Il Giugurtino
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IL GIUGURTINO
DI
C. CRISPO SALLUSTIO
CAPITOLO I.
A torto si lamentano gli uomini della loro natura, dicendo che è fievole1 e di brieve tempo, e si regge per ventura più che per senno e virtù: chè, ripensando tu contra ciò2, troverai bene che non è niuna cosa più gentile nè più bastevole3 che sia la natura umana, e che maggiormente gli manca4 lo senno e la bontà degli uomini che non manca potenzia nè tempo. E il reggitore e il signore della vita è il nostro animo, il quale, quando si studia e briga ad onore per via di virtù, ha assai di valore, di potenzia e di fama, e non ha bisogno di ventura: la quale valenzia nè sapienzia o altre buone arti non puote dare nè tôrre a niuno uomo. Ma, se l’animo è preso da sozzi e perversi desiderii, e a pigrizia e a corporali diletti sottomesso, avendo un poco usata sua malvagia voglia, poichè, per sua miseria5, la forza, il tempo e l’ingegno saranno trascorsi, incolpasi ed accusasi la debolezza della natura; e la sua colpa ciascuno operatore trasmuta e appone ad altri fatti6. Ma, se gli uomini avessono tanto studio di buone cose7 quanto eglino hanno ad avere le cose altrui, le quali non prode8, ma molto pericolo recano, nè fossono retti da ventura, anzi eglino maggiormente reggessono lei; a tanta grandezza verrebbono, che eglino, i quali sono mortali, sarebbono folti eternali e per onore e per gloria. Che, siccome l’umana generazione è composta di corpo e d’anima, così tutti nostri studii o seguitano la natura del corpo o quella dell’inumo. Quelle cose che sono corporali, come è bellezza di faccia, ricchezze, forza, e tutte altre cotali cose, in brieve tempo trapassano: ma li grandi e valorosi falli dello ingegno, così come l’anima, sono immortali. All’ultimo il corpo e i beni della ventura, come hanno cominciamento, così hanno fine: tutte cose, che sono venute, si caggiono, e, crescendo, invecchiano; l’animo, eterno rettore dell’umana generazione, dura sempre, e signoreggia ogni cosa, e da niuna egli è signoreggiato. Per la qual cosa è più da maravigliare della perversità di coloro, li quali, dati all’allegrezze corporali, per lussuria e per miseria menano lor vita9; e lo ingegno, del quale nulla cosa è migliore nò più dignitosa nella natura degli uomini, eglino, per non curare e per pigrizia, intiepidire e incattivire lasciano10: specialmente conciossiacosachè sieno così molte e isvariate arti d’animo11, per le quali sommo onore è apparecchiato. Veramente, essendo fra questo numero le dignità e gl’imperi e ogni cura di repubblica, non mi pare che a questi tempi sieno da desiderare12: perocchè nè alli virtudiosi13 sono dati gli onori, nè quelli, che gli hanno per fraudo, sono però sicuri o più lodevoli, anzi sono in maggiore molestia. Chè reggere la patria o li suggelli per. isforzamento di signoreggiare14, avvegnachè tu possi, e tu gastighi i mali, è cosa non comportevole; specialmente ora che tutti i mutamenti dimostrano tagliamento15, fuga e altre cose moleste e nimichevoli. E sforzarsi per niente, e per sua fatica non cercare altro che odio, si è lo stremo e l’ultimo di stoltizia16; se non a colui, il quale è occupato e tenuto dal disonesto17 e pestilenzioso desiderio di ciò, che alla potenza d’alquanti grandi l’onore e la libertà sua in grazia vegna. Ma fra li altri buoni fatti, li quali per ingegno s’adoperano, principalmente è a grande utilità18 la memoria delle veraci istorie: della cui virtù, perocchè molti n’hanno già detto, parmene da tacere; e anche perocchè non creda uomo che19, per superbia, io medesimo, lodando il mio studio, mi voglia magnificare. Ma io credo ch’avverrà che, perocch’io m’ho deliberato di menare mia vita spartita in lutto dalla repubblica20, a così grande e così utile fatica mia porranno nome di miseria e di pigrizia21 coloro certo, a’ quali pare grandissimo senno e bontà di salutare il popolo, e andar cercando grazia per conviti o per simiglianti cose, a poter pervenire agli onori22. I quali, se eglino penseranno in che tempo io conquistai e venni alle dignitadi, le quali eglino non poterono avere, e poi quali uomini sieno questi che al senato sono pervenuti; eglino giudicheranno certamente che io per ragione più che per pigrizia ho mutato lo giudicio del mio animo, e che maggior bene verrà alla repubblica del mio riposo che dell’altrui operare23. Chè io spessamente udii Quinto Massimo, Publio Scipione, e altri grandi e famosi uomini di nostra città, che erano usati di dire che, quando egli riguardavano le immagini de’ loro maggiori, fortissimamente l’animo loro s’accendea a virtude: cioè non che quella cera nè quella figura avesse in sè tanto di virtù che potesse ciò fare; ma che per la memoria di lor fatti quella fiamma cresceva nel petto a tali uomini, che non si potea attutare24 nè mancare infino a tanto che la loro virtù fosse tale che agguagliasse la gloria de’ loro maggiori. Ma chi è oggi uomo di tali costumi? Chi è che non contenda di ricchezza e d’avere25, e non di prodezza e di bontà26, con niuno suo maggiore27? Eziandio uomini nuovi28, li quali per virtù erano usati d’avanzare i gentili, oggi furtivamente, e quasi per ladroneccio, più che per buone arti, a signorie e onori si brigano di venire: quasi come la pretura, il consolato, e tutti altri cotali officii29, per loro medesimi sieno gloriosi e magnifici, e non sieno per tanto quanto è la virtù di quelli che li tengono. Veramante io più liberamente e più alto sono andato30, da che de’ costumi e de’ modi della città m’incresce e pesa as«ai31: onde ritorno al mio proponimento.
CAPITOLO II.
Di che intende Sallustio parlare in questo libro.
Io intendo di scrivere la guerra la quale il popolo di Roma ebbe con Giugurta re di Numidia: prima perocchè fu grande e crudele, e isvariate vittorie da ciascuna parte; anche perocchè allora prima fu contrastato alla superbia e al rigoglio degli nobili32 contra il popolo. La quale contenzione mescolò le cose tutte, e quelle d’Iddio e degli uomini, e a tanto di stoltizia procedè, che le brighe della città faceano lor fine a battaglia, ed a guastamento di tutta Italia. Ma, prima che io di questa cosa cominci, farommi un poco più da lungi33, acciocchè a intendere tutto sieno le cose più chiare e aperte.
CAPITOLO III.
Della generazione di Giugurta, e de' suoi costumi.
Nella seconda guerra affricana, nella quale il duca34 de’ Cartaginesi Annibale avea in tutto atterrato la grandezza di Roma e la potenzia e ricchezza d’Italia, Massinissa re di Numidia, ricevuto in amistà da P. Sci- pieno, il quale poi ebbe soprannome dalla sua virtude35 Affricano, fece molti e gran fatti di battaglie36 e di valenzie: per la qual cosa, avendo vinti i Cartaginesi e preso uno ch’avea nome Siface, ch’era in Affrica gran signore, il popolo di Roma tutte terre e ville, le quali il detto re per sua battaglia avea conquistate, gli diede per dono. Cosi l’amistade di Massinissa buona e onesta fu a noi: e finio lo imperio37 e la vita sua. Dopo lui Micipsa suo figliuolo solo tenne il reame, essendo morti per infermità Manastabale e Gulussa suoi fratelli. Il detto Micipsa ebbe due figliuoli, cioè Aderbale e Jempsale, e ritenne seco Giugurta figliuolo di Manastabale, il quale Massinissa suo avolo avea lasciato privato in tutto del reame, perchè era bastardo: lui tenne Micipsa a guisa degli suoi figliuoli. II quale, sì tosto che cominciò a crescere, essendo forte e prode, bello nella faccia, ma molto più valoroso d’ingegno, non si diede a ciò, che per lussuria nè per pigrizia guastasse sè medesimo, ma, siccome è usato in quelle contrade, si diede a ben cavalcare, lanciare a prova con gli altri suoi iguali, a correre; e, conciossiacosa ch’egli tutti avanzasse per gloria, nientemeno a tutti era caro. Anche più tempo menava in cacciare li leoni e altre fiere. Egli primo, ovvero in prima38, fedia: molto facea, e pochissimo di sè parlava.
CAPITOLO IV.
Come Micipsa mandò Giuguria a Numanzia.
Di queste cose Micipsa avvegnachè al cominciamento fosse suto lieto, credendo che la sua gran virtude fosse a grande onore del suo reame, imperlante, poichè egli ripensò e vide che Giugurta già era fatto grande, e li suoi figliuoli erano piccolini, e che Giugurta continuamente crescea in bene, forte nella mente commosso, molte cose rivolgea nel suo animo. Metteagli paura39, cioè, che la natura dell’uomo è desiderosa di signoria, e corrente40 a compiere suo desiderio; anche gli mtltea paura la sua età e quella de’ flgliuoli, perocch’egli era già vecchio, e i suoi figliuoli molto garzoni; e che41 da ciascuna parte era in Giugurta agio di male* il quale agio eziandio gli uomini mezzani per isperanza di preda fo intraversare42; anche, che lo studio degli Numidi era molto acceso all’amore di Giugurta, per la qua! cosà egli ritemea che, s’egli tale uomo uccidesse per inganno o tradimento, che non nascesse alcuno rumore o battaglia, e così era In angosciosi pensieri* E, per tali molestie compreso43 poiché vide che nè per forza nè per inganno potea uccidere uomo così accetto e caro al popolo, perocché era Giugurta forte delle braccia, e pronto e desideroso d’onore di cavalleria44; diliberò Micipsa di metterlo alli pericoli» e in quésto modo tentare e cercare la ventura. Sicché nella guerra numantina, mandando . Micipsa cavalieri e pedoni in ajuto del popolo romano, sì il fece signore degli Numidi, li quali mandava là in Ispagna, sperando che egli, o in volére mostrare sua virtù, ovvero per potenzia, o per crudeltà de’nimici, leggermente45 dovesse morire. Ma questa cosa molto altrimenti divenne46 ch’egli non pensò: chè Giugurta, siccome uomo che era sollecito e dì grande ingegno47, poiché vide la natura 4i Publio Scipione, il quale era allora imperadore (a)48, e conobbe anche i.costumi e modi de’nimici; con molta fatica e con molto studio, anche molto approvvedutamenle49 ubbidendo al signore, andando contra gli nimici, a tanta chiarità e lode venne in brieve tempo, che alli nostri fortemente caro, e agli Numantini era a grande paura. Egli avea prima quello, che è molto co?a malagevole, cioè ch’era valente in battaglia, e savio in consiglio: delle quali cose la seconda suole talora per la grande provedenzia50 fare timoroso, e la prima per l’ardire rendere altrui matto» Per questo lo imperadore quasi tutti gli gran fatti faceva per Giugurta51; e tenealo fra gli cari amici; e ogni di l’amava più: come colui, cui nè consiglio nè cominciamento niuno era, che non venisse ben fatto52.E con queste cose avea Giugurta larghezza e cortesia in suo cuore, e in opere grande accortezza di senno: per le quali cose molti degli Romani s’avea fatti famigliari e amici. CAPITOLO V
Come parlavano a Giugurta certi Romani e come gli parlava Scipione.
In quel tempo nell’oste nostra furono molti e de’nuovi53 * e de’nobili, a’quali la pecunia più che bene o dirittura era cara: uomini ordinatori e disponitori di male, potenti in loro terra, appresso loro Compagni famosi più che onesti o buoni542. Questi accendeano l’animo di (Jiugurla non poco, promettendogli che, se per alcun modo Micipsa morisse, egli solo avrebbe Io reame di Numidia: diceangli com’egli era uomo di gran virtù, e come a Roma ogni cosa si rivendea. Ma, poiché, distrutta Numanzia, Publio Scipionè determinò di rimandare tutti quegli ch’erano venuti in ajuto, e egli medesimo di ritornare a Roma; avendo fatto grandi e onorevoli doni a Giugurta, e avendolo molto in parlamento55 3 lodato, sì’l menò dentro là dove dimorava: e segretamante l’ammoni ch’egli piuttosto volesse e studiasse d’avere l’amistà del popolo di Roma in pubblico che in privato, e che egli non adusasse56 4 di fare doni per tal cagione a niuno: chè pericolósamente si compra da pochi quello eh’è di molti. S’egli volesse perseverare nelle sue arti buone, senza niuno dubbio, per sè medesimo, e onore e gloria e reame gli verrebbe; ma,s’egli volesse avere troppa fretta/e tenere altra via, la sua pecunia e egli medesimo caderebbe duramente e verrebbe a niente57. Poich’ebbe così parlato, sì l’accommiatò con lettere, le quali dovesse dare a Micipsa, che conteueano colai sentenza:
CAPITOLO VI.
Lettera di Scipione a Micipsa
Sappi del tuo Giugurta che nella guerra numantina Ia6ua virtù è suta grandissima a dismisura58 la qual cosa io so che a te è grande letizia. Egli a doì per li suoi meriti è molto caro, e che sia caro al senato e al popolo di Roma con sommo studio procacceremo. Allegrami con Ceco per l’amistà tua con noi. Ecco che tu hai uomo degno di te e del suo avolo Massinissa.
CAPITOLO VII.
Come Micipsa mutò l’animo in bene verso Giugurta•
Lo re9 poiché quello, eh’avea inteso per fama, conobbe per le lettere dello ’imperatore, per la virtù e per la grazia di Giugurta rimosse il suo animo, e preselo a vincere con grandi benefizii: e tantosto l’adottò per suo figliuolo, ein suo testamento con gli suoi figliuoli it fece erede. Poi, dopo pochi anni, aggravato d’infermità-e di vecchiezza, conoscendo chfera venuto il fine della sua vita, in presenza degli amici e de9 parenti, e anche d’Aderbale e di Jemsale, si dice eh9ebbe coli Giugurta cotale ragionamento:
CAPITOLO Vili.
Diceria di Micipsa quando venne a morte.
