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VINCENZO DA FILICAIA
238 | (All’Italia) i |
Dono infelice di bellezza, ond’hai
Funesta dote d’infiniti guai,
4Che in fronte scritti per gran doglia porte;
Deh, fossi tu men bella, o almen più forte,
Onde assai più ti paventasse, o assai
T’amasse men chi del tuo bello ai rai
8Par che si strugga, e pur ti sfida a morte!
Ch’or già dall’Alpi non vedrei torrenti
Scender d’armati, e del tuo sangue tinta
11Bever l’onda del Po gallici armenti.
Nè te vedrei del non tuo ferro cinta
Pugnar col braccio di straniere genti,
14Per servir sempre o vincitrice o vinta.
239 | ii |
Tu dell’altrui? Non è, s’io scorgo il vero,
Di chi t’offende il difensor men fero:
4Ambo nemici sono, ambo fur servi.
Così dunque l’onor, così conservi
Gli avanzi tu del glorïoso impero?
Così al valor, così al valor primiero
8Che a te fede giurò la fede osservi?
Or va; repudia il valor prisco, e sposa
L’ozio, e fra ’l sangue, i gemiti e le strida
11Nel periglio maggior dormi e riposa.
Dormi, adultera vil, fin che omicida
Spada ultrice ti svegli, e sonnacchiosa
14E nuda in braccio al tuo fedel t’uccida.
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