervello non viene nutrito di fave o di tartufi, ma i cibi giungono a ricostituire le molecole del cervello trasformati in sostanze omogenee e assimilabili, che hanno cioè la «stessa natura» potenziale delle molecole cerebrali. Se questa affermazione fosse vera, la storia avrebbe la sua matrice determinante nella cucina e le rivoluzioni coinciderebbero coi mutamenti radicali dell'alimentazione di massa. Il contrario è storicamente vero: cioè sono le rivoluzioni e il complesso sviluppo storico che hanno modificato l'alimentazione e creato i «gusti» successivi nella scelta dei cibi. (Che cosa è l'uomo?)
  • La massima di E. Kant: «Opera in modo che la tua condotta possa diventare una norma per tutti gli uomini, in condizioni simili» [...] può essere considerata un truismo, poiché è difficile trovare uno che non operi credendo di trovarsi nelle condizioni in cui tutti opererebbero come lui. Chi ruba per fame ritiene che chi ha fame ruberebbe, chi ammazza la moglie infedele ritiene che tutti i mariti traditi dovrebbero ammazzare ecc. Solo i «matti» in senso clinico, operano senza ritenere di essere nel giusto. (Etica)

La questione meridionale

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  • La quarta guerra del Risorgimento italiano non pare debba avere per il Mezzogiorno conseguenze diverse da quella delle altre tre. Lo ha fatto notare A. Labriola alla Camera durante la discussione della politica economica del gabinetto Salandra, ma l'Agenzia Stefani ha trasmesso delle sue parole un riassunto generico e scolorito. (Il Mezzogiorno e la guerra[39]; p. 4)
  • [...] le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni nulla avevano creato: la borghesia non esisteva, l'agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva. (Il Mezzogiorno e la guerra[39]; p. 4)
  • Giustino Fortunato e Benedetto Croce rappresentano [...] le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana. (Alcuni temi della questione meridionale[40], p. 45)

Letteratura e vita nazionale

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Cosa significa e cosa può e dovrebbe significare la parola d'ordine di Giovanni Gentile: «Torniamo al De Sanctis!»? (cfr. tra l'altro il 1° numero del settimanale «Il Quadrivio»). Significa «tornare» meccanicamente ai concetti che il De Sanctis svolse intorno all'arte e alla letteratura, o significa assumere verso l'arte e la vita un atteggiamento simile a quello assunto dal De Sanctis ai suoi tempi? Posto questo atteggiamento come «esemplare», è da vedere: 1) in che sia consistita tale esemplarità; 2) quale atteggiamento sia oggi corrispondente, cioè quali interessi intellettuali e morali corrispondano oggi a quelli che dominarono l'attività del De Sanctis e le impressero una determinata direzione.

Citazioni

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  • [Su I promessi sposi] Tra il Manzoni e gli «umili» c'è distacco sentimentale; gli umili sono per il Manzoni un «problema di storiografia», un problema teorico che egli crede di poter risolvere col romanzo storico, col «verosimile» del romanzo storico. Perciò gli umili sono spesso presentati come «macchiette» popolari, con bonarietà ironica, ma ironica. E il Manzoni è troppo cattolico per pensare che la voce del popolo sia voce di Dio: tra il popolo e Dio c'è la chiesa, e Dio non s'incarna nel popolo, ma nella chiesa. Che Dio s'incarni nel popolo può crederlo il Tolstoi, non il Manzoni.
  • Papini è cattolico e anticrociano; le contraddizioni del suo superficiale scritto risultano da questa doppia qualità. (p. 153)
  • [Il conte di Montecristo] [...] è forse il più «oppiaceo» dei romanzi popolari: quale uomo del popolo non crede di aver subito un'ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla «punizione» da infliggere loro? Edmondo Dantès gli offre il modello, lo «ubbriaca» di esaltazione, sostituisce il credo di una giustizia trascendente in cui non crede più «sistematicamente».
  • Don Chisciotte non cerca di evadere anch'egli, anche praticamente, dal tritume e dalla standardizzazione della vita quotidiana di un villaggio spagnolo?
  • Raskolnikov è Montecristo «criticato» da un panslavista-cristiano.
  • L'Ojetti è rappresentativo da più punti di vista: ma la codardia intellettuale dell' uomo supera ogni misura normale. (p. 252)
  • Papini ha esercitato tutti i mestieri, per poi sporcificarli tutti: il filosofo, per concludere che la filosofia è una specie di cancrena al cervelletto, il cattolico, per incenerare l'universo con un appropriato dizionario, il letterato, per sancir da ultimo che della letteratura non sappiamo che farcene. Ciò non toglie che Papini non si sia conquistato un posticino nella storia della letteratura dentro il capitolo i "polemisti". (pp. 281-282)
  • Papini è sempre stato un «polemista» nel senso che dice il Volpicelli, e lo è ancor oggi, poiché non si sa se nell'espressione «polemista cattolico» a Papini interessi più il sostantivo o l'aggettivo. Col suo «cattolicismo» Papini avrebbe voluto dimostrare di non essere un puro «polemista», cioè un «calligrafo», un funambolo della parola e della tecnica, ma non c'è riuscito! Il Volpicelli ha torto nel non precisare: il polemista è polemista di una concezione del mondo, sia pure il mondo di Pulcinella, ma Papini è il polemista «puro», il boxeur di professione della parola qualsiasi: Volpicelli avrebbe dovuto giungere esplicitamente all'affermazione che il cattolicismo in Papini è un vestito da clown, non la «pelle» formata dal suo sangue «rinnovato», ecc. (p. 282)
  • L'avventura è il dominio dell'imprevisto, della vita che fiorisce spontaneamente nuova e attuale dal suo morto passato. (p. 589)

Lettere dal carcere

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Roma 20 novembre 1926
Mia carissima Julca,
Ricordi una delle tue ultime lettere? (Era almeno l'ultima lettera che io ho ricevuto a letto). Mi scrivevi che noi due siamo ancora abbastanza giovani per poter sperare di volere insieme crescere i nostri bambini. Occorre che tu ora ricordi fortemente questo, che tu ci pensi fortemente ogni volta che pensi a me e mi associ ai bambini. Io sono sicuro che tu sarai forte e coraggiosa, come sempre sei stata. Dovrai esserlo ancora di più che nel passato, perché rimarrò certamente a lungo senza vostre notizie; e ho ripensato al passato, traendone ragione di forza e voglio rivedere e vedere i nostri piccoli bambini. Mi preoccupa un po' la quistione materiale: potrà il tuo lavoro bastare a tutto? Penso che non sarebbe né meno degno di noi né troppo, domandare un po' di aiuti. Vorrei convincerti di ciò, perché tu mi dia retta e ti rivolga ai miei amici. Sarei più tranquillo e più forte, sapendoti al riparo da ogni brutta evenienza. Le mie responsabilità di genitore serio mi tormentano ancora, come vedi. Carissima mia, non vorrei in modo alcuno turbarti: sono un po' stanco, perché dormo pochissimo, e non riesco perciò a scrivere tutto ciò che vorrei e come vorrei. Voglio farti sentire forte forte tutto il mio amore e la mia fiducia. Abbraccia tutti di casa tua; ti stringo con la più grande tenerezza insieme coi bambini.
Antonio