Piccolo te, Giugurta, avendo perduto tuo padre, essendo senza ricchezza e senza speranza, nel mìo regno ti ricevetti59 pensando bene che da te io non sarei tenuto men caro che dalli figliuoli ch’io ingenerato avessi60 e veramente non m’ingannai io. Chè, lasciando stare gli altri tuoi grandi e nobili fatti, tu alla perfine, ritornando di Numanzia, m’hai molto onorato, me e tutto il mio reame61; e per la tua virtù li Romani di amici hai fatti amicissimi; in Ispagna nominanza di nostro legnaggio è rinnovellata: a119 ultimo, quello che è molto malagevole, tu di laude e di gloria hai avanzato e vinto l’odio e la invidia d’altrui verso di te. Ora, perchè la natura mi fa fine di vita62, per questa mano destra63,per la fede del reame,ti ammonisco e ti scongiuro che tu costoro, li quali ti sono assai parenti per generazione e tuoi fratelli per mio beneficio, tenghi ca~ ri; e che tu non voglia prima aggiungerti quelli che sono stranieri, che quelli che sono del tuo sangue medesimo ritenere. Oste nè tesauro64 non sono ajuto o difensione del reamef ma gli fedeli amici, i quali nè per arme puoi costringere, nè per ricchezza bene acquistare: chè si acquistano per servizio e per ben mantenuta fede. E quale è più o maggior amico che’l fratello? o cui straniero troverai fedele, se65 sarai inimico a9tuoi? Certo io vi lascio reame molto fermo, se buoni sarete; ma9 se sarete rei, molto debole: chè per concordia le cose piccole crescono; per di* scordia le grandissime tracorrono66 e vengono meno. Ma principalmente a te, Giugurta, il quale se* maggior di tempo e di senno» conviene provvedere ch’altro non avvegna: perocché in ogni contenzione quegli che è più potente, eziandio se riceve la ingiuria, pare altrui ch’egli la faccia. Voi medesimi, Aderbale e Jemsale, onorale e osservate cotale uomo come è questi67 e seguitate la sua virtù68, e brigatevi che non paja ch’io abbia miglior figliuolo preso che quegli che io ingenerai. A queste cose Giugurta, avvegnach’egli conoscesse che queste erano parole infinte, e egli molto altramente si pensava, pertanto rispose benignamente, secondo il tempo69. £ Micipsa dopo pochi dì morio.
CAPITOLO IX.
Lo trattamento di Giugurta e d’Aderbate e Jemsale.
Poiché gli figliuoli ebbono fatto egualmente l’onore magnifico a modo di re, li detti tre regoluzzi70 furono insieme per trattare e ordinare def fatti del reame71. Ma Jemsale, il quale era minore di lutti, feroce per natura, dispregiando eziandio innanzi la condizione di Giugurta, perciocché da parte di madre non era loro pari, anzi assai vile, prese a mano destra Aderbale, e puoselo a sedere, acciocché Giugurta non sedesse in mezzo: la qual cosa appresso a quegli di Numidia è tenuta ad onore72. Aderbalo, volendo fare onore a Giugurta per io tempo eh’avea, e ritenuto e affaticato dal fratello, a gran pena potè fare che andasse dall’altra parte. Quivi ragionando di molte cose, che parteneano a governare Io reame, Giugurta, fra l’altre parole, si disse: che bisognava che tutti gli consigli e tutti gli ordinamenti fatti da cinque anni dovéssouo essere cassati73 perocché iti quegli tempi Micipsa aggravato di vecchiezza poco avea avuto valore di suo animo. Allora il detto Jemsale rispose che ciò gli piacea, perocché il terzo anno d’innanzi l’avea Micipsa per adozione fatto pervenire al reame: la quale parola nel petto di Giugurta passò molto forte, più che niuno uomo s’avesse pensato. Onde da quel tempo, d’ira e di paura angoscioso, studiava e ordinava, e quelle cose nell’animo avea, per le quali Jemsale ad inganno fosse compreso74. Le quali cose non venendo si tosto fatte, e non raumiliandosi75 il suo feroce animo, determinò che, in qualunque modo potesse, lo reo cominciamento recasse a fine. Ma nel primo ragunamento, il quale io dissi di sopra che fu fatto dagli regoluzzi, per certo disconsentimento era loro piaciuto che si dividessono i tesauri, e che si terminassono i confini76 del reame di ciascuno. Sicché s’ordinò certo tempo a fare l’uno fatto e l’altro, ma più tosto al partire della pecunia77 In fra questo andarono a’luoghi ch’erano prossimi alli tesauri, l’uno ad uno luogo, e l’altro-ad un altro*
CAPITOLO X.
Della morte di Jemsale.
Jemsale andò a una terra che si chiamava Tirmidia, nella quale intervenne che tornava78 in una casa che era d’uno masnadiere prossimo di Giugurta79, il quale sempre gli era suto caro ed accetto. Lui Giugurta per tal caso trovando ministro, fecegli grandi promesse, e sospinselo acciocché egli vada quasi come a vedere la sua casa, e apparecchi altre chiavi delle porte per potere aprire, perocché le chiavi veraci si portarono a Jemsale; e che, quando bisognasse, egli vi verrebbe con assai gente. II Numida tostamente fece quello che comandalo gli era; e poi, secondo che era ammaestralo r di notte vi menò déntro la gente di Giugurta. I quali, poiché per forza furono entrati nell’albergo É si partirono da una parte e dall’altra cercando il re; alcuni che dormiano, e alcuni che contro lor keniano, uccidendo: e cercavano li luoghi occulti, gli serragli80 ispézzavano* e di romore e di grida n’empievano tutto. Infra questo Jemsale Sa trovato nascosto in una cotal misera camera, eh* era della fante, nel qual laógo egli,al cominciamento, pauroso, non sappiendo che fare, era fuggito I Numidi giugurtini, secondq ch’era loro comandato, portarono il capo suo a Giugurta. Ma la fama di così gran male in pochi di fu manifesto e ragionato81 per tutta Affrica: e Aderbale e tutti quegli, ch’erano suti sotto Io imperio di Micipsà, furono impauriti. E partironsi i Numidi in due parti: li più seguitarono Aderbale, ma l’altro82 seguirono i migliori in battaglia. Onde Giugurta apparecchiò gente quanta potè maggiore, e ciltadi, parte per forza, altre per volontà, aggiunse a sua signoria: brigatasi di signoreggiare tutta Numidia. Aderbale, avvegnaché avesse mandato ambasciadori a Roma, i quali facessono assapere al senato la morte del suo fratello e le disavventure sue, niente meno, se* guitato per moltitudine di gente, s’apparecchiava di difendere per battaglia e per arme. Ma, poiché egli venne al combattere, fu vinto; e fuggi nella provincia prossima, e poi se ne venne verso Roma.
CAPITOLO XI.
Come Giugurta mandò ambasciadori a Roma.
Allora Giugurta, avendo compito li suoi consigli, poiché avea a soggezione tutta Numidia, nel.riposo ripensando nell’animo suo il gran male che fatto avea, temea il popolo di Roma, e contra la sua ira non avea nessuna speranza, se non nell’avarizia de’ nobili e nella sua pecunia. Onde dopo pochi giorni don molto oro e ariento83 mandò ambasciadori a Roma: a* quali comandò che prima riempiano gli antichi amici di molti doni, e poi accattino de’nuovi 8; e ciò che possono fare in acquistare donando e dando, non dubitino niente, anzi sicuramente facciano. Poiché gli ambasciadori furono a Roma venuti, secondo il comandamento del re, e agli loro osli e ad altri uomini84 l’autorità de’-quali nel senato era assai grande, egli mandarono grandi doni; tanto mutamento ne feciono, che Giugurta di grandissimo odio venne in grandissima grazia e favore de* nobili: de’quali alquanti indotti per {speranza d’avere, alcuni perchè aveano ricevuto, andarono parlando con tutti quegli del senato, e studiavano che conlra Giugurta non fosse consigliato gravemente85 E, poiché gli ambasciadori si confidavano assai, lo dì eh’era ordinalo sì fu dato loro il consiglio86. Allora Aderbale parlò in questo modo:
CAPITOLO XII.
Diceria d’Aderbale in senalo.
Padri conscrilli, Micipsa mio padre, quando vennne a morte, sì mi comandò che dei reame di Numidia solamente la procurazione tenessi per mia87 chè la ragione e lo imperio di quello reame era apppresso a voi: anche,ch’io mi brigassi in pace e in guerra di servire al popolo di Roma; voi in luogo di parenti ritenessi; e che, s’io facessi queste cose, io nella vostra amistà genti e ricchezze e guarnimento del reame avrei88. Li quali comandamenti di mio padre ripensando e ritenendo io, Giugurta, uomo sopra tutti quegli, che la terra sostiene, più scelcratissimo89, dispregiato lo imperio vostro, me, di Massinissa nipote, e dal comincia-mento di mio lignaggio compagno e amico del popolo di Roma, del rea-* me e di tutte mie venture90 m’ha discaccialo. Ma io, o Padri conscrilli, da che a queste miserie venir dovea, vorrei piuttosto per miei beueficii» che per quegli de’mici maggiori potere ajutorio addomandare; e primiera menle e specialmente che il popolo di Roma m’avesse a fjre beneficii, de’quali io non avessi mestiere, e secondo a questo91 che, se desiderare gli dovea, io gli usassi siccome debito veramente. Perocché prodezza di ciascuno poco puote per sè sola, e io non mi pensai che uomo era Giugurta; sono fuggito e venuto a voi, o Padri conscrilli, alli quali io, quello che m’è grande dolore, sono costretto d’essere prima a carico che a uso, e a domandare che servire92. Tutli gli altri re o vinti da voi per batta glia furono ad amistà ricevuti, ovvero nelli loro grandi dubbii vostra compagnia desiderarono; ma la nostra casa nella guerra Cartaginese fece amistà col popolo di Roma: nel qual tempo più era da desiderare la lor fedele amistà, che ventura buona ch’egli avessono. Della qual casa io nato, non sostenete, Padri conscrilti, me, nipote di Massinissa, ajutorio da voi indarno addomandare. Se a potere impetrare da voi io non avessi niuna cagione, se non la misera ventura mia, che poco innanzi fui re di lignaggio di fama e di ricchezze potente, e ora, trasformato a m;serie, e povero, aspetto l’altrui ajuto; si convenia alla maestà del popolo di Roma di vietare e d’impedire Ja ingiuria, e non sostenere che il reame di niuno per fellonia dovesse crescere. Veramente io da quegli confini sono discacciato, li quali alli miei maggiori il popolo di Roma diede e concedette, e onde il mio avolo insieme con voi cacciarono Siface e li Cartaginesi. I vostri benefici mi sono tolti, o Padri conscritti; voi nella mia ingiuria sete dispregiati. Oimè, oimè misero!: sono, o Micipsa mio padre, venuti a questo li tuoi beneficii,che colui che tu facesti pari a’tuoi figliuoli e partecipe del tuo reame, quegli sia della tua schiatta principale ucciditore? Non avrà mai pace la nostra famiglia? Sarà sempre in sangue, in ferro e in fuga? Quando li Cartaginesi erano in vigore, per ragione sostenevamo noi tutte crudeli cose: li nemici erano da lato, voi amici eravate molto da lungi, tutta nostra speranza era in arme. Poiché quella pistolenza fu levata d’Affrica, noi lieti ci vivevamo in paGe, siccome uomini a’quali non era-niuno nimico, se non cui votaveste comandato. Ed ecco a non prowiso i Giugurta93, con non comportevole ardire, con reità e con rigoglio levandosi in alto, il fratello mio e prossimano suo avendo ucciso94, prima fece preda di iniquità,e tolse lo suo reame; e, poiché me con quelle medesime malvagità non potè comprendere, non aspettando io nè pensando niente che facesse forza nè muovesse battaglia, siccome voi vedete, m’ha messo fuori della patria e di mia casa, e m’ha coperto, e recato a tante miserie, che in qualunque si fosse luogo potrei stare più sicuro, che nel mio medesimo reame. Io così veramente mi pensai come io avea udito (jire e predicare al mio padre95: che quegli, che xostra amistà volessono tenere, e servire diligentemente, mollo di fatica prendeano; ma che sarebbero di tutti pericoli massimamente sicurati e difesi. La qual cosa dalla parte della nostra schiatta fu e avanzò sì che in ciascuna guerra e battaglia fosse con voi: noi se, per lo vostro riposo e pace che avete, saremo difesi e sicurati, questo è in vostra mano96, o Padri conscritti. Lo mio padre lasciò due fratelli; il terzo, Giugurta, il quale pensò che, per li suoi beueficii, che gli fece, egli fosse congiunto e una cosa con noi97 L’uno è ucciso dall’altro: a grande pena sono scampato di cadere nelle sue empie mani. Che farò io, ovvero a qual luogo io, si fortemente sciagurato, anderò? Gli ajutumenli98 di nostra schiatta sono tutti spenti: il padre, siccome era per necessità, diede luogo alla sua natura99, e passò; al mio fratello il suo prossimano per grande iniquitade anzi tempo tolse la vita; i parenti, gli amici prossimani, e tutti altri de’ miei, qual per un modo, e qual per un altro, ha fatto morire, e ucciso: quegli che da Giugurta furono presi, alcuna parte fece porre in croce, alcuni dare alle bestie; quegli pochi a cui è rimasa l’anima, sono rinchiusi in tenebre, e con tristizia e con pianto più dura che morte menano lor vita. Se tutti gli beni, li quali io ho perduti, ovvero mi sono in avversità rivolti, stessono interi a me100, e io avessi mio stato; pertanto, se alcuno subito e non provveduto male mi fosse addivenuto, lo vostro ajuto dimanderei, 0 Padri conscritti, a’quali, per grandezza del vostro imperio, si conviene e della ragione e di tutte le ingiurie avere cura. Ma ora, iscacciato di mia patria e di mia casa, solo e di ogni onorevoli cose bisognoso101, ove anderò, 0 di cui ajutorio domanderò102? Le nazioni, 0 li re, li quali tutti alla nostra casa per la vostra amistà sono molesti e contrarli? Or poss’io andare in luogo niuno là dove degli miei maggiori non sieno molto Inimichevoli memorie? Or puote niuno aver pietà di noi, il quale per alcun tempo fu vostro inimico? All’ultimo Massinissa così ci comandò: che noi niuno altro signore dovessimo seguire e amare se non il popolo di Roma, e che nuove compagnie nè patti noi non dovessimo prendere103, chè assai grande guarnimento sarebbe a noi nella vostra amistà mantenerci, e che, se al vostro imperio si cambiasse ventura, che a noi fosse insieme con voi a cadere. Ma per la vostra virtù e volontà d’Iddio sete grandi e potenti; tutte cose sono a voi obbedienti e prospere: per la qual cosa più leggermente delle ingiurie de’ vostri compagni potete aver cura. Ma solamente temo io non alcuni la privata amistà di Giugurta non bene conosciuta li faccia attraverso andare: li quali io intendo che con grandissimo studiosi brigano, e vanno e faticano ciascuno di voi104, che dello assente Giugurta, non conosciuto il fatto, non dobbiate niente ordinare; e ch’io vado componendo parole, e infingo d’essere fuggito, il quale, s’io volessi, potrei stare nel reame. Perciò voglia Iddio che colui, per la cui empia malvagità sono venuto a queste miserie, io’l vegga infingere in questo medesimo modo!, e per alcun tempo o appresso a voi o appresso gli Dii immortali venga la cura dell’opere degli uomini!, acciocché quegli, il quale ora per le sue gran reità è feroce e onorevole, egli, d’ogni male afflitto e tormentato, della impietà verso il mio padre, della morte del mio fratello, e delle mie miserie, sostenga pene. Già già, fratello all’animo mio carissimo, avvegnaché a te non maturo, ma molto giovine, da colui, che non l’avea a fare, ti fosse tolta la vita; pertanto da allegrare più che da dolere mi par sia il cadimento105 tuo: che non regno, ma fuga, scacciamento, povertà, e tutte queste miserie, nelle quali io sono, insieme hai colla vita perduto. E io, male augurato, e in tanti mali gittato del paternale106 regno, in agguardamento107 e beffe degli uomini, di me medesimo non so che io mi faccia: s’io proseguiti la ingiuria tua108, il quale per me ho bisogno109 ajutorio; o s’io intenda a racconciare il reame, io, la potestà della cui vita e morte pende dal favore altrui. Volesse Dio che il morire fosse onesta uscita delle mie disavventure, e non paresse che fosse dispregiamento di mia vita, s’io stancato di male dessi lato e luogo alla ingiuria110 che fatta m’è! Ora nè vivere mi piace, nè’l morire m’è licito senza disonore. Padri conscritti, priego voi per li vostri figliuoli e per li vostri padri, per la maestà del popolo di Roma, sovvenite a me misero; contrastate alla ingiuria; non sostenete che il reame di Numidia, il quale è vostro, per fellonia <1*altrui e per lo sangue di nostra famiglia venga meno e perisca da voi111.
