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LORENZO DE’ MEDICI
119 | ii |
Dove, pensier miei dolci, mi lasciate?
Sì ben la scorta a piè già stanchi fate
4Al dolce albergo ove il mio ben dimora?
Qui non Zeffiro, qui non balla Flora,
Nè son le piagge d’erbe e fiori ornate:
Silenzi, ombre, terror, venti e brinate,
8Boschi, sassi, acque il piè tardano ognora.
Voi vi partite pur, e gite a quella,
Vostro antico ricetto e del mio core:
11Io resto nell’oscure ombre soletto:
II cammin cieco a’ piedi insegna amore,
C’ho sempre in me, dell’una e l’altra stella;
14Nè gli occhi hanno altro lume che l’obietto.
120 | iii |
Quanto fallace ciaschedun disegno,
Quanto sia il mondo d’ignoranza pregno,
4La maestra del tutto, Morte, il mostra.
Altri si vive in canti e ’n balli e ’n giostra;
Altri a cosa gentil muove l’ingegno;
Altri il mondo ha e le sue cose a sdegno;
8Altri quel che dentro ha fuor non dimostra.
Vane cure e pensier, diverse sorte
Per la diversità che dà natura,
11Si vede ciascun tempo al mondo errante.
Ogni cosa è fugace e poco dura;
Tanto Fortuna al mondo è mal costante:
14Sola sta ferma e sempre dura Morte.
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