Citazioni

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  • Siamo assolutamente separati dai coatti comuni, la cui vita non saprei descriverti con brevi tratti: ricordi la novella di Kipling intitolata: Una strana cavalcata nel volume francese L'uomo che volle essere re. Mi è balzata di colpo alla memoria tanto mi sembrava di viverla. Finora siamo 15 amici. La nostra vita è tranquillissima: siamo occupati a esplorare l'isola che permette di fare passeggiate abbastanza lunghe, di circa 9-10 chilometri, con paesaggi amenissimi e visioni di marine, di albe e di tramonti meravigliosi: ogni due giorni viene il vaporetto che porta giornali, e amici nuovi, tra i quali il marito di Ortensia che ho avuto tanto piacere di incontrare. Ustica è molto più graziosa di quanto appaia dalle cartoline illustrate che ti invierò: è una cittadina di tipo saraceno, pittoresca e piena di colore. (a Tatiana, 9 dicembre 1926)
  • Ti immagino seria e tetra, senza un sorriso neanche sfuggevole. Vorrei farti rallegrare in qualche modo. Ti racconterò delle storielle; che te ne pare? Ti voglio, per esempio, come intermezzo alla descrizione del mio viaggio in questo mondo così grande e terribile, dire qualcosa intorno a me stesso e alla mia fama, di molto divertente. Io non sono conosciuto all'infuori di una cerchia abbastanza ristretta; il mio nome è storpiato perciò in tutti i modi più inverosimili: Gramasci, Granusci, Gràmisci, Granìsci, Gramàsci, fino a Garamàscon, con tutti gli intermedi più bizzarri. A Palermo, durante una certa attesa per il controllo dei bagagli, incontrai in un deposito un gruppo di operai torinesi diretti al confino; insieme a loro era un formidabile tipo di anarchico ultra individualista, noto coll'indicazione di «Unico»[41] che rifiuta di confidare a chiunque, ma specialmente alla polizia e alle autorità in generale, le sue generalità: «sono l'Unico e basta», ecco la sua riposta. Nella folla che lo attendeva, l'Unico riconobbe tra i criminali comuni (mafiosi) un altro tipo, siciliano (l'Unico deve essere napoletano o giù di lì), arrestato per motivi compositi, tra il politico e il comune, e si passò allora alle presentazioni. Mi presentò: l'altro mi guardò a lungo, poi domandò: «Gramsci, Antonio?» Sì, Antonio!, risposi. «Non può essere, replicò, perché Antonio Gramsci deve essere un gigante e non un uomo così piccolo» – Non disse più nulla, si ritirò in un angolo, si sedette su uno strumento innominabile e stette, come Mario sulle rovine di Cartagine, a meditare sulle proprie illusioni perdute. Evitò accuratamente di parlare con me durante il tempo in cui restammo ancora nello stesso camerone e non mi salutò quando ci separarono. (a Tania, 19 febbraio 1927)
  • La mia vita scorre sempre uguale. Leggo, mangio, dormo e penso. Tu però non devi pensare a tutto ciò che pensi e specialmente non devi farti illusioni. Non perché io non sia arcisicuro di rivederti e di farti conoscere i miei bambini [...], ma perché sono anche arcisicuro che sarò condannato e chissà a quanti anni. Tu devi capire che in ciò non c'entra niente per nulla né la mia rettitudine, né la mia coscienza, né la mia innocenza o colpevolezza. È un fatto che si chiama politica, appunto perché tutte queste bellissime cose non c'entrano per nulla. Tu sai come si fa coi bambini che fanno la pipì nel letto, è vero? Si minaccia di bruciarli con la stoppa accesa in cima al forcone. Ebbene: immagina che in italia ci sia un bambino molto grosso che minaccia continuamente di fare la pipì nel letto di questa grande genitrice di biade e di eroi; io e qualche altro siamo la stoppa (o il cencio) accesa che si mostra per minacciare l'impertinente e impedirgli di insudiciare le candide lenzuola. Poiché le cose sono così, non bisogna né allarmarsi, né illudersi; bisogna solo attendere con grande pazienza e sopportazione. (alla mamma, 25 aprile 1927)
  • [...] ho sempre l'ossessione di essere per essere ridotto ad una epistolografia convenzionale e, ciò che è il peggio del convenzionalismo, ad una epistolografia convenzionalmente carceraria. (a Giulia, 2 maggio 1927)
  • Ma, in verità, mi sono accorto che, proprio al contrario di quanto avevo sempre pensato, in carcere si studia male, per tante ragioni, tecniche e psicologiche. (a Giulia, 2 maggio 1927)
  • Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l'eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo. Ti potrei raccontare qualche aneddoto divertente. Nei primi mesi che ero qui a Milano[42], un agente di custodia mi domandò ingenuamente se era vero che io, se avessi cambiato bandiera, sarei stato ministro. Gli risposi sorridendo che ministro era un po' troppo, ma che sottosegretario alle Poste o ai Lavori Pubblici avrei potuto esserlo, dato che tali erano gli incarichi che nei governi si davano ai deputati sardi. Scosse le spalle e mi domandò perché dunque non avevo cambiato bandiera, toccandosi la fronte col dito. Aveva preso sul serio la mia risposta e mi credeva matto da legare. (a Carlo, 12 settembre 1927)
  • Mi preoccupa molto lo stato d'animo della mamma, d'altronde non so come fare per rassicurarla e consolarla. Vorrei infonderle la convinzione che io sono tranquillissimo, come realmente sono, ma vedo che non riesco. C'è tutta una zona di sentimento e di modi di pensare che costituisce una specie di abisso tra noi. Per lei il mio incarceramento è una terribile disgrazia alquanto misteriosa nelle sue concatenazioni di cause ed effetti; per me è un episodio nella lotta politica che si combatteva e si continuerà a combattere non solo in Italia, ma in tutto il mondo, per chissà quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso, così come durante la guerra si poteva cadere prigionieri, sapendo che questo poteva avvenire e che poteva avvenire anche di peggio. Ma temo che anche tu la pensi come la mamma e che queste spiegazioni ti rassomiglino a un indovinello espresso ancora in una lingua sconosciuta. (a Teresina, 20 febbraio 1928)
  • Carissima mamma, non ti vorrei ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle mie condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi. Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione. Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e al loro dignità di uomini.
    Ti abbraccio teneramente.
    Nino (10 maggio 1928)
  • I traduttori sono pagati male e traducono peggio. (a Tatiana, 26 agosto 1929; 1965)
  • [...] sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà. (a Carlo, 19 dicembre 1929; 1965)
  • Su per giù tu immagini me come uno che insistentemente rivendica il diritto di soffrire, di essere martirizzato, di non essere defraudato neanche di un minuto secondo e di una sfumatura della sua pena. Io sarei un nuovo Gandhy che vuole testimoniare dinanzi ai superi e agli inferi i tormenti del popolo indiano, un nuovo Geremia o Elia o non so chi altro profeta d'Israello che andava in piazza a mangiare cose immonde per offrirsi in olocausto al dio della vendetta, ecc. ecc. Non so come ti sei fatta questa concezione, che è molto ingiusta nei tuoi rapporti verso di me, ingiusta e inconsiderata. Ti ho detto che io sono eminentemente pratico; io penso che non capisci ciò che io voglia dire con questa espressione, perché non fai nessuno sforzo per metterti nelle mie condizioni (probabilmente quindi io ti dovrò apparire come un commediante o che so io). La mia praticità consiste in questo: nel sapere che a battere la testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro. (a Tatiana, 19 maggio 1930)
  • Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un'apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto "protestante" che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall'esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull'induzione. Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l'esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull'introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l'angustia e la meschinità. D'altra parte Chesterton è un grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore, anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c'è un distacco stilistico tra il contenuto, l'intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende più gustosi i racconti. (a Tania, 6 ottobre 1930; 1965)
  • Carissima mamma, ecco il quinto natale che passo in privazione di libertà e il quarto che passo in carcere. Veramente la condizione di coatto in cui passai il natale del 26 ad Ustica[43] era ancora una specie di paradiso della libertà personale in confronto alla condizione di carcerato. Ma non credere che la mia serenità sia venuta meno. Sono invecchiato di quattro anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di avere arricchito la mia esperienza degli uomini e delle cose. Del resto non ho perduto il gusto della vita [...]. Dunque non sono diventato vecchio, ti pare? Si diventa vecchi quando si incomincia a temere la morte e quando si prova dispiacere a vedere gli altri fare ciò non possiamo più fare. In questo sono sicuro che neanche tu sei diventata vecchia nonostante la tua età. Sono sicuro che sei decisa a vivere a lungo, per poterci rivedere tutti insieme per poter conoscere tutti i tuoi nipotini: finché si vuol vivere, finché si sente il gusto della vita vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie. (15 dicembre 1930)
  • Io penso che una persona intelligente e moderna deve leggere i classici in generale con un certo «distacco», cioè solo per i loro valori estetici, mentre l'«amore» implica adesione al contenuto ideologico della poesia; si ama il «proprio» poeta, si «ammira» l'artista «in generale». (a Giulia, 1 giugno 1931; 1965)
  • [...] non c'era ragione di essere impressionata. Devi sapere che io sono morto una volta e poi sono resuscitato, ciò che dimostra che ho sempre avuto la pelle dura. Da bambino, a 4 anni, ho avuto delle emorragie per tre giorni di seguito, che mi avevano completamente dissanguato, accompagnate da convulsioni. Il medico mi aveva dato per morto e mia madre ha conservato fino al 914 circa la piccola bara e il vestitino speciale che dovevano servire per seppellirmi; una zia sosteneva che ero resuscitato quando lei mi unse i piedini con l'olio di una lampada dedicata a una madonna e perciò quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi mi rimproverava aspramente ricordando che alla madonna dovevo la vita, cosa che mi impressionava poco, a dir la verità. (a Tatiana, 7 settembre 1931)
  • Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto come disegno e in realtà non credo che esistano in Italia libri su questo argomento. Esiste certo molto materiale erudito ma disperso in un numero infinito di riviste e archivi storici locali. D'altronde io estendo molto la nozione di intellettuale e non mi limito alla nozione corrente che si riferisce ai grandi intellettuali. Questo studio porta anche a certe determinazioni del concetto di Stato che di solito è inteso come Società politica (o dittatura, o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l'economia di un certo momento dato) e non come un equilibrio tra Società politica con la Società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull'intiera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni così dette private, come la chiesa, i sindacati, le scuole ecc.) e appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali (Ben. Croce, per es., è una specie di papa laico ed è uno strumento efficacissimo di egemonia anche se volta per volta possa trovarsi in contrasto con questo o quel governo ecc.). Da questa concezione della funzione degli intellettuali, secondo me, viene illuminata la ragione o una delle ragioni della caduta dei Comuni medioevali, cioè del governo di una classe economica, che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi di esercitare un'egemonia oltre che una dittatura; gli intellettuali italiani non avevano un carattere popolare-nazionale ma cosmopolita sul modello della Chiesa e a Leonardo era indifferente vendere al duca Valentino i disegni delle fortificazioni di Firenze. I Comuni furono dunque uno stato sindacalista, che non riuscì a superare questa fase e a diventare Stato integrale come indicava invano il Machiavelli che attraverso l'organizzazione dell'esercito voleva l'egemonia della città sulla campagna, e perciò si può chiamare il primo giacobino italiano (il secondo è stato Carlo Cattaneo ma con troppe chimere in testa). Così ne deriva che il Rinascimento deve essere considerato un movimento reazionario e repressivo in confronto dello sviluppo dei Comuni ecc. Ti faccio questi accenni per farti persuasa che ogni periodo della storia svoltasi in Italia, dall'Impero romano al Risorgimento, deve essere guardato da questo punto di vista monografico. (a Tatiana, 7 settembre 1931)
  • Io non sono mai stato un giornalista professionista, che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. (a Tania, 12 ottobre 1931; 1965)
  • Posso ammirare esteticamente Guerra e Pace di Tolstoi e non condividere la sostanza ideologica del libro; se i due fatti coincidessero Tolstoi sarebbe il mio vademecum, «le livre de chevet». Così si può dire per Shakespeare, per Goethe e anche per Dante. Non sarebbe esatto dire lo stesso per il Leopardi, nonostante il suo pessimismo. Nel Leopardi si trova, in forma estremamente drammatica, la crisi di transizione verso l'uomo moderno; l'abbandono critico delle vecchie concezioni trascendentali senza che ancora si sia trovato un ubi consistam morale e intellettuale nuovo, che dia la stessa certezza di ciò che si è abbandonato. (lettera a Iulca, 5 settembre 1932; 1965)
  • Spesso chi vuole consolare, essere affettuoso ecc. è in realtà il più feroce dei tormentatori. Anche nell'«affetto» bisogna essere soprattutto «intelligenti». (a Tania, 5 dicembre 1932; 1965)
  • La bontà disarmata, incauta, inesperta e senza accorgimento non è neppure bontà, è ingenuità stolta e provoca solo disastri. (a Tania, 29 maggio 1933; 1965)
  • [...] il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa. (lettera a Tania, 2 luglio 1933; 1965)
  • Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. (a Delio, 1937; 1965, n. 418)

Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno

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Il carattere fondamentale del Principe è quello di non essere una trattazione sistematica ma un libro «vivente», in cui l'ideologia politica e la scienza politica si fondono nella forma drammatica del «mito». Tra l'utopia e il trattato scolastico, le forme in cui la scienza politica si configurava fino al Machiavelli, questi dette alla sua concezione la forma fantastica e artistica, per cui l'elemento dottrinale e razionale si impersona in un condottiero, che rappresenta plasticamente e «antropomorficamente» il simbolo della «volontà collettiva». Il processo di formazione di una determinata volontà collettiva, per un determinato fine politico, viene rappresentato non attraverso disquisizioni e classificazioni pedantesche di principii e criteri di un metodo d'azione, ma come qualità, tratti caratteristici, doveri, necessità di una concreta persona, ciò che fa operare la fantasia artistica di chi si vuol convincere e dà una piú concreta forma alle passioni politiche.

Citazioni

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  • Il Michels ha fatto molto baccano in Italia per la «sua» trovata del «capo charismatico» che probabilmente (occorrerebbe confrontare) era già nel Weber il cosiddetto «charisma», nel senso del Michels, nel mondo moderno coincide sempre con una fase primitiva dei partiti di massa, con la fase in cui la dottrina si presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata alle circostanze.
  • Le idee di Michels sui partiti politici sono abbastanza confuse e schematiche, ma sono interessanti come raccolta di materiale grezzo e di osservazioni empiriche e disparate.
  • Per comprendere bene la posizione della chiesa nella società moderna, occorre comprendere che essa è disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative (di chiesa come chiesa, organizzazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina; per questa difesa la chiesa non esclude nessun mezzo, né l'insurrezione armata, né l'attentato individuale, né l'appello alla invasione straniera. Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per "dispotismo" la chiesa intende l'intervento dell'autorità statale laica nel limitare e sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto e, purché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i suoi privilegi la esalta e la proclama provvidenziale.
  • Quando si vuol scrivere la storia di un partito politico, in realtà occorre affrontare tutta una serie di problemi molto meno semplici di quanto creda, per es., Roberto Michels che pure è ritenuto uno specialista in materia.

Passato e presente

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Estrarre da questa rubrica una serie di note che siano del tipo dei Ricordi politici e civili del Guicciardini (tutte le proporzioni rispettate). I «Ricordi» sono tali in quanto riassumono non tanto avvenimenti autobiografici in senso stretto (sebbene anche questi non manchino), quanto «esperienze» civili e morali (morali più nel senso etico-politico) strettamente connesse alla propria vita e ai suoi avvenimenti, considerate nel loro valore universale o nazionale.