CAPITOLO XIII.
Che dissono in senato gli ambasciadori di Giugurta, e che fu determinato di fare.
Poiché il re ebbe fatto fine di parlare, gli ambasciadori di Giugurta, più per doni che per ragione guarniti, in poche parole rispuosono112 di- cendorche Jemsale per sua crudeltà era suto morto dagli Numidi; e Aderbale, perocché Senza cagione faceva guerra, poich’era suto vinto, si lamentava che ingiuria non avea potuto fare; e che Giugurta dal senato domandava che egli non fusse reputato né tenuto altro uomo che era stato e conosciuto a Numanzia; e che le parole del suo nimico non ponessono innanzi agli suoi fatti. Poi l’una parte e l’altra usci di senato, e fu addomandato consiglio sopra ciò. Li fautori113 degli ambasciadori, e gran parte del senato, per.grazia spervertita114, dispregiavano li detti d’Aderbale, e la virtù di Giugurta magnificavano con lode, con grazia e con voce; alla per fine in tutti i modi si brigavano e studiavano per l’altrui fellonia e malvagità quasi per loro gloria medesima. Ma contra ciò pochi, alli quali il bene e’1 diritto era più caro che i danari, diceano che si dovesse sovvenire ad Aderbale, e la morte di Jemsale fosse fortemente punita: e infra gli altri massimamente era Emilio Scauro, uomo nobile, sollecito, operatore di malizie, disideroso di potenzia, d’onore e di ricchezze115. Questi, poiché vide che’l donare del re era famoso e isvergognato116, egli117, temendo, quello che in cotali fatti suole addivenire, che la larga licenza del ricevere li doni accendesse l’odio e la invidia della gente, ritenne il suo animo della sua usata voglia. Ma pur nel senato vinse quella parte, la quale il pregio e la grazia antiponea alla verità: sicché fu riformato e fatto decreto che fossero mandati dieci ambasciadori al regno che Micipsa avea tenuto; e dovesserlo in fra Giugurta e Aderbale partire.
CAPITOLO XIV.
Come fu partito il reame di Numidia fra Giugurta e Aderbale.
Della delta ambasceria fu capo principale Lucio Opimio, uomo chiaro e onorevole e in senato potente, il quale per lo tempo d’innanzi consolo, avendo ucciso G. Gracco e Marco Fulvio Fiacco118, della grande briga de* nobili contra il popolo egli per la parte della nobiltà avea fatto grande vittoria. Lui, avvegnaché Giugurta a Roma l’avesse avuto fra gli altri suoi amici, pertanto molto diligentemente il ricevette: e, dando e promettendo molte cose, fece con lui ch’egli dovesse antiponere alla fama e alla fede sua, e a tutte altre sue cose, l’agio e il volere del re Giugurta. Gli altri ambasciadori per quella medesima via assalì; e la più parte ne prese, e pochi ne furono a cui fosse più cara la fede che la pecunia. Sicché nella divisione quella parte di Numidia, la quale con Mauritania si confina119 più ricca e più fruttuosa e più abbondevole, fu data a Giugurta. Queir altra, più dignitosa per bellezze che per usare120, e che ha più porli ed è più ornata di casamenti, Aderbale possedeo. Ma questa materia pare che richieggia di sponere in poche parole lo silo e la disposizione d’Affrica, e di toccare un poco di quelle genti con le quali avemo avuto guerra ovvero amistà. Bene è vero che gli luoghi e le nazioni, le quali per caldo 0 per asprezza 0 simigliantemcnte per solitudine non sono così usale, di queste cotali non a’gevolmente ne direi la conlanza del vero121; ma dell* altre dirò quanto potrò in più brievi parole.
CAPITOLO XV.
Della divisione d’anca, e che genti Vabitarono prima.
Nella divisione del giro della terra molti puosono Affrica la terza parte, e pochi furono che posono solamente Asia e Europa, e che Affrica è in Europa. Li confini d’Affrica sono da occidente la ripa del nostro mare e del mare Oceano, da oriente una grande e inchinata largura: il qual luogo gli abitatori chiamano Catabatmon (a)122 2. Il mare tempestoso e senza porti; li campi fruttuosi di biade e buoni a pastura, d’arbori pochi; da cielo e da terra v’ha carestia d’acqua. La generazione di quelli uomini così è: che sono molto sani del corpo, veloci, sofferitori di fatiche; la maggior parte si consuma per vecchiezza, se non quelli che per ferro 0 per bestie sono morti, chè infermità rade volte vince loro. Anche v’ha di maladetta e malefica generazione molti animali. Ma quali uomini al cominciamento ebbono Affrica, e chi poi vi vennono, ovvero fra loro come mescolati sieno, avvegnaché quello ch’io dirò sia diverso da quella fama che appresso molli è, per tanto, siccome a noi è suto interpretato da’libri punici (b)123 2, li quali si diceano del re Jemsale, e siccome gli abitatori di quelle terre credono che sia la verità, in pochissime parole dirò. Ma la fede di questa cosa rimanga appresso gli autori affricani. Nel cominciamento ebbono Getuli e Libii: aspri e sconci, a’quali cibo era carne di fiere, e loro pastura era in terra, e come altri animali viveano d’erbe. Costoro non erano retti per costumi, nè per legge, nè per signoria di niuno: uomini vagabondi, e che andavano qua e là a diversi luoghi, e là dove la notte gli costrignea laccano dimoranza. Ma, poiché in Ispagna Ercole, siccome gli Affricani credono, morio, la sua oste composta di svariate genti in brieve fu discorsa124. Di quello numero li Medi e gli Persi e gli Armeni con navi in Affrica trasportati occuparono gli luoghi prossimi al nostro mare: ma gli Persi più in fra l’Oceano ebbono gli fondi delle navi stravolti per casalini125: perocché nè legname, nè campi, nè agio di comperare nè di trasmutare con gli Spagnuoli aveano, perchè ’I mare grande e la lingua strana vietava loro mercatanzic. Questi Persi appoco appoco s’imparentarono con gli Getuli; e, perocché costoro, spes sa mente cercando e provando le contrade, erano iti ora ad un luogo ora od un altro, chiamarano sè medesimi Numidi (a)126. E ancora li casali de’ villani di Numidia, li quali eglino chiamavano Mapali, sono colali luoghi ripiegati dalle latora siccome fondi di navi. Li Medi e gli Armeni mescolarono seco li Libii, che erano più presso al mare d’Affrica: gli Getuli erano più sotto al sole (b)127 non di lungi dagli ardori del gran caldo. Onde li detti Medi, Armeni e Libii tosto ebbono terree città: perocché, essendo solamente dal mare dipartiti della Spagna, ordinarono di fare tramutamenti insieme delle loro cose. Il loro nome corruppono i Libii,chiamando a barbara lingua128, la quale aveano, e in luogo di Medi dissono Mauri. Ma ancora l’affare129 degli Persi in brieve tempo crebbe, e poj chiamati Numidi, partendosi i figliuoli dagli lor padri por la grande moltitudine che erano, possederono quegli luoghi, i quali, prossimi a Cartagine, sono detti Numidia (c)130. Poi, ajutaudosi insieme l’uno l’altro, li loro vicini o per forza o per paura constringeano sotto a loro signoria; e lor nome e lor gloria brigavano d’accrescere, e accresceano: ma più quegli che erano proceduti al nostro mare, perocché li Libii non sono così da battaglia come gli Getuli. Sicché della parte di sotto d’Affrica molto ne possederono i Numidi; e tutti quegli, che da lor furon vinti, furon computati e nominati come fra la gente di loro signoria, e furono detti Numidi. Poi gli popoli Fenicii, alcuni per menomare la grande moltitudine ch’erauo in loro terra, alcuni sollicitando il popolo per desiderio di signoria, alcuni per desiderio di cose nuove, vennono, e feciono tre città, cioè Ippone, Adrimelo e Letti (d131); e feciono anche altre città lungo la manna. Le dette cittadi essendo iu brieve tempo molto cresciute, alcune ne furono a fortezza e adifensione de’deltl Fenlcli loro edificatori, alcune furono loro a grande bellezza: chè di Cartagine meglio mi penso tacere che poco dire, perocché è tempo di avacciare ad altro. Ora tornerò a Catabatmon, il quale luogo parte l’Egitto dall’Affrica, di mare assai prospero, ed è da indi prima la città di Cirene abitata nel principio da quegli diTereone, poi sono le due Sirtr, infra le quali è la città di Letti; poi sono li Altari Fileni, il qual luogo fu la fine132 dello imperio di Cartagine verso Egitto; poi sono l’altre città puniche. Tutti gli altri luoghi fino a Mauritania tengono gli Numidi. I Mauri sono presso alla Spagna; di sopra dagli Numidi sono gli Getuli, i quali parte incasalini, e parte.vivono più sconciamente andando vagabondi a diverse luogora: dopo loro son gli Etiopi; e poi sono gli luoghi abbruciati dagli ardori del sole. Onde nella guerra giugurtina molte delle puniche città, e tutti i confini degli Cartaginesi, i quali il popolo di Roma avea novellamente avuti133, governava per signoria de’suoi officiali. Degli Getuli gran parte,e di Numidia in fino al fiume Mulucca, erano sotto Giugurta134. Alli Mauri lutti signoreggiava il re Bocco. il quale* non sapea che si fosse il popolo di Roma, se non che gli avea uditi nominare; e simigli antera ente da noi nè per pace nè per guerra era egli suto conosciuto innanzi. D’Affrica e degli suoi abitanti è assai detto.
CAPITOLO XVI.
Come Giugurta mosse guerra contra Aderbale.
Poiché, diviso il reame, gli ambasciadori si partirono d’Affrica, e Giugurta, contra il timore eh’avea avuto, idesi avere acquistato quello ch’era guiderdone di sua reità, pensando che fosse certo quello ch’egli avea udito in Numanzia, che ogni cosa a Roma si rivendea, anche acceso per le promesse di coloro i quali poc’o innanzi avea ripieni di donameuti135, nel regno d’Aderbale avere pose lutto il suo animo136. Egli era forte e ingegnoso e acconcio a battaglia; e colui, il quale egli domandava (a)137, era uomo pacifico, non da battaglia, nè d’ingegno malizioso, acconcio alla ingiuria, timoroso più che da essere temuto. Onde Giugurta con pochi subitamente fece assalto negli suoi confini; e molti uomini con bestiame e con altra preda prese, e mise fuoco nelle case; in più luogora andò inimichevolmente con sua cavalleria; poi con tutta la moltitudine ritornò nel suo reame, credendo che Aderbale commosso per dolore volesse vendicare sua ingiuria, e questa cosa fosse cagione di battaglia. Ma Aderbale, perocché non si sentia eguale d’arme con lui, e perchè era più guernito dell’amistà138 del popolo di Roma che non era di sua gente, mandò ambasciadori a Giugurta per lamentarsi della ingiurìa ricevuta: i quali, ritornati, ridissono la molta villania, come loro era suto risposto. Ma pertanto139 Aderbale pensò di prima sostenere tutte cose, che battaglia: perocché, avendo egli innanzi cercato via di battaglia140, ne gli era male avvenuto. E non però si menomava il desiderio di Giugurta: perchè certamente tutto il suo reame avea già assalito con pensieri e con voglia. Sicché egli, non, come avea fatto prima, con poca gente, a far preda, ma, con grande oste diligentemente apparecchiato, cominciò a fare la guerra, e apertamente lo imperio di tutta Numidia a domandare; e, là ovunque andasse, le città e le ville guastava, e menava prede, crescendo l’animo a’suoi e la paura a* nimici. Aderbale, poiché si vide a tanto condotto141 che gli convenia lasciar lo reame, o con arme ritenere, per necessità s’apparecchiò alla battaglia, e andò contra Giugurta. E posonsi le due osti non di lungi dal mare presso a una città eh’avea nofne Cirta: e, perocché era sera, non s’incominciò la battaglia; ma, poiché fu passata gran parte di notte, essendo grande oscurità, li militi giugurtini a certo segno dato assalirono l’oste de’nimici142: e alcuni di loro essendo quasi sonnolosi143, alcuni altri prendendo arme, furono cacciati e sconfìtti. Aderbale con pochi cavalieri fuggì a Cirta: e, se non fosse la moltitudine144 de’ mercatanti romani, la quale alli Numidi perseguitanti vietò l’entrata, in un dì fra gli due re sarebbe stata la battaglia cominciata e finita, (a)145 In tal modo Giugurta si pose all’assedio della terra, e con gatti e con torri e con dificii146 d’ogni generazione si sforzava d’avere la terra, fortemente avacciando, acciocché si facesse anzi che il tempo venisse che gli potesse essere impedito per gli ambasciadori, ch’egli avea inteso che Aderbale avea mandati a Roma anzi che fosse fatta la battaglia.
CAPITOLO XVII.
Come il senato mandò comandando che guerra non si facesse.
