Tosto, che di valor s'erge sublime
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XXXI
PER ENRICO DANDOLO
DOGE DI VENEZIA.
Tosto, che di valor s’erge sublime
Anima fortunata,
Che di vil plebe non saetta il segno,
Del bel Parnaso in sull’aeree cime
5N’alzan voce beata
Le vaghe Dee, ch’anno ivi eterno il regno.
E su canoro legno
D’auree corde felice
Move destra per lei Febo lucente
10Della Morte, e del Tempo espugnatrice:
Arida Invidia, che da lunge il sente,
Gonfia il cor di venen, geme dolente.
Ma tra’ mortali invidïosi e rei,
Cigno di Dirce amico,
15Soavi modi lusingando spira:
Dunque, benché sonar plettri Febei,
Già fe’ il Dandolo Enrico,
E come non mortal Pindo l’ammira.
Tu la Tebana lira
20Alto contempra all’arco;
Di’, che di Tifi ei pria s’aprì con l’arte,
Indi col ferro, al gran Bizanzio il varco,
E scosse per l’Egeo l’isole sparte
Su’ campi di Nereo turbo di Marte.
25E pur quando canuto i legni ascese,
Spargeva Invidia voce:
Giason di gel per Oceán sì vasto?
Ma nulla il cor l’invida voce intese,
Ma membrava feroce
30Nestore a Troja, e sotto Tebe Adrasto,
Allor ch’alto contrasto
Fu dell’altrui rapina,
E guerreggiando il violato impero,
Armò l’etate al tramontar vicina;
35Se ben aspro voler ruppe il sentiero,
Quasi onda di torrente, al bel pensiero.
Dolce mirarsi alma corona in fronte:
Ma pur ciascun mortale
Adori il Ciel per la beata sorte;
40Cui d’Edipo non son, cui non son conte
Di sua stirpe reale
Tragiche voci? Istoria empia di morte.
Già del fratel men forte
Lunge errò Polinice,
45E per la Grecia regnator bandito,
Offerse al guardo uman vista infelice;
Al fin girò, d’Argo fecondo al lito
Spinto da ria fortuna, il piè romito.
Ivi impetra real Vergine sposa,
50E di pugnar consiglio
Tenne col re sovra l’ingiurie estreme,
Ed ei ratto inchinò la fronte annosa;
Che mal scerne periglio
Pensier mortale, ove all’imperio ha speme:
55Cosi feroci insieme
Sorsero Argo, e Micene,
E dell’Etolia fulminosi i cori,
E tutte fiammeggiar l’aure serene.
Feano sul duro acciar le gemme e gli ori,
60E sparsi in ostro gli eritrei splendori.
Ei chiuso d’elmo in faticoso usbergo,
Lieto nel cor vedea
Sotto i ferrati piè tremarsi il prato;
E nevoso la chioma, e curvo il tergo,
65Gli occhi stanchi chiudea
De’ bronzi intorti al formidabil fiato:
Ben tra le schiere armato,
Ben minacciar le mura
Poteva Adrasto a Polinice infide;
70Ma fu dall’alto con mirabil cura
La patria il Ciel nella battaglia vide,
In duro tempo, difensor d’Alcide.
Quinci le fauci immense apre la terra,
E i sommi duci inghiotte;
75Quinci il Ciel Capaneo fulmina orrendo
Là dove anco ei più fier fulmina in guerra.
Ei già sparte, ei già rotte
Le moli immense, ed ei già salía vincendo
Quand’ecco stral tremendo
80Dalla destra alta eterna
Gli ossi, i nervi, le membra arde e dissolve;
E come d’Issïon la rota inferna
L’acceso busto per lo Ciel travolve,
Spettacolo funesto! in fumo, in polve.
85O man, già per lungo uso a trovar presta
Gli acuti modi e gravi,
Suono da Febo agli altrui pregi eletto,
Perchè sull’ore dolci atra e funesta
Tra le corde soavi
90Hai lungamente di toccar diletto?
E tu per or nel petto
Frena, o lingua vagante,
Le note, i versi intorno a Tebe audaci,
Che là ne chiama il fier Leon volante,
95Ov’ei spiega, ruggendo, unghie vivaci,
Bel vincitor sopra gl’imperj Traci.
Ned ei si forte in vêr l’aurora assalto,
Nè di Nettun su i regni
Mosse di sangue maculato e tinto!
100Ma ciò che in terra feo, ciò, che nell’alto,
Mal capiranno i segni,
Onde un sol canto di mia cetra è cinto;
Ben posso dir succinto,
Che s’or tra l’armi ardisce
105Adria, e se in guerra ogni suo lauro è certo,
Se d’ingegni, e di leggi aurea fiorisce,
Se calle trova a somma gloria aperto,
Solo d’Enrico glorioso è merto.