Citazioni

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  • [La tendenza a diminuire l'avversario] È di per se stessa un documento dell'inferiorità di chi ne è posseduto; si tende infatti a diminuire rabbiosamente l'avversario per poter credere di esserne decisamente vittoriosi. In questa tendenza è perciò insito oscuramente un giudizio sulla propria incapacità e debolezza [...]. (quaderno 16; p. 16)
  • Se si domanda a Tizio, che non ha mai studiato il cinese e conosce bene solo il dialetto della sua provincia, di tradurre un brano di cinese, egli molto ragionevolmente si meraviglierà, prenderà la domanda in ischerzo e, se si insiste, crederà di essere canzonato, si offenderà e farà ai pugni.
    Eppure lo stesso Tizio, senza essere neanche sollecitato, si crederà autorizzato a parlare di tutta una serie di quistioni che conosce quanto il cinese, di cui ignora il linguaggio tecnico, la posizione storica, la connessione con altre quistioni, talvolta gli stessi elementi fondamentali distintivi. Del cinese almeno sa che è una lingua di un determinato popolo che abita in un determinato punto del globo: di queste quistioni ignora la topografia ideale e i confini che le limitano. (quaderno 15, § 21; p. 55)

Quaderni del carcere

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  • Cultura, non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri.[44]
  • Soffici. Un cafone senza ingenuità e spontaneità. (quaderno 1, § 9, p. 8)
  • Loria non è un caso teratologico individuale: è l'esemplare più compiuto e finito di una serie di rappresentanti di un certo strato intellettuale di un certo periodo; in generale degli intellettuali positivisti che si occupano della quistione operaia e che più o meno credono di approfondire, o correggere, o superare il Marxismo. Enrico FerriArturo Labriola – lo stesso Turati potrebbero dare una messe di osservazioni e di aneddoti. (quaderno 1, § 25, p. 22)
  • I giacobini [...] forzarono la mano, ma sempre nel senso dello sviluppo storico reale, perché essi fondarono non solo lo Stato borghese, fecero della borghesia la classe «dominante», ma fecero di più (in un certo senso), fecero della borghesia la classe dirigente, egemone, cioè dettero allo Stato una base permanente. (quaderno 1, § 44, p. 51)
  • Lo «Stellone d'Italia». Com'è nato questo modo di dire sullo «Stellone» che è entrato a far parte dell'ideologia patriottica e nazionale italiana? Il 27 novembre 1871, il giorno in cui Vittorio Emanuele II inaugurò a Roma il Parlamento, fu visto di pieno giorno il pianeta Venere, che di solito (poiché Venere è un pianeta interno all'orbita delle terra) non si può vedere che al mattino prima del nascere del sole o alla sera dopo il tramonto. Se poi certe condizioni atmosferiche favoriscono la visibilità del pianeta, non è raro il caso che esso possa vedersi anche dopo che il sole è spuntato ed anche prima che sia tramontato, ciò che appunto avvenne il 27 novembre 1871. (quaderno 2, § 107, p. 254)
  • La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. (quaderno 3, § 34, p. 311)
  • Il Panzini oltre a creare luoghi comuni per gli argomenti che tratta, si dà molto daffare per raccogliere tutti i luoghi comuni che sullo stesso argomento sono stati scritti da altri autori, specialmente stranieri: deve avere uno schedario speciale di luoghi comuni, per condire opportunamente tutti i suoi scritti. (quaderno 3, § 38, p. 313)
  • Tutta la Vita di Cavour è una beffa della storia. Se le vite romanzate sono la forma attuale della letteratura amena tipo Alessandro Dumas, Panzini è il nuovo Ponson du Terrail. Panzini vuole così ostentatamente mostrare di «saperla lunga» sul modo di procedere degli uomini, di essere un cosi furbissimo realista, che viene la voglia, a leggerlo, di rifugiarsi in Condorcet o in Bernardino di Saint-Pierre, che almeno non sono cosi filistei. Nessun nesso storico è ricostruito nel fuoco di una personalità; la storia è un seguito di storielle divertenti senza nesso né di personalità né di altre forze sociali: è veramente una nuova forma di gesuitismo, molto più accentuata di quanto io stesso avessi creduto leggendo la Vita a puntate. (quaderno 3, § 38, p. 315)
  • Non si capisce proprio cosa Panzini abbia voluto scrivere con questa Vita di Cavour; una vita di Cavour non è certamente: né una biografìa di Cavour-uomo, né una ricostruzione di Cavour politico; in verità dal libro di Panzini Cavour esce molto malconcio e molto diminuito: la sua figura non ha nessun rilievo concreto, eccetto che nelle giaculatorie che Panzini di tanto in tanto ripete: eroe, superbo, genio ecc. Ma queste giaculatorie non essendo giustificate (e perciò sono giaculatorie) sembrano talvolta prese di bavero, se non si capisse che la misura che Panzini adopera per giudicare l'eroismo, la grandezza, il genio ecc. è la sua propria misura, della genialità, grandezza, eroismo ecc. del sig. Panzini Alfredo. Ancora bisogna dire che il Panzini esagera nel trovare il dito di dio, il fato, la provvidenza in tanti avvenimenti: è, in fondo, la concezione dello stellone con parole da tragedia greca o da padre gesuita, ma che non perciò diventa meno triviale e banale. Lo stesso insistere troppo sull'elemento «provvidenziale» significa diminuire la funzione dello sforzo italiano, che pure ebbe una sua parte. Cosa significa poi in questo caso questa miracolosità della rivoluzione italiana? Significa che tra l'elemento nazionale e quello internazionale dell'evento, è l'internazionale che ha contato di più. È questo il caso? Bisognerebbe dirlo e forse la grandezza di Cavour sarebbe messa ben più in rilievo e la sua funzione personale, il suo «eroismo» apparirebbe ben più da esaltare. Ma il Panzini vuol dare colpi a molte botti con molti cerchi e non ne raccappezza qualcosa di sensato: né egli sa cosa sia una rivoluzione e quali siano i rivoluzionari. Tutti furono grandi e furono rivoluzionari ecc. ecc. (quaderno 3, § 38, p. 316)
  • Anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. (quaderno 4, § 55, p. 502).
  • In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell'Occidente tra Stato e società civile c'era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte. (quaderno 7, § 16, p. 866)
  • Giornalismo. I titoli. Tendenza a titoli magniloquenti e pedanteschi, con opposta reazione di titoli così detti «giornalistici» cioè anodini e insignificanti. Difficoltà dell'arte dei titoli che dovrebbero riassumere alcune esigenze: di indicare sinteticamente l'argomento centrale trattato, di destare interesse e curiosità spingendo a leggere. Anche i titoli sono determinati dal pubblico al quale il giornalista si rivolge e dall'atteggiamento del giornale verso il suo pubblico: atteggiamento demagogico-commerciale quando vuole sfruttare le tendenze più basse; atteggiamento educativo [-didattico], ma senza pedanteria, quando si vuole sfruttare il sentimento predominante nel pubblico, come base di partenza per un suo elevamento. (quaderno 8, § 143, p. 1029)
  • Contro il velleitarismo, contro l'astrattismo, l'eroismo di maniera ecc. è una quistione di costume e di stile, non «teoretica». (quaderno 8, § 210, p. 1069)
  • [...] ogni «ghianda» può pensare di diventar quercia. Se le ghiande avessero una ideologia, questa sarebbe appunto di sentirsi «gravide» di querce. Ma, nella realtà, il 999 per mille delle ghiande servono di pasto ai maiali e, al più, contribuiscono a crear salsicciotti e mortadella. (quaderno 9, § 132, Passato e presente; 1977, p. 1192)
  • Questa espressione «gli umili» è caratteristica per comprendere l'atteggiamento tradizionale degli intellettuali italiani verso il popolo e quindi il significato della letteratura per «gli umili». Non si tratta del rapporto contenuto nell'espressione dostoievschiana di «umiliati e offesi». In Dostojevschij c'è potente il sentimento nazionale-popolare, cioè la coscienza di una «missione degli intellettuali» verso il popolo, che magari è «oggettivamente» costituito di «umili» ma deve essere liberato da questa «umiltà», trasformato, rigenerato. Nell'intellettuale italiano l'espressione di «umili» indica un rapporto di protezione paterna e padreternale, il sentimento «sufficente» di un propria indiscussa superiorità, il rapporto come tra due razze, una ritenuta superiore e l'altra inferiore, il rapporto come tra adulti e bambini nella vecchia pedagogia e peggio ancora un rapporto da «società protettrice degli animali», o da esercito della Salute anglosassone verso i cannibali della Guinea. (quaderno 9, § 135, p. 1197)
  • Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente creazione di una élite di intellettuali: una massa umana non si «distingue» e non diventa indipendente «per sé» senza organizzarsi (in senso lato) e non c'è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l'aspetto teorico del nesso teoria-pratica si distingua concretamente in uno strato di persone «specializzate» nell'elaborazione concettuale e filosofica. (quaderno 11, § 12, p. 1386)
  • Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico reale di formazione delle diverse categorie intellettuali. (quaderno 12, § 1, p. 1513)
  • La divisione fondamentale della scuola in classica e professionale era uno schema razionale: la scuola professionale per le classi strumentali, quella classica per le classi dominanti e per gli intellettuali. Lo sviluppo della base industriale sia in città che in campagna aveva un crescente bisogno del nuovo tipo di intellettuale urbano: si sviluppò accanto alla scuola classica quella tecnica (professionale ma non manuale), ciò che mise in discussione il principio stesso dell'indirizzo concreto di cultura generale, dell'indirizzo umanistico della cultura generale fondata sulla tradizione greco-romana. Questo indirizzo, una volta messo in discussione, può dirsi spacciato, perché la sua capacità formativa era in gran parte basata sul prestigio generale e tradizionalmente indiscusso, di una determinata forma di civiltà. (quaderno 12, § 1, p. 1531)
  • La disciplina pertanto non annulla la personalità e la libertà: la quistione della «personalità e libertà» si pone non per il fatto della disciplina, ma per l'«origine del potere che ordina la disciplina». Se questa origine è «democratica», se cioè l'autorità è una funzione tecnica specializzate e non un «arbitrio» o una imposizione estrinseca ed esteriore, la disciplina è un elemento necessario di ordine democratico, di libertà. (quaderno 14, § 48, pp. 1706-1707)
  • Ogni elemento «imposto» sarà da ripudiarsi a priori? [...] Che l'istruzione sia obbligatoria non significa infatti che sia da ripudiare e neppure che non possa essere giustificata, con nuovi argomenti, una nuova forma di obbligatorietà: occorre fare «libertà» di ciò che è «necessario», ma perciò occorre riconoscere una necessità «obbiettiva», cioè che sia obiettiva precipuamente per il gruppo in parola. (quaderno 16, § 12, p. 1875)
  • [Sulla Guida alla grammatica italiana] Il Panzini non si pone neanche lontanamente questo problema[45]e perciò le sue pubblicazioni grammaticali sono incerte, contraddittorie, oscillanti. Non si pone per esempio il problema di quale oggi sia, dal basso, il centro di irradiazione delle innovazioni linguistiche; che pure non ha poca importanza pratica. Firenze, Roma, Milano. Ma d'altronde non si pone neanche il problema se esista (e quale sia) un centro di irradiazione spontanea dall'alto, cioè in forma relativamente organica, continua, efficacemente, e se essa possa essere regolata e intensificata. (quaderno 29[46])