Ma, poiché il senato ebbe inteso della lor guerra147 mandò là tre giovani uomini, i quali dovessono andare agli due re, e annunciare loro da parte del senato e del popolo di Roma: come eglino vogliono e sentenziano ch’eglino lascino l’arme e la guerra148; che questo era degna cosa dalla loro parte, e simigliantemente dalla parte de’ detti re. Li ambasciadori vennono in Affrica molto avacciando, e per tanto più che a Roma, quand’eglino s’appparecchiavano di venire, si dicea già della battaglia fatta e dell’assedio di Girta: ma questa novella era allora piccola e non così chiaia. Giugurta, intesa la loro ambasciata, rispose che niuna cosa avea egli per maggiore nè per più cara che l’autorità del senato; e che da sua gioventù egli s’era brigato di portarsi sì che fosse degnamente lodato da ogni buono uomo; e che per sua virtù, non già per malizia, a Publio Scipione, il quale era sommo uomo, sì era egli piaciuto; e per quelle medesime arti da Micipsa, non per difetto che avesse di figliuoli, era stato adottato nel regno: ma quanto egli più cose avesse bene e valentemente fatte, tanto l’animo suo meno potea sofferire che li fossero fatte ingiurie; e che Aderbale con suoi inganni l’aveva voluto fare morire per tradimento: la qual cosa poich’egli avea trovato149, era andato contro la sua malvagità; e che il popolo di Roma non farebbe il diritto ne non farebbe bene, s’egli vietasse la ragione di tutte genti, cioè di difendersi. Alla perfine disse come egli di tutte queste cose manderebbe brievemente ambasciadori a Roma150: e partironsi l’uno dall’altro. Di parlare ad Aderbale non vi fu agio nè potere. Giugurta, poiché si pensò eh’e’fossono partiti d’Affrica, per la natura forte del luogo non potendo prendere Cirta per battaglia, fece fossati intorno alle mura, e ordinovvi torri, e formile e fortifieolle, e di dì e di notte o per forzaoper tradimento cercava151 agli difenditori dimostrava e facea conti li grandi guiderdoni, e talora la grande pàura. I suoi confortati gì* inanimava a prodezza, e tutte cose brigava molto sollecitamente. Aderbale, poiché conobbe che tutte sue venture erano in sullo stremo, il nimico contrastante), speranza niuna d’ajutorio, e che per la pochezza delle cose necessarie la battaglia non si potea prolungare; elesse due di coloro, ch’erano fuggiti insieme con lui a Cirta, i quali erano massimamente non pigri, ma veloci e solleciti; e, promettendo loro molte cose, e anche cordogliando il caso suo, gli confermò in ciò, ch’eglino dovessono andare per entro l’oste di notte al prossimano mare, e poi a Roma. I due Numidi in pochi di compierono i suoi comandamenti. Le lettere d’Aderbale furono recitate in senato: la sentenza delle quali fu questa:
CAPITOLO XVIII.
Lettere d’Aderbale al senato.
Non è per mfa colpa che spessamente mando a voi pregare, Padri conscrilti; ma lo sforzamento di Giugurta mi costrigne e sottomette: il quale, tanta è la voglia che gli é venuta d’uccider me, che nè voi nè Dio abbia in animo, e’I mio sangue sopra tutte cose desideri. Sicché già è il quinto mese che io, compagno e amico del popolo di Roma, per arme sono tenuto assediato, e a me nè li beneficii di Micipsa mio padre nè li vostri ordinamenti giovano niente. Se per arme o per fame io sono più duramente costretto,noi vi saprei ben dire. Scrivere più cose di Giugurta mi sconforta la mia condizione, e io già d’innanzi ho provato che poco è dato fede agli miseri. Ma questo tanto m’avveggio io152: che egli va chieggendo ancora più che me, e che non spera di potere avere insieme Tamistà vostra e il regno mio; e, se egli pensa ancora a più gravi cose fare, a niuno è dubbio. Egli al principio uccise Jemsale mio fratello; poi del paternale regno mi cacciò: le quali cose ponendo che sieno state nostre ingiurie, e niente s’appartenga a voi153; pertanto ora tiene il reame154a forza, e me, il quale voi poneste signore de’Numidi, tiene chiuso per assedio. Le parole de’vostri ambasciadori quanto egli le apprezzò, li miei pericoli il dichiarano. Dunque che rimane altro se non la forza vostra, acciocché egli si possa smuovere? ch’io vorrei certamente che queste cose, ch’io vi scrivo, e quelle, ch’io iunanzi nel senato lamentai155 fossono piulloslo vane, che la miseria mia facesse fede alle parole. Ma, dacch’io sono nato a ciò, che io dovessi essere dimostramento delle malvagità di Giugurta, non già vi prego per iscumpare da morte uè da miseria, ma per iscampare la signoria del nimico e li tormenti del corpo. Al reame di Numidia, il quale è vostro, come vi piace consigliate156, e me traete dell’empie mani. Di ciò vi priego per la maestà dello imperio, per la fede dell’amistà, se appresso di voi rimane alcuna memoria del mio avolo Massinissa.
CAP1TOLO XIX.
Come il senato mandò da capo ambasciadori in Affrica.
Lette queste lettere, furono alcuni che dissono che in Affrica si dovesse mandare oste; e, quanto più tosto si potesse, foss? soccorso Aderbale; e che di Giugurta si pensasse in questo me/zo che fosse do fare, perocché non aìea ubbidito agli ambasciadori. Ma quelli fcuiori del re con sommo sludio si sforzarono che tale decreto non si facesse: e così il bene comune, siccome in molti fatti suole addivenire, per privala grazia fu vinto157. Ma pur furono mandali in Affrica uomini antichi e nobili158, e molto onorali, fra’quali fu Marco Scauro, del quale facemmo menzione di sopra, uomo consolare, e allora capo e principe del senato. Costoro, perchè la cosa era odiosa, e perchè gli Numidi li pregavano fortemente, il terzo dì salirono in sulla nave; e poi in brieve giunsono a Utica città d’Affrica, e mandarono lettere a Giugurta: che immantenente159 dovesse venire alla detta città, e come erano mandati dal senato a lui. Quando Giugurta seppe che uomini onorevoli, l’autorità de’quali egli aveva udilo ch’era in senato grande, erano venuti conlra il suo comincialo160; prima fu commosso da una parie per paura, e dall’altra per voglia di prendere la terra: e così non sapea qual fare161. Tornea I" ira del senato, se non ub- bidisse a*suoi comandamenti: eppur l’animo, di voglia cieco, sì era a quello che cominciato avea162 Alla fine vinse nel desideroso ingegno il perverso consiglio di volere prendere la terra. Onde, approssimando sua oste attorno, con somma forza brigava di potere entrare: sperando massimamente che, avendovi menata l’oste, egli o per forza o per tradimento potesse trovare caso di vittoria. La qu8l cosa andando altramente, e il suo intendimento non venendogli fatto, ch’egli, innanzi che gli convenisse parlare agli ambasciadori, potesse avere Aderbale in sua balia, anche acciocch’egli, dimorando, non incendesse più incontra di sèScauro, il quale egli molto temea, con pochi cavalieri venne nella provincia dove egli erano: ma pertanto, avvegnach’egli in parole gli nunciassono gravi minacce del senato di ciò che di combattere Cirta non ristava, alla perfine, consumate molte parole, egli si partirono, non facendo niente163.
CAPITOLO XX.
Come si rendè la città di Cirta, e come gli Romani apparecchiarono oste contra Giugurta.
Poiché questo fu udito in Cirta, gl’Italici, per la virtù de’quali164 la terra si difendea, fidandosi che, se si rendessono, eglino, per reverenza della grandezza del nome romano, non avrebbono niuno male, parlarono ad Aderbale, confortandolo che dovesse sè e la terra dare nelle mani di Giugurta, solamente salva la persona; ediceano: dell’altre cose, che da fare saranno, il senato avrà sollecita cura. Aderbale, avvegnaché ogni altra cosa avesse per migliore che la fede di Giugurta, nientemeno, perocché, s’egli avesse contradelto, era appresso loro la potenzia di costringerlo, secondo gl’Italici aveano detto, così si diede a lui. Giugurta imprima Aderbale duramente tormentato uccise; poi tutti li Numidi ch’erano in città, e gli mercatanti mescolatamente, siccome ciascuno con arme era suto incontrato, fece morire. La qual cosa poiché fu saputa in Roma, e se ne cominciò a ragionare in senato, quegli medesimi fautori del re, priegando, e, spessamente per grazia, e talora per contenziose parole, prolungando tempo, la crudeltà del fatto alleggeravano165 Ma G. Memmio, il quale era disegnato che dovesse essere tribuno del popolo, uou.o
- ingegnoso166 e contrario alla potenza demandi, fece avvedere al popolo di Roma167 siccome per pochi traditori sifacea che la malvagità di Giugurta gli dovesse essere in tutto perdonato168; e, se non fosse il detto Memmio, certamente tutto rodio contra Giugurta, prolungando i consigli, sarebbe andato via169: tanta era la potenzia dell’amistà e della pecunia del re. Ma, poiché fl senato, per coscienza del male, che fatto avea, temette il popolo, secondo la legge detta Sempronia, furono assegnate le Provincie di Numidia e d’Italia a quegli che doveano essere consoli; poi furono dichiarati consoli P. Scipione Nasica, L. Bestia Calpurnio. Numidia a Calpurnio, a Scipione venne Italia170. Poi si scrivea Toste171 che dovea essere portata in Affrica, e sf ordinò e provvide del fornimento di tutte cose che a guerra bisognassono.
CAPITOLO XXI. .
Come Giugurta mandò ambasciadori a Roma, e come t oste de’Romani passò in Affrica.
Ma Giugurta, avendo ricevuti messaggi contra la sua speranza, perocch*egli s’era fermato nelf animo che a Roma ogni cosa si rivendea, mandò il figliuolo, e con lui due mollo suoi grandi famigliari, per ambasciadori al senato: e a costoro, così come a coloro che uvea mandato, ucciso Jemsale172, comandò che avveuissono173 a tutti con molti danari. Eglino quando vernano a Roma, Bestia dimandò consiglio dal senato, se piacesse loro174 che gli ambasciadori di Giugurta fossono ricevuti in Roma: e fu stabilito che, se eglino non venissono per dare il reame, e anche Giugurta in persona175, che in fra dieci di prossimi si dovessono partire d’Italia. II consolo comandò e fece annunziare alli Numidi queste cose per decreto del senato: e cosi, non amido fatto niente, tornarono a casa. Intanto Calpurnio, apparecchiata l’oste, si elesse uomini nobili e operatori di malizie, per l’autorità de’quali lutto ciò, ch’egli male facesse, sperava che fosse difeso: fra questi fu Scauro . della cui natura e modo avemo detto di sopra. Ma nel consolo nostro erano molte arti buone d’animo e di corpo. le quali tutte impedia la sua avarizia. Egli era sofFeritore di fatiche, sottile d’ingegno, assai approvveduto176 di battaglia sapea non poco, fermissimo contra gli pericoli e guati177 e tradimenti. Ma le legioni per Italia a Reggio, e indi in Cicilia, e di Cicilia in Affrica furono portate.
CAPITOLO XXII.
Come Calpurnio guerreggiò contra Giugurta, il quale poi si rendè a lui.
Adunque Calpurnio, avendo dal principio apparecchiato tutto fornimento178, mollo duramente intrò in Affrica, e molti uomini e alquante città prese per battaglia. Ma,poiché Giugurta per ambasciadori il cominciò a tartare di moneta179 e a mostrare l’asprezza della guerra che apparecchiava di fare; l’animo del consolo, infermo d’avarizia, leggermente fu volto. E anche fu preso da lui per compagno e per operatore di tutti i consigli Scauro: il quale, avvegnaché al principio, avendo il re corrotti a falsità molti Romani, egli aesse fortemente pugnato contra’I re; pertanto egli per la grandezza della pecunia da buono e onesto in reo e perverso fu tratto e rimutato. Ma Giugurta prima ricomperava pur lo’rnlugio della battaglia, credendo in questo mezzo fare alcuna cosa in Roma 0 per pregio 0 per amistà; ma, poiché seppe che Scauro tenea mano a questo fallo180, allora egli, recato in sulla grandissima speranza di ricomperare la paco, ordinò di tulli trattamenti e patti fare con loro egli in sua presenza181. E a lui per fidanza182 fu mandato Sestio Questore in una città di Giugurta chiamata Vacca:lo quale andamento era183 sotto specie di ricevere lo frumento, il quale Calpurnio avea in palese comandato agli am- basciadori di Giugurta che dovesse essere dato; perocché per la dimoranza e trattamento dello attendere da vasi indugio e triegua della guerra. Poi il re, secondo ch’era ordinalo, venne nell’oste; e184 avendo dette poche parole in presenza del consiglio, dicendo dell’odio de’suoi fatti, acciocché fosse in arrendere ricevuto, l’altre cose con Bestia e con Scauro trattò segretamente; e poi, l’altro di, quasi avendo domandato consiglio di ciò, secondo lo tenore della legge detta Satira, fij in su 1l’arrendersi ricevuto. Ma, siccome per loro consiglio era ordiuato e comandalo, furono dati al questore leofanti XXX185, bestiame e cavalli molti, con quantità d’argento non piccola. Calpurnio se ne venne a Roma a parlare e ordinare di Giugurta; e in Numidia nella nostra oste era pace e riposo. Poiché le cose fatte in Affrica furono per fama pubblicate a Roma, per ogni luogo e per ogni ragunanza si cominciò a ragionare del fatto del consolo. Appresso al popolo ne era grande odio; i Padri erano solliciti, dubitando se dovessono approvare tanta reità, o se dovessono distruggere in tutto il decreto del consolo, e massimamente la potenzia dì Scauro: perocché si dicea che egli era il fattore e compagno di Bestia; egli lo’mpedia dalla verità e dal bene186.
CAPITOLO XXIII.
Come Gajo Memmio parlava contra le rivenderle187 di Roma.
Ma Gajo Memmio, della cui libertà d’ingegno ed odio della potenza de’nobili avemo detto di sopra, in fra le dubitazioni e indugi del senato ne’ parlamenti confortava il popolo a punire le dette cose; ammonendogli che non dovessono abbandonare la repubblica nella loro libertà, e dimostrando molti rigogliosi188 e crudeli fatti de’ nobili: e per tutto atteso a ciò accendea l’animo del popolo. Ma, perocché in quel tempo a Roma Memmio era un bello e famoso dicitore189, parmi convenevole ch’io una delle molte sue dicerie debba scrivere, e specialmente dirò quella, la quale egli in parlamento dopo il ritornamento di Bestia fece in queste parole:
CAPITOLO XXIV.
Diceria di Gajo Memmio contra ti grandi.
Molte cose mi sconfortano da voi, o Quiriti (a)190, se lo studio e l’amore della repubblica rton le vince tutte, vedendo l’avere e la potenzia de’ traditori, la vostra sofferenza, ragione niuna191 e che quegli che sono innocenti e non fanno ingiuria sono viepiù in pericoli che in onori. L’altre cose m’incresce di dire: già è quindici anni in quanto schernimeuto siate suti dalia potenzia d’alquanti gentili192; e quanto sozzamente, e come non vendicati sieno periti i vostri difensori; e come a voi l’animo per viltà •sia corrotto: i quali, eziandio ora soggiogati, a’vostri nimici non ardite di levarvi193; e temete coloro, a’quali si conviene che voi siate a paura, e che temano voi. Ma, avvegnaché queste cose sieno così, pertanto d’andare contro la potenzia di loro malvagia lega mi costringe lo mio animo: chè certamente io proverò d’usare la libertà, che mi fu data dal mio padre; ma, se ciò farò indarno ovvero utilmente, questo è in vostra mano, o Quiriti. Nè non vi conforto io a quello che gli nostri maggiori spesse fiate feciono, che voi incontro194 alle vostre ingiurie dobbiate armati andare: niuna forza nè andar ci bisogna; ch’egli è mestieri ch’eglino medesimi, secondo il loro usato, caggiano e trabocchino. Voi sapete ch’eglino, avendo morto Tiberio Gracco vostro difensore, del quale diceano che volea essere re, eglino al popolo di Roma feciono molto di male e di tormento. Anche, dopo la morte di Gajo Gracco e di Marco Fulvio, simigliantemente molti del vostro ordine195 in prigione furono morti: e all’una uccisione e all’altra non fu fine per legge, anzi la stesono a tutta loro voglia. Ma ponghiamo, com’egli dicono, che questo sia suto il rifacimento di Roma, e sia rendere al popolo le sue ragioni196. e che tutto ciò, che non si puote punire se non per sangue di cittadini, sia ben fatto: pertanto ne’ temporali passati voi, tacendo, vi adiravate che l’avere della camera197 era rubato; e che li re e li popoli liberi faceano tributo ad alcuni grandi; e che appresso loro era la somma gloria e le grandissime ricchezze: veramente, avendo cotali cose fatte, e non essendone puniti, è paruto loro poco. Sicché ora le leggi, e la maestà vostra, e tutte cose d’Iddio e d’uomini sono date a’ vostri nimici. Nè coloro, che fatto l’hanno, se ne vergognano, nè se ne pentono: ma vannovi per bocca198il giugurtino | 97 |
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e tutte cose di Dio e d’uomini erano appresso pochi grandi; e voi, popolo romano, non vinti da’ nimici, signori di tutte genti, assai avevate pur di mantenere la vita206: chè la servitude quale era di voi ch’ardisse rifiutare? Ma, avvegnaché io giudico pericolosissimo uomo quegli che ha preso a fare ingiuria e non è punito, pertanto che voi agli uomini scelleratissimi dovreste perdonare, perciocché sono cittadini, io sosterrei con cheto animo, se la misericordia non fosse disposta a tornare in pestilenzia e in morte207. Chò quegli208 hanno tanto d’ardimento, che poco è che eglino, avendo fatto il male, non ne sieno puniti, se non è loro tolta la potenzia di farne più: e a voi sempre rimarrà l’una o l’altra sollicitudine, quando cognoscerete che o converravi209 essere servi, ovvero per le vostre braccia mantenere vostra libertà. Chè di loro fede o di lor pace che speranza potete voi avere? Signoreggiare vogliono eglino; voi essere liberi: eglino fare le ingiurie; voi divietare: e gli vostri compagni usano eglino come inimici, e i nimici come compagni. Puote duuque in così diverse menti pace o amistà essere? Per la qual cosa io v’ammonisco e conforto che voi così grande malvagità non lasciate impunita* Non è ora fatta fraude dell’avere della camera, nè per forza a’compagni vostri tolte le pecunie: le quali cose avvegnaché gravi sieno, ma per l’usanza già sono per niente avute. Ora è al nimico crudelissimo tradita l’autorità del senato, è tradito il vostro imperio: in città e in oste larepubblica è suta vendevole. Delle quali cose se non sarà fatta inquisizione, e se non sarà vendicato sopra gli colpevoli, che ci rimarrà altro, se non che a coloro, che queste cose hanno fatte, noi viviamo obbedienti e soggetti? Chè fare senza punizione ogni cosa che uomo vuole, questo è essere re e signore in tutto. Non vi ammonisco io a ciò, che voi piuttosto vogliate che gli vostri cittadini abbiano (atto perversamente che a diritto210; ma che voi, perdonando agli rei, non perdiate e guastiate gli buoni. E nella repubblica mollo211 si avanza non ricordandosi degli beneficii che de* maleficii: perocché ’I buono, se tu negligentemeute ti porti ne’suoi beneficii, sì ne diventa solamente più pigro; ma il reo negli maleficii, se non è punito, sempre diventa peggiore. E,se si provvede in tal modo, che le ingiurie e li mali non sieno, non avrai spessamente bisogno dell’ajuto de’ buoui.
CAPITOLO XXV.
Come fu mandalo per Giugurta che venisse a Roma.
Queste cose e molte altre simili ispesse fìate dicendo, Memmio fece col popolo212 che Lucio Cassio, il quale era allora pretore, fosse mandato per Giugurta213, e, promettendogli fidanza dal comune, lo dovesse menare a Roma, acciocché più leggermente per manifestamento del re le rivenderie di Scauro214 e degli altri, che dovevano avere ricevute le pecunie, si pa’esas^ono. Mentre queste cose si faceano a Roma, quegli Romani, ch’erano lasciati in Numidia da Bestia capitano dell’oste, seguitando il costume dello ’mperadore suo215, molti e iniquissimi fatti feciono. Furono alcuni di loro, che, corrotti per oro, diedono a Giugurta leofanti; alcuni, che gli venderono gli fuggiti da lui; alcuni faceano preda sopra a quegli ch’erano pacificati: tanta era la forza dell’avarizia, la quale i loro animi siccome grande laidezza e macula aveva compresi. Ma Cassio216 ricevuta l’ambasciata da G. Memmio, e conturbata di ciò tutta la nobiltà, andò a Giugurta; e lui, timoroso e per la mala coscienza molto diffidente di sè, confortò ch’egli si dovesse arrendere e dare al popolo di Roma, acciocché non volesse piuttosto provare la sua forza che la sua misericordia; e diedegli in privato la sua fede, la quale Giugurta non pregiava meno che quella del comune: tale era la fama in quel tempo di Cassio.
CAPITOLO XXVI.
Come Giugurta fu in Roma, e, addomandato di certe coset non fu lasciato rispondere.
Così Giugurta, non regalmente, ma d’addobbamento molto misericor- dievole217 con Cassio venne a Roma. E, avvegnach’egli si potesse assai218confortato e ajutato da tutti quegli, per la cui potenzia o malvagità avea fatto tutte cose che dette abbiamo di sopra, pertanto a G. Bebio tribuno del popolo diede molto di moneta, acciocché fosse per lui219: per lo cui isvergognamento e ardire contra la ragione e contra le ingiurie, che gli volessono essere fatte, fosse guarnito. Ma G. Memmio, chiamato tutto’I parlamento, avvegnaché ’I popolo fosse assai contrario al re, e alcuni dicessono ch’egli fosse imprigionato, alcuni che, s’egli non manifestasse i compagni del suo mal fatto, che, secondo l’usanza de’maggiori. egli dovesse essere morto; il detto Memmio, attendendo più alla dignità che all’ira, si racchetava loro movimenti, e rammollia loro animi220, e confermava che la fede pubblica per sè medesima si dovea mantenere immaculata. Poiché si cominciò a fare il silenzio, menato Giugurta, G. Memmio parlò, ricordando li suoi malfatti in Roma e in Numidia; manifestando ancora le grandi reità contra ’1 padre e contra gli fratelli; e che per cui ajuto e per operazione l’abbia fatto, avvegnaché ’I conosca e sappia il popolo di Roma, per tanto egli il vuole più manifesto avere da lui221 se aprirà la verità, ch’egli puote avere buona speranza nel popolo romano; e, se la vorrà tacere, che non gioverà a’suoi compagni, ma guasterà e distruggerà sè medesimo, e sua potenzia e avere222. Poiché Memmio ebbe fatto fine di dire, e fu comandato a Giugurta che rispondesse, G. Bebio tribuno del popolo, il quale era corrotto per pecunia, siccome dicemmo di sopra, comandò che’l re tacesse: e avvegnaché la moltitudine, ch’era al parlamento, molto accesa verso Bebio, lo spaventava con grida, con volto, e spessamente venendogli addosso, e per altri modi che l’ira richiede; pure vinse lo sfacciamento di Bebio, sicché’I popolo avuto ad ischerno si partì: e a Giugurta, e a Bestia, e agli altri, a* cui quella inquisizione’toccata, furono assicurati o accresciuti i loro animi.
CAPITOLO XXVII.
Come uno nipote di Massinissa fu fatto uccidere da Giugurta.
Era in quel tempo a Roma uno Numida, eh’avea nome Massiva, figliuolo di Gulussa e nipote di Massinissa: il quale, perocché nella discordia degli re èra suto contra Giugurta, renduta Cirta e morto Ader baie, era fuggito d’Affrica. A costui parlò Spurio Albiuo, il quale Io prossimo anno dopo Bestia con Q. Minucio Rufo tenea il consolato, e conformilo che, perocch’era della schiatta di Massinissa, e Giugurta da altrui odio e sua paura sia a mal passo223, ch’egli dovesse domandare dal senato il regno di Numidia. Questo facea il consolo per disiderio di fare la guerra, e di volere muovere le cose224 e non lasciarle invecchiare: chè a lui era diputata la provincia di Numidia, e a Minuzio Macedonia. Le quali cose poiché Massiva cominciò a trattare, e Giugurta dalli suoi amici non avendo sufficiente difeusione, perocché alcuni di loro impedia la rea coscienza, alcuni mala fama e paura; comandò a Bomilcare suo prossimano, e di cui egli massimamente si fidava, ch’egli per pregio, siccome avea fatte fare molte altre cose, ordini aguati» e faccia uccidere Massiva, e massimamente occulto: e, se così non puote, in qualunque modo sia, quello Numida uccida. Bomilcare tostamente adempiette i comandamenti del re, e per uomini artefici225 di questi cotali fatti il suo andare e uscire, e luoghi e tempi tutti fece spiare: e poi là dove il fatto richiedea pose gli aguati. Onde uno di quegli, che a ucciderlo erano apparecchiati, subitamente, e non ben cauto, l’assalì, ed uccise: ma egli fu preso, e,molti dimandando, e specialmente Albino consolo, manifestò chi gliel’avea fatto fare. Onde Bomilcare fu riputato reo, e obbligato a pena, più per modo convenevole e buono, che per sottigliezza di ragione, per tanto, ch’egli era a compagnia di colui, ch’era venuto essendogli data la pubblica fidanza, e avea ubbidito a lui226 Ma Giugurta, ancora che fosse manifesto ch’egli avea fatto questo male, non restò mai di sforzars1227 contra quello ch’era la verità, fin tanto ch’egli non s’accorse che sopra la sua grazia e sopra la pecunia era l’odio di questo fatto. E, avvegnach’egli nel primo arrendimento avesse dati degli suoi amici cinquanta statichi228, più guardando egli al regno che agli statichi, sì rimandò Bomilcare in Numidia nascosamente, dubitando che gli altri suoi popolari non temessono d’ubbidirlo, s’egli ne fosse stato punito e morto: e egli medesimo dopo pochi dì ritornò là, essendogli comandato dal senato che si dovesse partire d’Italia. Ma egli, poiché fu uscito di Roma, dicesi che, spesso riguardandola, alla perfine disse: O città vendevole229, e che tosto dèi perire, se troverai compiatore CAPITOLO XXVIII.
Come Albino consolo andò in Affrica; a come ritornò a Roma, lasciando in suo luogo Aulo suo fratello.
In questo Albino, rinnovala la guerra, apparecchiò tutto fornimento che bisognava, e avacciava di portare in Affrica: e sì tosto andò là egli medesimo, acciocché anzi il tempo della elezione degli altri consoli, il quale non era molto di lungi, egli potesse compiere la guerra o per forza d’arme, o per arrendimento di Giugurta, o in qualunque altro modo. Ma tutto il contrario facea Giugurta: prolungava tutte cose, e, ora in un modo, ora in un altro, trovava cagione d’indugio. Ora promettea di rendersi, e poi infignea di temere; dava luogo all’assalto e all’affrettamento del consolo, e poco poi, acciocché gli suoi non diffidassono, assalia e contraslava egli: e così ora per dimoranza e indugio di guerra, ora di pace, ingannava e beffava il consolo. E furono allora alcuni, che credettono che Albino sapesse, e trattato avesse col re cotal consiglio; e non poteano ben credere che di tanta fretta così leggermente fosse tanto indugiato per pigrizia230, anzi pensavano che fosse per tradimento e per inganno. Ma, poiché, andato via’1 tempo, s’approssimava il dì della elezione, Albino lasciò Aulo suo fratello per pretore e signore dell’oste, e vennesene a Roma. E in quel tempo a Roma, per le discordie degli tribuni,era grande e crudele briga: chè P. Lucullo e Lucio Annio tribuni briga^no di rimanere nell’officio, contrastanti loro gli altri loro compagni231 a quell’officio medesimo: la quale discordia impedia le elezioni di tutto Tanno. Per questo cotale indugio Aulo, il quale, siccome dicemmo di sopra, era lasciato per pretore nell’oste, addutto in isperanza232o di finire la guerra, o di guadagnare danari di Giugurta per paura dell’oste, nel mese di gennajo chiamò e raguuò i militi de’ luoghi ove erano a vernare233 e fecegli essere apparecchiati; e per grandi e faticosi viaggi e aspro verno venne «1 Ila città di Sutul, dov’erano i tesori del re. La quale, avvegnaché per la crudeltà del tempo234 e per l’acconcio235 del luogo non si poteva nè prendere nè assediare, perocché intorno alle mura, le quali erano poste sullo stremo del prerutto236 e quasi tagliato monte, la pianura fangosa per le acque del verno avea fatto padule237; pertanto Aulo, o per infingimento, acciocché aggiungesse paura al re, ovvero acciecato dallo desiderio di volere avere la terra per cagione degli tesori, portava gatti, facea vigne238 e terrati239, e altre cose, che al suo cominciato fossono utili, avacciava.
CAPITOLO XXIX.
Come Giugurta accrebbe la sloltia d’Aulo, e poi lo sconfisse.
Ma Giugurta, conosciuto la vanità d’Aulo e il suo poco senno, maliziosamente accrescea la sua stoltia; mandavalo umilmente pregando per ambasciadori; e egli, quasi schifando la battaglia, per luoghi e vie di boschi menava sua gente. E alla perfine commosse Aulo per speranza di venire in patti con lui, e sospinsero a ciò, che egli, lasciata Sutul, l’andasse perseguitando per nascoste regioni, mostrando egli di fuggirli innanzi; e in questo modo gli fece più nascosto il suo malo intendimento e opere che facea240. Chè egli dì e notte per uomini maliziosi tastava quegli dell’oste; li centurioni e gli conestabili241 corrompea, alcuni che fuggissono, alcuni che a certo segno dato lasciassono il luogo. Le quali cose poiché l’ebbe ordinate a tutta sua volontà, nella profonda notte subitamene colla moltitudine de’ Numidi venne sopra l’oste d’Aulo. I militi romani, percossi dal disusato rumore, alcuni presono l’arme, alcuni altri si nascosono, parte confortavano gli spaventati, dubitavano in ciascun luogo: perocch’era lo sforzo de’ nemici grande242, e ’l cielo per notte e per gli nuvoli oscurato243, il pericolo molto dubbioso; e, se fuggire o stare fosse più sicuro, non era certo. Ma di quel numerosi quali poco di so pra dicemmo che erano corrotti, una coorte di Liguri (a)244 con due torme di Traci (b)245, e alcuni altri militi de’gregarii (c)246, passarono al re247. E’ centurione della prima bandiera248 della terza legione per una fortezza, la quale gli era data a difendere, diede agli inimici la entrata; e da quella parte entrarono tutti gli Numidi: e li nostri con sozza fuga, e molti gittate Tarmi, occuparono il prossimano colle. La notte e la preda ritenne i nimici che non usassono tutta loro vittoria.
CAPITOLO XXX.