Scritti politici

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  • È davvero meravigliosa la lotta che l'umanità combatte da tempo immemorabile; lotta incessante, con cui essa tenta di strappare e lacerare tutti i vincoli che la libidine di dominio di un solo, di una classe, o anche di un intero popolo, tentano di imporle. È questa una epopea che ha avuto innumerevoli eroi ed è stata scritta dagli storici di tutto il mondo. L'uomo, che ad un certo tempo si sente forte, con la coscienza della propria responsabilità e del proprio valore, non vuole che alcun altro gli imponga la sua volontà e pretenda di controllare le sue azioni e il suo pensiero. (Oppressi ed oppressori[47]; I, p. 6)
  • Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l'uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici, di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell'umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri. [...] Lo studentucolo che sa un po' di latino e di storia, l'avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciare passare dei professori crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce.
    La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per funzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà in cui ogni singolo animale si selezione e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L'uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. (Socialismo e cultura, da Il Grido del Popolo, 29 gennaio 1916, firmato Alfa Gamma; in Scritti politici, vol. 1, PGreco, 2020, p. 18. ISBN 9788868023386)
  • Ahimè, quanti papi infallibili tiranneggiano la coscienza degli uomini liberi e inaridiscono in loro ogni sorgente di umanità. (Leninismo e Marxismo di Rodolfo Mondolfo[48]; I, p. 123)

Sotto la Mole. 1916-1920

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  • Anche il sacerdote che innalza l'ostia consacrata per il volgo è uno stregone, come la fattucchiera che fa suffumigi sotto il gufo impagliato. Interrogano ambedue il mistero, sono ambedue interpreti di un mondo soprannaturale che l'anima incolta e grossa del credente volgare (al quale sfugge il gioco delle forze umane razionali che regolano il destino del mondo e la storia degli uomini) crede gli sovrasti, schiacciandolo con la sua fatalità ineluttabile. [...] E gli stregoni, si chiamino Paola Omegna o siano vescovi o cardinali, non sono intelligenze, né coscienze, sono sacerdoti che ridono tra loro dietro gli altari. (Stregoneria, 4 marzo 1916; p. 44)
  • Dei fatti maturano nell'ombra, perché mani non sorvegliate da nessun controllo tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati di piccoli gruppi attivi, e la massa dei cittadini ignora. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare, ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento, e allora sembra che la fatalità travolga tutto e tutti, che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo, chi indifferente. E quest'ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe che apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli è irresponsabile. E alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno, o pochi, si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere di uomo, se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere, la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? (L'indifferenza, 26 agosto 1916; p. 141)

Sul fascismo

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  • La dottrina di Carlo Marx ha dimostrato anche ultimamente la sua fecondità e la sua eterna giovinezza offrendo un contenuto logico al programma dei più strenui avversari del partito socialista, ai nazionalisti. Corradini saccheggia Marx, dopo averlo vituperato. Trasporta dalla classe alla nazione i principi, le constatazioni, le critiche dello studioso di Treviri; parla di nazioni proletarie in lotta con nazioni capitalistiche, di nazioni giovani che debbono sostituire, per lo sviluppo della storia mondiale, le nazioni decrepite. E trova che questa lotta si esplica nella guerra, si afferma nella conquista dei mercati, nel subordinamento economico e militare di tutte le nazioni a una sola, a quella che attraverso il sacrifizio del suo sangue e del suo benessere immediato, ha dimostrato di essere l'eletta, la degna. (Lotta di classe e guerra[49]; p. 10)
  • Il fascismo si è presentato come l'anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e bene amministrato. (Forze elementari[50]; p. 99)
  • La piccola borghesia, anche in questa sua ultima incarnazione politica del «fascismo», si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo e della proprietà terriera, di agente della controrivoluzione. Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non la storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri.[51]
  • Abbiamo in Italia il regime fascista, abbiamo a capo del fascismo Benito Mussolini, abbiamo una ideologia ufficiale in cui il "capo" è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero [...] Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini [...] è il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica, [...]. ("Capo"[52]; p. 227)
  • «Pellegrino del nulla» appare a noi Giacomo Matteotti quando consideriamo la sua vita e la sua fine in relazione con tutte le circostanze che dànno ad esse un valore non più «personale», ma di indicazione generale e di simbolo. (Il destino di Matteotti[53]; p. 267)
  • Che cosa è la massoneria? Voi avete fatto molte parole sul suo significato spirituale, sulle correnti ideologiche che essa rappresenta; ma tutte queste sono forme di espressione di cui voi vi servite solo per ingannarvi reciprocamente, sapendo di farlo. [...] la massoneria è stato l'unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo. [...] L'onorevole Martire ha oggi dichiarato che finalmente è stata raggiunta, alle spese della Massoneria, l'Unità Spirituale della Nazione Italiana. Poiché la Massoneria in Italia ha rappresentato l'ideologia e l'organizzazione reale della classe borghese capitalistica, chi è contro la Massoneria è contro il liberalismo, è contro la tradizione politica della borghesia italiana. [...] In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficiente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, [...]. (La legge sulle associazioni segrete[54]; pp. 317-325)

Incipit di alcune opere

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Apologhi e raccontini torinesi

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Perché uno sciacallo fu fatto re

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Nella giungla si erano uniti in «clan», per poter cacciare con più profitto e meno pericolo, e babbuini e lupi e leopardi ed altre bestie di vario pelo e colore. Tra di loro però si era intrufolato un piccolo sciacallo che mangiava i rifiuti e spolpava le ossa dei succulenti banchetti. Era sopportato perché nella giungla lo sciacallo è temuto da tutti come diffusore di idrofobia e di malattie infettive, ma l'irritazione e il malcontento era grande e tutti del «clan» avrebbero benedetto la buona occasione che li avesse liberati dal poco piacevole socio[55].

Nestore e la cicala

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Noi ammiriamo gli antichi. E gli antichi ammirarono e rispettano due cose: le cicale e i vecchi. E tutte e due sublimarono nella leggenda. Nestore[56], dalla cui bocca fluivano sempre parole più dolci del miele, e Tritone[57]. Ma il vecchio Nestore parlava poco, e operava molto, e l'aiuto del suo braccio era apprezzato tanto quanto quello del suo senno.

Due pere...

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In via Don Bosco. Una dimostrazione contro un proprietario di casa che ha sfrattato alcuni inquilini, povera gente, per aver modo di aumentare il fitto. Guardie e carabinieri circondano la casa e tengono a bada i dimostranti, procedendo di tanto in tanto a degli arresti.

Diamantino

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Oggi vi voglio raccontare la storia di Diamantino, come io stesso la udii, molti anni or sono, intercalata in una lunga e noiosa conferenza pacifista del professor Mario Falchi. Diamantino era un piccolo cavallo nato in una miniera carbonifera di un bacino inglese. Sua madre – povera cavalla! – dopo aver trascorso i primi e più begli anni della sua vita sulla superficie della terra, soleggiata e allietata dal sorriso dei fiori, tra i quali, garrulo e lascivetto scherza lo zeffiro – era stata adibita al traino dei vagoncini di minerale, a qualche centinaio di metri sotto terra.

Armonie della natura

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Un contadinello trovò un mattino una volpe alla tagliola. Le assestò una bastonata sul capo, se la caricò sulle spalle, e contento per le lirette che avrebbe ricavato dalla pelle dell'animale, si avviò verso il paese più vicino dove sperava trovare l'acquirente della merce mandatagli dal cielo.

Corvi e gufi

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Tra i corvi ed i gufi era scoppiata la guerra per causa d'un boschetto di cui, da tempo, si contendevano la proprietà. In pochi giorni i corvi si trovarono ridotti a malpartito. I gufi che si svegliano dopo il tramonto, assalivano nella notte i corvi dormienti nei loro nidi e ne facevano strage. Invano i corvi cercavano di rintuzzare l'offesa. Svolazzavano da mane a sera tra gli alberi, sostavano sui fianchi scoscesi dei monti, esploravano i crepacci, le rupi ... non un palmo di terreno sfuggiva alla loro indagine.

Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura

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Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico reale di formazione delle diverse categorie intellettuali.

Il Risorgimento

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Una doppia serie di ricerche. Una sull'Età del Risorgimento e una seconda sulla precedente storia che ha avuto luogo nella penisola italiana, in quanto ha creato elementi culturali che hanno avuto una ripercussione nell'Età del Risorgimento (ripercussione positiva e negativa) e continuano a operare (sia pure come dati ideologici di propaganda) anche nella vita nazionale italiana cosí come è stata formata dal Risorgimento.

L'albero del riccio

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Carissima Tania,
oggi voglio raccontare per te, Delio e Giuliano, un episodio natalizio della mia fanciullezza, che vi divertirà e vi darà un tratto caratteristico della vita delle mie parti.
Avevo quattordici anni e facevo la terza ginnasiale a Santu Lussurgiu, un paese distante dal mio circa diciotto chilometri.
Con un altro ragazzo, per guadagnare ventiquattr'ore in famiglia, ci mettemmo in istrada a piedi il dopopranzo del 23 dicembre, invece di aspettare la diligenza del mattino seguente.
Cammina, cammina, eravamo circa a metà del viaggio, in un posto completamente deserto e solitario. A sinistra, un centinaio di metri dalla strada, si allungava una fila di pioppi con delle boscaglie di lentischi. A un tratto ci spararono un primo colpo di fucile sulla testa: la pallottola fischiò a una decina di metri in alto. Credemmo a un colpo casuale e continuammo tranquilli. Un secondo e un terzo colpo bassi ci avvertirono subito che eravamo proprio presi di mira e allora ci buttammo nella cunetta, rimanendo appiattiti un pezzo. Quando provammo a sollevarci, un altro colpo, e cosí circa due ore con una dozzina di colpi che ci inseguivano, mentre ci allontanavamo strisciando, ogni volta che tentavamo di ritornare sulla strada. Certamente era una comitiva di buontemponi che voleva divertirsi a spaventarci, ma che belloscherzo natalizio, eh? Arrivammo a casa a notte buia, discretamente stanchi e infangati e non raccontammo la storia a nessuno, per non spaventare in famiglia; ma non ci spaventammo gran che, perché alle prossime vacanze di carnevale il viaggio fu ripetuto senza incidenti di sorta.

Nuove lettere

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[Vienna] 16 aprile 1924

Cara Julca,
ho ricevuto la tua lettera dell'8, che ha dissipato tutte le nubi e tutti gli equivoci. Non dobbiamo più parlare di «morbosità» né di altre consimili sciocchezze. Dobbiamo solo volerci bene e avere pazienza, aspettare di trovarci ancora insieme e cercare di trovare il modo di stare insieme quanto più a lungo è possibile. Ecco la sola causa di tutto il nostro malessere, che c'induce ad approfondire, cioè a dilaniare inutilmente noi stessi, in traccia di cause recondite. Io certamente non mi ci lascerò più prendere a questo atroce gioco. Sono tranquillo, sono sicuro, non ho più dubbi, nessuna goccia di metallo fuso minaccia le mie tenere carni. Non sarà facile aver pazienza, ma, insomma, non creerò più una metafisica dell'impazienza.