Del palio che fece Giugurta con Aulo; e come Albino ritornò in Affrica.
L’altro di Giugurta parlò con Aulo, e disse: che, avvegnach’egli tenesse rinchiuso lui e la sua oste per forza e per fame, pertanto egli, ricordandosi dell’avventure degli uomini, s’egli volesse venire a patto, libererebbe loro persone, facendoli tutti andare sotto un’asta (d)249, e che eglino in fra dieci di si dovessono partire di Numidia. Le quali cose avvegnach’erano gravi e piene di doglia, ma, perocchè v’era minaccio250 e paura di morte, secondo ch’ai re era piaciuto, così fu fatta la pace. Ma, sapute queste cose a Roma, paura e dolore venne nella città: alcuna parte si dolea per l’onore dello’mperio; alcuna parte, disusati di battaglia, torneano della loro libertà: ad Aulo erano tutti contrarii, e specialmente quegli che in battaglie erano suti spessamente onorati, dicendo contra lui, com’egli armato aveva cercato sua salute con disonore piuttosto che con le sue braccia. E per queste còse il consolo Albino, temendo l’odio e’1 pericolo, domandava consiglio al senato del patto e della pace che Aulo fatto avea: e nientemeno in questo mezzo assegnava egli lo rifacimento dell’oste251, e domandava ajuto dagli compagni de’Romani e dalla gente detta Latina, e in tutti i modi avacciava. Il senato, siccome era verità e giustizia, giudicò che senza il comandamento e autorità sua e del popolo niuna pace si potea farè. Il consolo, impedito dagli tribuni del popolo che non menasse seco la gente’I fornimento che apparecchiato avea, nondimeno in pochi dì passò in Affrica: e lulta l’osted’Aulo, siccome avea
- convento a Giugurta252, era partita di Numidia, e vernava nella prossimana provincia. Poiché Albino fu là venuto, avvegnaché di seguitar Giugurta e di medicare l’odio253 del fratello egli con tutto animo era acceso, pertanto, conosciuti li militi, i quali, senza quello ch’avea loro nociuta la fuga, per disciolto imperio, la licenzia e la vanità aveva corrotti, per la gente che avea, diterminò254 di non fare niente.
CAPITOLO XXXI.
Come il popolo di Roma volle fare inquisizione contra li fautori di Giugurta.
Intanto a Roma G. Mamilio Limitano tribuno del popolo sì propose a) popolo d’una inquisizione255 che fosse domandato e cercato incontra256 di coloro, per cui consiglio Giugurta non avesse curati i comandamenti che’l senato gli avea fatti; e chi avesse ricevute pecunie da lui o in ambasceria o in signoria; e chi gli avesse dato i leofanti e li suoi fuggitivi; anche chi avesse fatto con lui patto o ordinamento di pace o di guerra che fare si dovesse. Questa inquisizione dispiacque ad assai: alcuni temendo li pericoli, perocché si sentiano colpevoli; alcuni temendo per parte257, perocch’erano della parte de’grandi, ch’aveano commesse le dette cose. Ma, perocché apertamente non poteano contradire, ché non convenisse loro dire che quegli cotali fatti e altri somiglianti piacessono loro; presono a contradire occultamente, brigandosi di dare impedimento per gli amici degli Romani, e specialmente per gli nominati Latini258. Ma’l popolo è incredibile a dire come fu atteso e volontarioso259, e con quanto studio comandò che la inquisizione fosse fatta; e ciò ordinò e volle più per odio de’grandi, a’quali questi mali s’apparecchiavano, che per cura della repubblica: tanta era allora in Roma la voloutà delle par- ti260 Dunque, essendo gli altri grandi assai spauriti, Marco Scauro, il quale fu eletto compagno di Bestia, siccome è detto di sopra, in fra la letizia del popolo, eia fuga e* I timore de* suoi, essendone allora la città assai dubbiosa, si avea egli fatto ch’egli fosse uno degli tre inquisitori, i quali doveano essere a fare261 la inquisizione secondo che Mamilio avea’detlo. Ma, con tutto che Scauro avesse ciò studiato e fitto, non gli valse; anzi fu fatta la inquisizione da altrui aspramente e sforzevolmente262, e per lo romore e per la gran voglia263 del popolo: chè, siccome spesse fiate gli grandi, così a quel tempo gli popolari, per loro prosperità, erano da isconvcnenza264 e oltraggio presi e occupati.
CAPITOLO XXXII.
Delle auliche discordie di Roma.
Poco tempo innanzi era nato in Roma il costume e ’I modo della parlo del popolo e di quella del senato, di trattamenti e di ragunamentj, e poi di tutte altre reità e male arti. Questo era intervenuto per Io riposo e per l’abbondanza di quelle cose, le quali gli uomini del mondo riputano per più principali (a)265. Perocché; innanzi che Cartagine fosse disfatta, il popolo e’fsenato di Roma piacentemente266 e ordinatamente trattavano in fra loro la repubblica; nè per gloria, nè per signoria si combatteano fra loro267: la paura de’nimici in buone arti mantenea la città. Ma, poichè’l limore andò via dalle loro menti, vennouo in loro quelle due cose, che di prosperità sogliono seguitare, cioè vanità d’animo e grandezza d’orgoglio; e così quello riposo, il quale nell’avversità aveano desiderato, poiché l’ebbono avuto, fu fatto loro più aspro e più crudele ch’altra guerra: chè cominciarono gli grandi loro dignità e’I popolo loro libertà stravolgere a tutta loro propria voglia, e ciascuno a sè menava, recava e rapiva: e così ogni cosa si partia in due parti; la repubblica, ch’era nel mezzo, fu in tutto squarciata. Bene è vero che allora la parte de’grandi per cagione di loro lega era più potente; quella del popolo, perocch’era disciolta e dispartita in moltitudine, avea la potenzia minore. Sicché ad arbitrio degli pochi grandi in città e in oste era governata la repubblica; e appresso loro medesimi era l’avere dellla camera, le Provincie, le dignità, le glorie e gli trionfi (a)268: il popolo era costretto e delle milizie e della loro medesimo bisognanza269. Le prede delle battaglie gl’imperadori .con gli detti pochi ripiano e dipurtiano: e infra questo li padri, eh’erano vecchi, ovvero gli figliuoli di quegli popolari, ch’erano nell’oste del comune, siccome egli erano vicini o aveano confini di possessioni appresso ad alcuno de* grandi, erano scacciati di loro beni. E così con la loro potenzia, e per la loro avarizia, senza modo e temperamento veniano nell’altrui, assaliano, e guastavano270. tulio, ninna cosa appcnsala nè buona avea-ii", infino a tanto ch’eglino sè medesimi sì straboccarono e guastarono2. Chè sì tosto come degli grandi furono trovali alcuni, li quali verace gloria anliponeaDo alla ingiusta potenzia, cominciossi a muover tutta la città, e a venire la cittadinesca discordia, in modo d uno grande permischia-mento di terra, e useinne mólto di male. Chè, poiché Tiberio e Gojo Gracco, li cui maggiori nell’affìicana e allre guerre aveano mollo accresciuto alla repubblica271, cominciarono a volere rendere libertà al popolo, e manifestare le iniquilà de’pochi; gli grandi, essendo colpevoli o nocenti, imperò molto temendo, si misono a contrastare agli Gracchi con gli compagni272 di Roma, e con gli nominali Latini, e ancora lalora con la gente da Catullo di Roma, la quale, per ispcranza d’aver compagnia con gli grandi, s’era dal popolo dipartita: sicché gli grandi prima Tiberio, e poi, dopo pochi anni, entrando G<>jo per quella medesima via ( uno Iribjiuo, e un altro officiale e signore sopra lo menare delle colonie (b)273 ), e simiglianlemenle Marco Fulvio Fiacco, aveano morti a ferro274. Rene è vero che gii Gracchi nel desiderio del \ intere mostrarono assai ismode-ralo animo: ma meglio è che uomo sia tinto mantenendo suo buon costume, che non è il vincere a costume c modo crudele e reo. Gli grandi quella vittoria usuiouo a tutta sua voglia275, e molli uomini o per ferro o per fuga feciono morire: allora per gli temporali, chi! doveano venire, s’accrebbono più paura che potenzi*. I n qual cosa spesse, fiate ha già sottomesse grandi città; quando l’un l’altro \uole vincere in qualunque sia108 | il giugurtino |
CAPITOLO XXXIII.
Come Metello consolo passò in Affrica, e trovò l’oste mollo disordinala.
Dopo’l patto d*Aulo eia vituperosa fuga della nostra gente, Metello e Silano consoli disegnati aveano partite fra loro le provincie; e Numidia era venuta a Metello, molto valente uomo, avvegnachè fosse contra la parte del popolo: pertanto egli era di fama eguale e immaculata dall’una parte e dall’altra. Questi, poichè fu entralo nella signoria277, ogni altra cosa pensando e ordinando comunemente col suo compagno, egli alla guerra, che dovea fare, pose lutto il suo animo. Onde, diffidandosi della vecchia oste, eleggea militi, scriveagli. e facea venire l’ajuto da tutte le parti: arme, lance e cavalli, e tutti altri guernimentì da oste, apparecchiava: anche fodero278 abbondevolmente, e tutte cose, che in isvariate guerre in acqua e in terra a uomo abbisognante di molte cose sogliono in uso venire279. Ed a queste cose così fare, per autori là, ch’avea dal senato, li compagni e gli nominati Latini e gli re per loro spontanea volontà mandavano ajutorio; e medesimamente tutta la città con sommo studio dava òpera a queste cose. Sicchè, apparecchiate tutte cose a sua volontà, passò in Numidia, avendo gli cittadini grande speranza di lui, e sì per le sue buone arti, e sì massimamente perocch’egli verso le ricchezze avea non vin^o animo: e per l’avarizia de’ signori innanzi a quello tempo in Numidia la nostra potenzia consunta, e quella degli nimici era accresciuta. Ma, poich’egli fu in Affrica venuto, sì gli fu data l’oste di Spurio Albino proconsolo: la quale era d’uomini senza operare280 ed a battaglia non acconci, nè di pericoli uè di fatica sofferitori, di lingua più che di mano pronti, predatori de’compagni, e eglino preda de’nemici; senza signoria e senza moderamento tenuti: sicchè al nuovo imperadore più accrebbe sollecitudine de’ mali costumi loro, che non gli crebbe spe generi dubbio, come in questo luogo. ranza buona d’avere assai genie. Onde, avvegnaché già approssimasse281 lo tempo degli estivi comizii (a)282, avvegnach egli pensasse bene che gli a* nimi de’cittadini di Roma erano sospesi aspettando che avvenisse; per tanto egli diterminò di non prima muovere a battaglia,ch’egli gli avesse addottrinati e costretti a faticare, secondo la dottrina de’maggiori: tale era diventata quella gente. Perocché Albino, percosso e doltoso283 per la pestilenzia e per lo male di Aulo suo fratello e dell’oste, poich’egli diterminò di non uscire fuori della provincia, che era de’Romani; quanto tempo della stale fu nella signoria, tenea sua gente il più che potè in un luogo, dove s’erano attendati: nè si partiano, se non quando la pyzza o la necessità di vivanda gli costringea di mutare284. Nè a costume d’oste si poneano285, nè vegghiavano guardie; siccome a ciascuno piacea, si partiano da lor bandiere. Anche gli ribaldi e vili sergenti286 di e notte andavano mescolati cqji loro; eglino andavano qua e là guastando gli campi, prendeano le ville, di pecore e di servi sforzatamente menavano prede, e cambiavano con mercatanti a vino portalo ead altre cotali cose; anche’l formento dato loro dal comune vendeano, e’1 pane comperavano di dì in dì: alla perfine, qualunque vitupèri287 si possono dire 0 componere di pigrizia e di lussuria, in quell’oste furono tulli, e anche altri più.
CAPITOLO XXXIV.
Come Metello recò l’oste a ordine e a bene.
Ma in quella malagevolezza trovo io e veggio che Metello non meno che ne*fatti di battaglie fu grande e savio uomo: con tanta temperanza infra la voglia della vittoria e la malizia di sua gente fu ammoderato. Chè nel suo primo ordinamento sì tolse via lutti ajutamenti di loro miseria288, comandando che niuno all’oste pane e altro cibo colto dovesse vendere; e che niuno di quegli ribaldi e vili sergenti dovesse l’oste seguitare; e che niuno milite gregario (b)289, nè in oste stando nè eziandio andando, dovesse avere servo nè bestia per cose portare: ad altre cose pose modo per sue buone arti. Anche per viaggi traversi290 ogni dì menava l’oste, e,co- me se gli nimici fossono presenti, cosici’ argine (a)291 gl’oste fortificava, ponea le spesse guardie a vegghiare, e egli con certi officiali l’andava attorno ricercando. Anche nell’andare dell’oste era egli fra gli primi, talora fra gir ultimi, e spesso nel mezzo, acciò che niuno uscisse di suo ordine, e che andassono stretti a loro bandiere, e il milite lo cibo portasse e l’arme. Così, vietando dal male292 maggiormente che vendicando, la sua oste in brieve tempo confermò nel bene.
CAPITOLO XXXV.
Comi Giuyuvta mandò ambasciadori a Metello; e come Metello andava con sua oste mollo a j> provveduto.
In fra questo Giugurta, poiché intese da’messaggi quelle cose che Metello facea, e insieme con ciò essendo egli fatto certo ifi Roma dell’innocenzia di Metello, diffidandosi di potersi difendere; allora finalmente diterminò e studiò d’arrendersi davvero: ornandogli ambasciadori al consolo con grandi e umili preghiere, i quali solamente addimandassono la vita sua e de’suoi figliuoli, e tutte altre cose dessono in potestà del popolo di Roma. Ma Metello avea già per innanzi293 conosciuta e provala la generazione de’ Numidi non fedele e per ingegno rimutevole 294 disidcrosi di nuove cose. Onde egli, spartendo gli ambasciadori l’uno dall’altro, parlò loro, tastando appoco appoco295. Poich’egli gli cognobbe essere acconci al suo fatto, promettendo loro molte cose, gli recò a ciò296: ch’eglino Giugurta, massimamente vivo, e, se ciò non si potesse ben fare, almeno morto gliel «lessono; e disse loro che in palese rinunciassono al re Giugurta297 che sarebbono fatte le cose a sua volontà. Poi egli indi a pochi di con l’oste attesa a battaglia298 e contraria alli nemici procedette e andò in Numidia: nel qual luogo egli, contra modo di guerra, trovava le capanne piene d’uomini, e che il bestiame e i lavoratori erano ne’campi; e delle castella e delle mapali (b)299 uscieno e procedeanogli incontra300
- li prefetti del re apparecchiali a dare il formento, e tutto altro fornimento recare loro, e anche lutle cose fare che fossono da lui comandate. E non però Metello niente meno, anzi tuttora come gli nimici fossono presenti, con appnmcdula e gucrnila guardia così andava da lungi, spiava le cose, è credeva che tutti quegli segui di rendere fossono cose infinte, e che Giugurta in questo modo cercasse d’avere luogo d’aguali o di tradimenti. Egli con valenti e spedile compagnie, e con frombolatori e saettatori delibera in fra gli primi; nell’ultimo G. Mario legalo sì era con la gente da cavallo301 e dall’un lato e dall’altro avea compartiti gli cavalieri del soccorso302 e datigli agli tribuni delle legioni, e agli prefetti delle compagnie; e con loro mescolati i veloci e leggieri pedoni, li quali a qualunque luogo s’andasse combattessono, e discacciassono la cavalleria de’ nimici. Che dalla parte di Giugurta era tanto di malizia e di perizia303 de’ luoghi e di sua gente, che, s’egli, assente ovvero presente, trattando pace o menando guerra, fosse peggiore o più pericoloso, era dubbio e non certo.
CAPITOLO XXXVI.
Come Metello occupò la città di Vacca, e facea continua guerra.
Presso a quella via, ove Metello andava, era una città de’ Numidi detta Vacca, là dove si facea’I mercato delle cose vendevoli di lutto il reame; ed era molto nominata304 e molto abitata. Quivi soleano abitare e mercatantare molti uomini italici. Nella detta città Metello, per provarli, e anche, se fare si potesse, per potere avere l’agio di quello luogo, mise sua gente: anche comandò loro ch’eglino recassono formento e altre cose che a battaglia fossono utili. Questo fece Metello, pensando quello che era, cioè che, per lo molto usare degli mercatanti, il loro fornimento sarebbe all’oste ajuto, e ancora che tal città delle cose conquistate sarebbe buona difensione. In fra questi fatti Giugurta più studiosamente mandava gli umili ambasciadori pregando di pace305; e dicendo che, eccetto la vita sua e degli suoi figliuoli, tutte cose si dessono a Metello. Gli ambasciadori, siccome gli primai306, il consolo confortando e attraendo a fare tra
- dimento, gli rimandava a casa; e al re la pace, che dimandava, nè vietava in tutto, nè promettea; e fra questi indugi aspettava le impromesse307 degli ambasciadori. Giugurta, poi308 gli detti di Metello considerò insieme co’ suoi fatti, e avvidesi ch’egli era tastato con le sue arti, perocché in parole gli era nunciata pace, e in fatti era la guerra durissima; e che così grande città era da lui dipartita, e la contrada già conosciuta da’ nimici, e gli animi de’popolari suoi tastati; costretto per necessità, diterminò di combattere ad arme. Onde, spiata la via de’ suoi nimici, e recato in isperanza di vittoria per l’agio del luogo onde passar doveano, apparecchiò quanto potea più gente d’ogni generazione, e per occulte vie andò innanzi, ond’era la via di Metello.
CAPITOLO XXXVII.
Come Giugurta si pose a uno colle per aspettar Metello, e confortò gli suoi.
In quella parte di Numidia, la quale Aderbale nella partigione309 avea posseduta, era uno flume, il quale venia di verso meriggio310 che avea nome Mutul: al quale era uno monte da lungi quasi XX milia passi, ed era parimente da ciascuna parte ritratto311, ma salvatico, infruttuoso e da natura e da umano lavorio312. In questo mezzo si levava quasi un colle, molto Iato313 vestito d’oliastri314 e di mirteti e d’altre generazioni d’arbori, li quali in arida terra e in renosa sogliono nascere. La pianura era tutta diserta per la carestia dell’acqua, se non gli luoghi ch’erano presso al fiume315, gli quali erano ornati e pieni d’arbuscelli, da bestiame e lavoratori usati. Adunque in quel colle, il quale era attraverso della via levato, s*assise Giugurta316, assottigliata ovvero nascosta la schiera de’ suoi; e agli leofanti e parte di gente a piede fece capitano Bomilcare, e insegnógli che dovesse fare317. Egli nel detto colle presso al monte con tutti cavalieri e pedoni eletti allogò sua gente; poi, ciascuna turma e manipuli (a)318 insieme attorniando, gli ammonisce, e forte scongiura: ch’eglino, ricordandosi della prima loro virtù e vittoria, dall’avarizia de’ Romani si difendano; e che hanno a far battaglia con coloro, i quali, innanzi, avendo vinti, aveano sotto il giogo messi; e che eglino hanno mutato il duca, ma non l’animo; e come quelle cose, che si appertengono al signore319, egli avea ben provveduto: il luogo di sopra era loro, ecome sa vii aveano a combattere con non avveduti; e non gli meno con gli più, nè gli rozzi con migliori avessono a mano venire320. Onde ammonio ch’eglino fossono apparecchiati e attesi, a certo segno fatto, di assalire gli Romani; e che quel dì tutte lor fatiche e vittorie assommerebbe321, ovvero di gran miserie sarebbe cominciamento. Anche a uomo a uomo, siccom’egli ciascuno per opera di valenzia avea esaltato in pecunia 0 in onore, sì l’ammonia del suo beneficio, e lui agli altri dimostrava. All'ultimo, secondo ch’era lo ingegno di ciascuno, promettendo, minacciando, e fortemente pregando, e altri in altro modo, risvegliava e sollecitava. Intanto apparve Metello trapassante per lo monte con la sua oste, non sappiendo322 niente di queste cose.
CAPITOLO XXXVIII
Come Metello vide l’oste di Giugurta, e ordinò sua gente.
Metello prima dubbiò che dimostrasse la disusata faccia (b)323: perocché fra gli arbuscelli e gli cavalli li Numidi s’erano assisi, e non al tutto nascosti, per la piccolezza degli alberi.Li Romani erano incerti che fosse, per la natura del luogo boscoso e per la malizia de’ Numidi, li quali e loro e tutte bandiere ed altri cavallereschi segni aveano oscurati e nascosti. Poi, in brieve avendo Metello conosciuti loro aguati, bellamente ordinò l’oste in questo modo324: ch’egli mutò l’ordine detto di sopra, e dalla parte destra, la quale era presso a’nimici, fece tre schiere, e fra’manipuli com-’ partì frombolatori e saettatori; li cavalieri pose tutti nelle cantora325; e in poche parole secondo il tempo confortando gli suoi, avendo così tramutati li principii,dall’alto326 menò sua gente nel piano.Ma, poich'egli vide gli Numidi stare cheti, e che del colle non si partiano, temette che, per io tempo della state che era, e per la carestia dell’acqua, sua oste fosse
- molestata di sete: e mandò innanzi Rulilio, legalo, con espedite coorti e parte de* cavalieri al fiume a prendervi luogo, pensando Metello che gli nimici per ispessi assalti e battaglie da traverso rilerrebbono e indugerebbono sua via, e che, perocché d’arme non si fidavano, per istanchezza e per sete intendeano sopra la sua gente vittoria cercare. Mandato dunque Rutilio, egli, secondo il fatto e secondo il luogo, siccome era disceso del monte, procedea bellamente; e fece Mario venire dopo a lui al dirietro327, e egli si pose con cavalieri, ch’erano dal lato manco, i quali erano ordinali che fossono gli principali menatoli e fedilori328.
CAPITOLO XXXIX.
Come Giugurta assaìio gli Romani, e combattè contra loro.
Giugurta, poiché vide che l’ultima schiera di Metello uvea passati gli primi suoi, occupò il monte, onde Metello era disceso, quasi con duemila pedoni, acciocché, se gli Romani dessono piega329, che ’I monte non fosse loro ricetto, e poi loro guarnimento e difesa. Poi, subitamente, fatto segno, assalio gl’inimici. Gli Numidi alcuni fediano li ultimi de’Romani; alcuni assaliano da sinistra e da destra: molesti erano, forte contrastavano; e da ogni parte ii ordini de’Romani sturbavano330. De’quali quegli che con più vigore d’animo andavano contra di loro, scherniti per la tacerla battaglia, erano fediti da lungi (a)331, e eglino non poteano fedire loro, o a mano venire332: chè Giugurta avea innanzi ammaestrato li suoi cavalieri, che, quando la turba de’Romani gli cominciasse a perseguitare, ch’eglino non si raccogliessono insieme, ma l’uno dall’altro massimamente dilungati333. E così, avvegnaché, essendo gli Giugurtini più per numero, non potessono spaventare gli Romani dal perseguitamento334, aspettavano li Giugurtini quando li Romani erano dispartiti, di dietro o da Iato gli percoteano, e, se ciò non potessouo, il colle era loro più acconcio a fuggire che’l campo: e per questa cotal fuga li cavalli de’Numidi adusati, leggermente scampavano; ma li nostri l’asprezza e la disusanza335 del luogo ritenea e impedia. La qualità di tutta battaglia era isvariata e incerta, sozza e misera. Li Romani, dispartiti, alcuni insieme piegavano, alcuni perseguitavano,336 e niuno ordine servavano; là dove ’l pericolo prendea ciascuno, quivi contrastava ecombaltea: arme e dardi, e cavalli e uomini, inimici e cittadini, erano permischiati: niuna cosa per consiglio; la ventura reggeva tutto. Sicché molto era andato del dì337 e ancora l’avvenimento della battaglia era incerto. Alla perfine, essendo tutti per fatica e per caldo indeboliti, Metello, quando vide che li Numidi meno contrastavano, appoco appoco ragunò i suoi e recò a ordine, e allogò qualtro coorti di legioni (a)338 incontr’a’ pedoni de’nimici, delli quali gran parte ne’luoghi di sopra per la stanchezza s’erano assisi; e pregò e confortò li suoi ch’eglino non mancassono, e che non sostenessono che gli nemici fuggienti339 dovessono vincere; e com’eglino non aveano castella né guarnimento niuno, laddove doessono scampare; che tutto lor fatto era nelle loro armi. Giugurta in questo mezzo non stava cheto; anzi andana d’intorno, confortava, rinnovava battaglia, ed egli con gli eletti tutte cose, che utili fossono, tastava; sovveniva a’suoi, alli nimici dubbiosi contrastava; e quegli, che sapeva di’ erano forti, da lungi combattendo, gl’impacciava. In questo modo in tra loro combatteano li due imperadori, uomini sommi: eglino infra sè pari, ma con ajuto dispari: chè Metello avea per sè li buoni combattitori340 e il luogo contrario; a Giugurta tutt’altre cose, eccetto li combattitori,frano in acconcio341. Alla perfine, poiché li Romani conobbono che non aveano dove ricoverare, nè dal nimico aveano copia di potere combattere con lui, e già era presso alla sera; secondo che fu loro comandato, se ne andarono sui colle, ch’era a rimpetto342. Sicché li Numidi, avendo perduto il luogo, furono rotti e scacciati: pochi ne morirono; e molti dijoro, per velocità, e per la contrada, che non era da’nimici saputa, furono scampali.
CAPITOLO XL.
Come Bomilcare e Butilio combatterono insieme, e come Butilio vincitore ritornò a Metello.
Intanto Bomilcare, il quale da Giugurta era posto sopra i leofanti e parte della gente a piede, siccome è detto di sopra, poiché Rutilio l’ebbe passato, bellamente recò sua gente nel piano: e, mentre Rutilio al fiume, là dove mandato era, tostamente andava, egli cheto, siccome il fatto richiedea, acconciò sua schiera; e non ristava di spiare che in ciascuna parte il suo inimico facesse. Poich’egli seppe che Rutilio s’era assiso, e già senza niuna sollecitudine stava, e anche della battaglia di Giugurta cresceano le grida; temendo che ’1 detto legato, saputo della battaglia, non venisse in ajutorio a suoi, la schiera, la quale egli avea ordinata molto stretta, diffidandosi della loro virtù, acciocch’egli potesse impacciare e nuocere alla via de’nimici, sì l’allargò molto: e in questo modo se n’andò verso il luogo dov’era posto Rutilio. IRomaui subitamente s’avvidono del gran polverio: ché lo vedere de’nimici toglieano loro i campi pieni d’arbori. £ pensarono eglino prima che fosse terra arida da vento commossa; poi che vidono ch’ella egualmente dimorava, e, siccome la schiera si movea, più e più s’approssimava a loro, conosciuto il futto, isbrigatamente presono loro armi, e dinanzi dal lor campo, siccom’era loro comandato, stettono. Poich’egli furono venuti più appresso, dall’una parte e dall’altra con grande grida343 si cordono incontro. 1 Numidi un poco ritardarono, ponendo ne’leofanti tutta la speranza di loro ajuto. Li quali, poiché vidono ch’erano impediti de rami degli àlbori344, e che, essendo così spartiti, vidergli soprassalire da’nimici345, fuggirono: e molti, gittate l’armi, per ajuto del colle, ovvero della notte, la quale già era, si partirono e scamparono. Furonvi presi quattro leofanti; e gli altri tutti, ch’erano quaranta per numero, furono morti. Ma li Romani, avvegnaché per cagione della via e dell’opera di fare lo campo e della battaglia stanchi e allegri erano, pertanto, vedendo che Metello molto dimorava, ordinati e attesi gli andarono incontro: chè la malizia de’Numidi era tanta, che niuna cosa pigra né rilassala sosleneano346 su nella prima sera347,poiché non erano molto di lungi, insieme con rumore d’arme quasi nimici si vernano incontro, e l’una parte contro l’altra paura insieme con rumore fa» ceano: e poco meno che per loro disavvedimento egli avrebbono fatto una sozza e misera opera; se-non che furono mandati cavalieri daciascuna parte, li quali spiarono il fatto. Onde dopo la paura subitamente venne loro grande allegrezza: li militi cominciarono a chiamarsi lietamente l’uno l’altro; e a dire quello che aveano fatto, e a udire; e ciascuno li suoi forti fatti lodava a cielo. Perocché gli falli umani così vanno: che nella vittoria eziandio a’cattivi è licito di gloriare; ma le avversità eziandio li buoni sottomettono.CAPITOLO XLI.
Come Metello lodò li suoi, e spiò che facea Giugurta vinto.
Metello in quegli luoghi stette a campo quattro giorni348, e gli fediti fece medicare e curare, e quegli, che s’erano ben portati nelle due battaglie, ad uso di cavalleria, sì guiderdonò, e tutti in parlamento lodò e ringraziò. Confortógli che all’altre cose, che rimaneano, e erano lievi, abbiano pari animo ed eguale vigore: chè quanto per la vittoria349 era già assai combattuto; tutta la rimanente fatica sarebbe per preda. E, avvegnach’egli dicesse cosi, sì mandò egli li fuggiti e altri acconci a ciò per ispiare ove e fra qual gente fosse Giugurta, ovvero che brigava di fare, se era con pochi o se avea gente, e come si portava essendo vinto. Ma egli era andato a certi luoghi di grandi boschi, e molto forti per natura; e quivi ragunava oste quanto per numero d’uomini maggior che la prima; ma erano rozzi e di poco valore, chè s’intendeano più di campi e di bestiame governare, che di battaglia fare. Questo intervenia, perocchè, eccelli li cavalieri propii del re350, niuno altro Numido, quando fuggono, seguitano lui; anzi vanno là dovunque gli porta lor animo: e questo non è appresso loro riputato misfatto di milizia; chè sono così li costumi di quelle contrade.
CAPITOLO XLII.
Come Metello guastò e prese molli luoghi di Numidia; e come Giugurta assalì degli suoi.