Citazioni su Antonio Gramsci

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  • Antonio Gramsci ha la testa di un rivoluzionario. Il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà [...] il cervello ha soverchiato il corpo. Il capo dominante sulle membra malate sembra costruito secondo i rapporti logici necessari per un piano sociale. (Piero Gobetti)
  • Antonio Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci con Lenin. (Luciano Gruppi)
  • Antonio Gramsci non è solo il filosofo italiano più letto e tradotto nel mondo. Antonio Gramsci è soprattutto una cosa: lotta. Lotta per un mondo migliore, per la sanità e scuola pubblica, per il diritto e il dovere del lavoro, per lo stato sociale, per l'eliminazione della povertà e delle disparità nord-sud e soprattutto lotta per dare potere a chi realmente crea ricchezza nella società, i lavoratori. (Jorit)
  • Che dal pensiero dell'ultimo Gramsci risulti un distacco rispetto a Stalin è menzogna: Gramsci ne approvava anche i tratti che oggi vengono qualificati "autoritari", "dittatoriali" e peggio ancora. [...] Differenze possono risultare dai contesti consapevolmente diversi (occidente e oriente) e dalle diverse fasi e livelli di lotta in Unione Sovietica e, in particolare, nell'Italia fascista, cui Gramsci non poteva non pensare: ma Gramsci sarebbe stato il primo a farsi una grande risata se qualcuno gli avesse prospettato di applicare all'Unione Sovietica di Stalin le elaborazioni che egli faceva soprattutto per l'Italia di allora. (Aldo Bernardini)
  • Che peccato che un Gramsci si sia trovato nella condizione di sacrificare la sua intelligenza e la sua vita alla creazione della società più triste, più oppressiva, più noiosa, più funerea del mondo, la civiltà comunista. (Giuseppe Prezzolini)
  • Di Mattioli si sa che pur essendo il più eminente banchiere italiano di quegli anni, ha sempre procurato ad Antonio Gramsci, fondatore del Pci e prigioniero dei fascisti tutti i libri che desiderava e più tardi ha pagato personalmente le spese della clinica dove Gramsci era stato ricoverato. Lo stesso Mattioli ha conservato per molto tempo nella sua cassaforte di Piazza Scala i Quaderni dal carcere di Gramsci prima di farli avere clandestinamente all’amico Pietro Sraffa a Cambridge. (Giuseppe Turani)
  • Ho analizzato a lungo la calligrafia di Gramsci, che era infantile. Ma la cosa più straordinaria erano le cancellature. Gramsci cancellava con una linea esilissima: dimostrava di avere elevato il dubbio a sistema di conoscenza. (Raf Vallone)
  • Il grande merito di Gramsci sta appunto nell'aver profondamente inteso la necessità di storicizzare il marxismo nel nostro paese, rispetto alla storia culturale italiana, cioè rispetto all'idealismo storicistico e allo spiritualismo cattolico, e di essersi proposto il compito – rimasto purtroppo allo stato di abbozzo – di elaborare da parte marxista la risposta adeguata alla operosità antimarxista della cultura tradizionale. [...] Attraverso Gramsci per la prima volta da parte di un militante italiano della classe operaia venne effettuato il tentativo di fare i conti con la storia culturale della nazione, con l'Italia che ebbe la Rinascenza, che non ebbe la Riforma, che dopo il Rinascimento ebbe la Controriforma, che cercò di risollevarsi a una funzione culturale universale attraverso il Risorgimento, e che tuttavia, dopo il 1870, si ripiegò quasi su sé stessa, lasciando disperdere e isterilire i fermenti dell'età precedente; con l'Italia che si inserì di nuovo nella grande tradizione culturale europea attraverso l’idealismo storicistico, svolgendo e manifestando innanzi alla coscienza culturale della filosofia classica tedesca; con l'Italia concreta, storica, hic et nunc determinata, con le sue strutture sociali, col suo Mezzogiorno disgregato e col suo Cristo fermo a Eboli, secondo l'immagine che piacque al Levi. Per questa Italia Gramsci operò e scrisse [...]. Questo lavoro, appena iniziato da Gramsci, è ora che sia portato innanzi, sistematicamente svolto, sì da formare tradizione culturale, ma tradizione vivente, che aspiri a diventare ordine e organismo e si muova senza sosta. (Ernesto de Martino)
  • Il nostro gusto deve pur valere qualche cosa anche sui pareri avvolpacchiati dei critici moderni alla Gramsci. (Cesare Angelini)
  • In questo grande quadro, decisivo è stato l'impulso dato in Italia dal fondatore del nostro partito, Antonio Gramsci, uno dei più originali pensatori dei nostri tempi, il più grande degli italiani dell'epoca nostra, per la traccia incancellabile che col pensiero e coll'azione egli ha lasciato. Con Gramsci il marxismo, liberato dalle parassitarie deformazioni del fatalismo positivistico e del materialismo volgare, riacquista tutto il suo valore di concezione del mondo e visione integrale della storia. È di nuovo guida dell'azione e del pensiero in tutti i campi, non solo nella ricerca puramente politica, ma nella critica di una decrepita cultura idealistica incapace di farci capire il mondo di ieri e di oggi, nella costruzione di una cultura nuova e nella lotta per il rinnovamento della società. (Palmiro Togliatti)
  • La tragedia di un uomo e di una donna non invecchia con il tempo, non finisce di commuoverci: la sua evidenza è come fissata dalla rispondenza dei sentimenti che ogni generazione possiede al pari delle precedenti. Verrebbe fatto, semplicemente, di continuare a chiosarla, a riempirla di riscontri. (Paolo Spriano)
  • Nella cella di una prigione fascista a Turi, nell’Italia meridionale, nel 1930, un anno dopo il crollo di Wall Street del 1929, otto anni dopo la marcia su Roma di Mussolini, tre anni prima dell’avvento al potere di Hitler, il leader del Partito comunista italiano Antonio Gramsci scrisse questa famosa riflessione: La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. [...] Gramsci spiegava che la crisi, quando il vecchio muore e il nuovo non è ancora nato, consisteva in una «crisi di autorità»: le classi dominanti stavano perdendo terreno, scemava il consenso che ne sosteneva il potere e la presa ideologica sulle masse stava loro sfuggendo. Queste masse, spiegava, non seguivano più le ideologie tradizionali, ma stavano diventando progressivamente più ciniche e scettiche. Non credevano più nelle élite. E questo le élite lo sapevano. (Donald Sassoon)
  • Nonostante le circostanze a cui è stato sottoposto, non si è inchinato. I suoi ideali ci chiamano a continuare la lotta contro il fascismo. (Nicolas Maduro)
  • Se Gramsci avesse letto con attenzione Machiavelli non ne avrebbe fatto un apostolo della classe contadina. È un elogio di schiavi ingenui, non di popolo politico. (Giuseppe Prezzolini)
  • Sì, penso che Gramsci sia il Gandhi italiano, perché ha organizzato le masse, perché sapeva farsi capire da tutti, perché non ha spinto il proletariato verso una rivoluzione armata che probabilmente avrebbe distrutto la classe operaia. (Ben Kingsley)
  • Uno degli omaggi nefasti, ma indubbiamente significativo, è quello che disse Mussolini, quando in una indicazione alla polizia segreta diceva "il cervello di quest'uomo non deve fare più danno". Ma il cervello di quest'uomo è riuscito comunque a uscire dalle gabbie della prigione fascista, a uscire dalla gabbia della morte, e a rendere attuale e presente l'insegnamento del Gramsci rivoluzionario e segretario del Partito Comunista Italiano. (Marco Rizzo)
  • Voler rivendicare Gramsci con manifestazioni di partito è da museo del soviet supremo. Siamo agli antipodi di un rapporto laico tra cultura e politica. Del grande pensatore si sono appropriati tutti, ma santificarlo è un modo per immiserirlo. (Sergio Chiamparino)
  • Gramsci aveva una maggiore sensibilità umana, più spontaneo, aperto. Togliatti, sembrerà strano, era molto più intellettuale.
  • Mentre per Gramsci ciò che importava e prevaleva nella prospettiva rivoluzionaria era l'Internazionale, Togliatti ne limitava l'arco al partito sovietico.
  • [Sull'ultimo incontro con Antonio Gramsci] Ricordo il nostro ultimo incontro al IV braccio di Regina Coeli. Era all'indomani della condanna del tribunale speciale. Dovevamo partire per il reclusorio. Ci salutammo. Cosa faremo ora, gli dissi? Studieremo ancora mi rispose. E poi? Studieremo ancora. Ma i libri? Ne abbiamo avuti e letti tanti e non sapevamo di quali tesori disponevamo. Ci aiuti, proseguì Gramsci, la memoria e anche la nostra intelligenza. Dalla sua memoria e dalla sua intelligenza vennero i 35 Quaderni del carcere. Attraverso i quaderni, caduto il fascismo, Antonio Gramsci è rientrato nella vita italiana improvvisamente vivo.

Note

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  1. Da I giornali e gli operai, Avanti!, 22 dicembre 1916.
  2. a b c d Citato in Il nostro Marx, Resistenze.org.
  3. Da Fuori della realtà, L'Ordine Nuovo, 17 giugno 1921.
  4. a b Da Cronache teatrali dell'«Avanti!»; citato in Raffaele Di Florio, Gramsci, cronache teatrali dall'«Avanti!»: Angelo Musco, Quartaparetepress.it, 30 marzo 2012
  5. Da Democrazia operaia, L'Ordine Nuovo, 21 giugno 1919.
  6. Da Il lanzo ubriaco, Avanti!, anno XXIV, n. 42, 18 febbraio 1920 (editoriale). L'articolo è stato raccolto nel volume di Antonio Gramsci: L'Ordine nuovo 1919-1920, a cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1987, p. 422.
  7. Da La Consolata e i cattolici, Piove, governo ladro!, pp. 45-46, Editori Riuniti.
  8. Da La volontà delle masse, in l'Unità, 24 giugno 1925.
  9. 1924; citato in Giuseppe Berta, La cooperazione impossibile: la Fiat, Torino e il biennio rosso, in AA.VV., Fiat 1899-1930. Storia e documenti, Fabbri, Milano, 1991, pp. 223-224.
  10. Dalla lettera spedita a Chiara Passarge, sua padrona di casa a Roma (via G.B. Morgagni 25), pochi giorni dopo l'arresto, avvenuto a Roma l'8 novembre 1926; citato in Gramsci sulle orme di Fozio, Corriere della Sera, 8 dicembre 2016.
  11. Da Americanismo e fordismo, Il cosiddetto «mistero di Napoli», Quaderni dal carcere, citato in Americanismo e Fordismo, introduzione, p. 7, istitutogramscigr.it.
  12. Citato in Curzio Maltese, La Questua. Quanto costa la questua agli italiani. Con Le ragioni di un inchiesta di Ezio Mauro, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 100.
  13. Il riferimento è all'incipit del Vangelo secondo Giovanni.
  14. Il riferimento è a un pensiero di Stanislaw Przybyszewski del 1893. Da La città futura, 1917-1918, a cura di Sergio Caprioglio, Einaudi. Riportato anche in Letteratura e vita nazionale e in Quaderni del carcere.
  15. Citato in Claudia de Lillo, Puntare sulla scuola e investire sugli uomini di domani, Repubblica.it, 11 settembre 2023.
  16. Da L'Ordine Nuovo, anno I, n. 1, 1° maggio 1919. Vedi immagine del primo numero de L'Ordine Nuovo.
  17. Da La città futura.
  18. Da Italia e Spagna, L'Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70.
  19. Da Indifferenti, La città futura, numero unico, 11 febbraio 1917.
  20. Da L'ordine nuovo, 1919-19202, G. Einaudi, Torino, 1949, p. 263.
  21. Da Italiani e cinesi, L'Avanti, 18 luglio 1919.
  22. Da Socialismo e cultura, Il Grido del popolo, 29 gennaio 1916.
  23. Citato in Giovanni Cedrone, Il giornalismo secondo Gramsci: 1500 articoli "contro", rivendicati fino al tribunale fascista, Repubblica.it, 7 aprile 2017.
  24. Da Socialismo e fascismo: l'Ordine Nuovo. 1921-1922, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1966, p.188.
  25. Dalla lettera alla madre, 10 maggio 1928, in La formazione dell'uomo: scritti di pedagogia, a cura di Giovanni Urbani, Editori Riuniti.
  26. Citato in Antonio Cornacchia, Il latino nella scuola dell'Italia unita, Bologna, 1979, p. 149.
  27. Cfr. Christian Friedrich Hebbel, Diario, traduzione di Scipio Slataper, Carabba, Lanciano, 1912, p. 82, riflessione n. 2127: «Vivere significa esser partigiani.»
  28. Da Indifferenti, La città futura, numero unico, 11 febbraio 1917.
  29. Da Capodanno, Avanti!, 1 gennaio 1916; citato in Odio il capodanno, firmato Antonio Gramsci, Internazionale.it, 31 dicembre 2014.
  30. Da Classicismo, Romanticismo, Baratono..., L'Ordine Nuovo, 17 gennaio 1922; ora in Socialismo e fascismo: L'Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi.
  31. Dalla lettera del 30 giugno 1924, da Lettere 1908-1926, Einaudi.
  32. Citato in Struttura sovrastruttura, Gramscitalia.it.
  33. Da Socialismo e fascismo. L'ordine nuovo 1921-1922, Einaudi, Torino, 1966, p. 527.
  34. Da Una lettera a Trotskij sul futurismo, in Scritti politici, vol. I, PGreco Edizioni, Milano, p. 529. ISBN 9788868021719
  35. Da Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Editori riuniti, Roma, 19963. ISBN 88-359-4074-5
  36. Citato in Palmiro Togliatti, Il partito comunista italiano, Editori Riuniti, Roma 19974, cap. VIII, p. 80.
  37. Dalla lettera a Chiara Passarge, sua padrona di casa a Roma (via G.B. Morgagni 25), pochi giorni dopo l'arresto, avvenuto a Roma l'8 novembre 1926; citato in Luciano Canfora Gramsci sulle orme di Fozio, Corriere della Sera, 8 dicembre 2016.
  38. Cfr. Giancarlo Bergami, Studi Piemontesi, Torino, marzo 1988, vol. XVII.
  39. a b Da Il Grido del popolo, 1º aprile 1916.
  40. Il manoscritto andò smarrito nei giorni dell'arresto di Gramsci e fu ritrovato da Camilla Ravera tra le carte che Gramsci abbandonò nell'abitazione di via Morgagni. Il saggio fu pubblicato nel gennaio 1930 a Parigi nella rivista Stato Operaio, con una nota in cui è detto: «Lo scritto non è completo e probabilmente sarebbe stato ancora ritoccato dall'autore, qua e là. Lo riproduciamo senza alcuna correzione, come il migliore documento di un pensiero politico comunista, incomparabilmente profondo, forte, originale, ricco degli sviluppi più ampi.» Cfr. La questione meridionale, p. 38.
  41. Dal titolo del libro del filosofo anarchico Max Stirner L'unico e la sua proprietà, tradotto in italiano nel 1902. [Nota del curatore]
  42. Gramsci giunse al carcere di San Vittore il 7 febbraio 1927.
  43. Data l'assegnazione al confino politico, Gramsci abitò in una casa privata nell'isola di Ustica dal 7 dicembre 1926 al 20 gennaio 1927, insieme ad altri compagni confinati.
  44. Antonio Gramsci - 'Cultura' non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, su libriantichionline.com.
  45. Della storia della lingua italiana e dei fattori che determinano la sua elaborazione unitaria.
  46. Citato in Renzo Martinelli, Un dialogo tra grammatici: Panzini e Gramsci, in Belfagor, XLIV, 6, 1989, p. 687; riportato in Matteo Grassano, Alfredo Panzini: tra lessicografia e grammatica, p. 231, unibg.it.
  47. Da un saggio scolastico, manoscritto, probabilmente del novembre 1910.
  48. Da L'Ordine Nuovo, I, n. 2, 15 maggio 1919, rubrica La battaglia delle idee.
  49. Da Avanti!, edizione piemontese, 19 agosto 1916.
  50. Da L'Ordine Nuovo, 26 aprile 1921; in Gramsci: Socialismo e fascismo. L'ordine nuovo 1921-1922, Einaudi, 1966.
  51. Da Socialismo e Fascismo. L'Ordine Nuovo (1021-1922), Einaudi, Torino, 1966, pp. 9-12. Citato in Matteo Pasetti, Storia dei fascismi in Europa, Archetipo Libri, Bologna, 2011, p. 165. ISBN 9788866330387
  52. Da L'Ordine Nuovo, 1º marzo 1924; pubblicato successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario, in l'Unità, 6 novembre 1924.
  53. Da Stato operaio, 28 agosto 1924. Anche in L'Ordine Nuovo, 1º settembre 1924; in Scritti scelti, Bur, p. 303. ISBN 8858602552
  54. Dall'intervento dell'on. A. Gramsci, Discussione Legge sulle Associazioni, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, tornata del 16 maggio 1925; pubblicato in l'Unità, 23 maggio 1925.
  55. Il titolo originale è in realtà «'L sindich (il sindaco)».
  56. Nestore: personaggio della mitologia greca, uno dei protagonisti dell'Iliade. Termine usato per indicare persona anziana e autorevole.
  57. Tritone: nella mitologia greca, essere favoloso mezzo uomo e mezzo pesce.

Bibliografia

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