Poichè Metello vide che l’animo del re ancora era feroce su lo rinnovare della battaglia, la quale egli non potea fare, se non a voglia del suo avversario, e che egli avea mal combattere con li Giugurtini351 perocchè men danno aveano eglino essendo vinti, che non aveano li Romani vincendo; pensò e diliberò di non far guerra per battaglia di campo nè con ischiera, ma in altro modo. Ond'egli se ne andò ne’ più ricchi luoghi di Numidia, guastò campi e ville, e molte castella e città, non bene guarnite ovvero senza ajuto, prese e incese352; e quegli ch’erano in età uccise, comandando che tutte l’altre cose fossono preda do’suoi. Per quella cotal paura molli uomini furono dati per statichi a’ Romani; eforraento e altre cose, che fossono per mestieri353 abbondevolmente dale; e Metello là, dovunque bisognava, pose gente a guardare e difendere. Questi cotali fatti spaventavano il re molto più che la battaglia male combattuta da’ suoi: perocché egli, la cui speranza era tutta posta nella fuga, ora era costretto di seguitare; e, non avendo potuto difendere le sue luogora, gli convenia far battaglia nell’altrui. Ma pertanto, secondo il male, prese quel consiglio che più ottimo parea: egli spessamente comandava alla sua oste che si stessono e aspeltassono in certi luoghi; e egli cogli eletti cavalieri seguitava Metello di notte; e, ondando fuor di vie e subitamente, non provveduto da’Romani, quegli, ch’andavano spargendosi in qua e in là, sì gli assalio: e molli di loro, essendo disarmati, furono morti, e molli presi; e niuno ne campò che toccato non fosse. E li Numidi, anzi che dall’oste venisse l’ajuto, siccom’era loro conlaudato, si partirono e andarono ne’più prossimani colli,
CAPITOLO XLIII.
Come di Metello essendo grande fama, egli tanto più si studiava a prodezza; e come Giugurla l’assalio.
Infra questo a Roma venne grande allegrezza, saputi i fatti di Metello: come egli sè e sua geute a’costumi e modi degli maggiori governava354; e com’egli, essendo slato in luogo molto contrario, per sua virtù era stalo vincitore; e come avea molta terra de’ nimici; e come Giugurta, il quale era magnifico per la miseria d’Albino 355, egli l’avea costretto d’avere speranza di sua salute in diserto356 ovvero in fuga. Onde il senato per queste cose bene e avventurosamente fatte fece orazioni e sacrjficii agli Dii immortali; e la ciltà, spanrala357 prima e sollicita dell’avvenimento della battaglia, venne in grande allegrezza: di Metello era grande e chiara fama. Per la qual cosa egli lanto più attesamente studiava a vittoria, e in tutti modi avacciava, gnaulandosi che in niuna parte cadesse in concio al suo nimico358. Avea in memoria che dopo la gloria séguita l’odio e la invidia: sicchè quanto era più chiaro e glorioso, tanto era più pensoso. Nè dopo l’assalto di Giugurta lasciò sua gente spargere a preda359 quando era bisogno del formento, le coorti con tutta la cavalleria andavano in ajuto: dell’oste una parte menava egli, e l’altra Mario: ma lo guasto si faceva più a fuoco che a preda. In due luogora non di lungi si poueano a campo: quando forza c’era bisogno, tutti erano presenti; ma, acciocchè la fuga e la paura più largamente crescesse a’nimici, faceano queste cose dipartiti. In quel tempo Giugurta gli andava seguitando su li colli, e cercando tempo e luogo di combaitere; e là, dov’egli udia che’l nimico dovesse venire, la pastura guastava, e le fontane dell’acqua, delle quali v’era assai grande difetto, corrompea: ora si mostrava a Metello, talora a Mario; gli ultimi dell’oste tastava, percotea, e incontanente tornava; e ora a quegli, e ora a quegli altri minacciava360; e nè battaglia loro facea, nè in riposo gli lasciava: tanto361 il nimico dal suo incendio e guasto impedia.
CAPITOLO XLIV.
Come Metello assediò Zama, e mandò Mario a Sicca.
Lo romano imperadore, poichè solo con malizia si vide affaticare, e che dal nimico non si facea copia del combattere362, deliberò di combattere una gran città, la quale in quelle contrade era principale e reale363, chiamata Zama: pensando quello che’l fallo richiedoa, cioè che Giugurta, essendo li suoi in fatica, verrebbe loro in ajuto, e quivi sarebbe la battaglia. Ma Giugurta, avendo saputo da’fuggiti quello che Metello s’apparecchiava di fare, a grandi giornate antivenne a Metello in Zama364; e* pregò li cittadini che difendessono la terra; e aggiunse loro in ajuto li fuggiti, la qual generazione d’uomini, perchè nè ingannare nè tradire po-teano, era fedelissima: anche promise loro dicendo che, quando sarà tempo, egli medesimo con sua oste vi verrebbe, e sarebbe presenle. E, avendo così ordinate queste cose, si partì, e andò in luoghi molto occulti: e dopo conobbe e seppe che Mario del viaggio da Metello365 fu mandato con tornare opportuno; e nè I uno nè l’altro modo è registrato nel Vocabolario, quantunque vi si trovasse taglio in sentimento di opportunità. poche coorti per lo formento a Sicca, che era una città, la quale in prima di tutte dopo la mala battaglia era mancata al re. Là andando366 Giùgurta di notte con eletti cavalieri, e già escendone li Romani367, combattè cou loro; e con gran voce confortò e gridò alli Siccesi368 che dovessono loro coorti percuotere e combattere di dietro; chè l’avventura dava loro caso e materia di grande e di chiaro fatto; e. se eglino ciò facessono, poi egli nel reame, e coloro nella libertà senza paura niuna menerebbono369 lor vita. E, se Mario non avesse molto avacciato di far trarre e passare i pennoni e le bandiere370, certamente tutti o gran parte delli Siccesi avrebboiio mutata lor fede: tanta è la mobilità, per la quale li Numidi sono trasportati. Ma gli cavalieri giugurtini, prima un poco dal re confortati e alati371, poiché loro nimici con maggior forza e gente contrastavano, essendo pochi gli amici372, fuggendo si partirono indi. Mario pervenne alla città di Zama: la quale, posta in piano, era maggiormente forte per opera d’uomo che per natura di luogo; e di niuna cosa conveniente avea difetto, d’arme e d’uomini copiosa. Metello, secondo il tempo e luogo avendo apparecchiate le cose, attorniò e cinse tutte le mura della città con sua oste; e alli suoi capitani comandò là dove ciascuno dovesse aver cura di dar battàglia; poi, fattoi segno, da ogni parte e da tutti insieme si levò grande grido. E non però questa cosa niente spaventò li Numidi: irati e attesi dimorano senza grido niuno. La battaglia fu cominciata. Li Romani, secondo lo’ngegno di ciascuno, alquanti combatteano da lungi con pietre e con ghiande (a)373; alcuni andavano al piò delle mura, e tagliavano, e cavavano; talora assalivano con iscale par combattere alle mani con loro374. Contra queste cose quegli dentro sopra quegli eh*erano prossimi voigeano sassi; pertiche e dardi giltavano, e anche pece con zolfo, e teda col fuoco375. E eziandio coloro, ch’erano da lungi, per la paura di loro animo, non erano però sufficientemente difesi; chè molti ne fediano li dardi gittati dagli edificii a ciò376 ovvero con mano: sicchè in cgual pericolo, ma in diseguale fama, erano gli prodi con gli vili insieme.
CAPITOLO XLV.
Come Giugurta assal��’l campo, e fu discaccialo.
Mentre appresso Zuma si combaltea, siccome detto è, Giugurta subitamente e con gente molta assalì’I campo; e, rimessi e uccisi quegli377 ch’erano alla guardia e che di battaglia niente aspettavano, venne dalla entrata, e fu alli nimici. Ma gli nostri, spaventati dalla subita paura, ciascuno prese il consiglio secondo il modo suo: alcuni a fuggire, alcuni a prendere arme; gran parte ne furono fediti ovvero uccisi. Veramente di tutta quella moltitudine uon furono più di quaranta quegli, i quali, rimembrandosi del nome romano, si raccolsono insieme, e presono un luogo un poco più alto che gli altri: nè d’indi con grandissimo sforzo poterono esser cacciati; ma gli dardi gittati loro da lungi sì rigettavano, e, perocch’erano pochi contra li più, addivenia che loro gittare era meno in fallo: e, se per ventura li Numidi si faceano più dappresso loro, quivi per vero mostravano lor virtù, e loro con grandissima forza fediano, spartiano, e cacciavano. Iti questo Metello, combattendo fortemente, udì di dietro’1 romore de’nimici: sicchè, rivolgendo il suo destriere, vide che la fuga era in verso lui: la qual cosa gli dimostrava che quegli erano di sua gente. Onde egli tostamente tutta gente da cavallo mandò al campo, e incontanente ebbe G.Mario378 con le coorti de’compagni di Roma; e mandollo là pregandolo e scongiurandolo per l’amistà sua e per la repubblica, ch’egli ned’oste vincitore non lasci rimanere niuna vergogna379, e che non lasci partire i nimici senza prenderne vendetta. Mario in breve fece quelle cose che gli erano comandate. Ma Giugurta, impedito per lo buono guarnimento del campo, conciossiachè alcuni de’suoi fossono gittati di sopra nel fossato, alcuni altri nelle stretture delle porte ed altri luoghi, affrettando, nocessono a sè medesimo; egli si diparti e raccolse in forti luoghi. E Metello, non avendo fatto il suo intendimento della città di Za na, poichè fu venuta la notte, con tutta sua gente ritornò al campo . CAPITOLO XLVI.
Come Metello pone guardia al campo, il quale Giugurta assali; e come si eomballea la città di Zama.
L’altro dì, innanzi ch’egli uscisse a dare la battaglia, pose tutta la gente da cavallo a guardia del campo da quella parte onde era lo venire del re, e le porte e gli altri prossimi luoghi diparti e distribuì a certi tribuni: poi andò alla città, e, siccome l’altro dì avea fatto, assalio e venne alle mura. In questo Giugurta di nascosto subitamente assaltò li nostri. Quegli, ch’erano allogati quivi presso, furono un poco spaventati e turbati; gli altri tosto sovvennono loro. Nè gli Numidi non avrcbbono potuto più tempo contrastare, se non fosse che i lor pedoni mischiati fra gli cavalieri faceano in loro assalto gran male. De’quali pedoni li giugurtini essendo guarniti, non combatteano come soleano fare in battaglie da cavallo, che prima assalissono e seguitassono, e poi si partissono; anzi correano al traverso de’cavalli, impacciando e turbando la schiera, e con gli espediti pedoni suoi poco meno che diedono vinti li loro nimici. Allora a Zama si combattea fortemente: e dove ciascuno de’legati era ordinato di aver cura, quivi valentissimamente si sforzava; e niuno di loro avea speranza nell* altro più che in sè medesimo. Simigliantémente quegli dentro combatteano contra di loro, e contrappara ano in tutti i luoghi380 e più disiderosamente voleano l’uno l’altro fedire che sè medesimo coprire: le grida erano grandi, mischiate di confortamelo, di letizia, di piantò; lo percuotere dell’armi andava a cielo; gli dardi dall’una e dall’altra parte volavano. Ma coloro che difendeano le mura, quando li nimici un poco rallentassono ovvero lasciassono la battaglia, ragguardavano attesamente la battaglia degli cavalieri del campo. Sicché, secondo che’! fatto di Giugurta andava, così gli avresti veduti or lieti, or paurosi: e, siccome eglino dagli suoi potessono esser uditi ov vero veduti da Idro, alcuni li ammonivano, altri gli confortavano, o facendo segni con mano, ovvero con lutto il corpo, quasi cessassono ovvero gittassono dardi, mutandosi qua e là381. La qual cosa poiché fu conosciuta da Mario, perocch’egli avea cura da quella parte, a studio cominciò a far la battaglia più leggiere; e ad infingere disperarsi del fatto; e a sostenere che gli Numidi senza briga vedessono382 e guardassono lo combattere del re. E così, essendo coloro attesi per lo studiare degli suoi383, egli subitamente e con gran forza fece assalto verso le mura: e già i suoi, essendo saliti su per le scale, aveano quasi presa la sommità, quando quegli dentro corsono, e pietre, e fuoco, e dardi gittavano sopra loro. Li nostri prima contrastavano; poi, una scala e un’altra essendo guasta, quegli ch’erano stati fermi furono afflitti e morti; gli altri, come poterono, pochi sani o non percossi, gran parte di fedite mal conci se n’andarono: poi la battaglia dall’una parte e dall’altra fece ristare la notte che venne384.
CAPITOLO XLYIf.
Come Metello si partì da Zama, è trattò d’ingannare Giugurta.
Metello, poiché vide che invano avea ciò cominciato, e che nè la città prendea, nè Giugurta la venia a difendere, se non ad aguati e assalti, e a suo modo e luogo facea battaglia, e che già era andata via la state; partissi da Zama, e pose masnada a difendere in quelle città ch’erano mancate al re385, le quali erano assai forti per luogo e per mura: l’oste sua tutta allogò per vernare nella provincia prossima a Numidia. Nè quel tempo, a modo degli altri consoli, concedè a ozio o a lussuria; ma, perocché la battaglio per arme poco procedea, innanzi briyò386 d’ordinare tradimenti al re per gli suoi amici medesimi, e la loro reità e malizia usare per arme387 Onde attento fece fare molte promesse a Bomilcare, il quale era suto a Roma con Giugurta, e indi, dati gli statichi, segretamente avea fuggilo lo giudicio della morte di Massiva, al quale, per la grande amistà, eli’avea con Giugurta, era grande copia di potere ingannare. E però Melello, avendo falle queste promesse, prima fece che gli venisse a pai lare occultamente; poi, datagli fede che, se gli desse Giugurta vivo o morto,che il senato noi punirebbe dell’omicidio che fece,e tulio il suo gli lascerebbe e concederebbe, leggermente recò il Numida a cioè, sì perchè388 loro ingegnamento non tien fede389, e sì perocch’egli tornea che, se si facesse pace co’Romani, ch’egli per tale condizione sarebbe condannalo a morte. Bomilcare, sì losio come fu tempo e luogo, es sendo Giugurta angoscioso e doglioso di sue disavventure, venne a lui: e ammoni Ilo, e, lagrimando, lo scongiurò che egli alcuno tempo a sè e agli
- figliuoli e alla gente di Numidia, la quale ottimamente meritava, debbia provvedere; e come in tutte battaglie erano suti vinti, i campi e lè terre guastate, molti presi e morti, la potenza e la ricchezza del reame menomata; e che assai e molte fiate era già stata provata la virtù di loro militi, e la ventura medesima; e ch’egli guardi che, s’egli pure indugia, che li Numidi non prendano altro compenso per loro390. Con queste e con altre simiglianti parole sospinse l’animo del re a volersi arrendere. Sicché furono mandati ambasciadori391: che Giugurta era apparecchiato di fare li suoi comandamenti, e senza patto niuno rendere sè e’1 suo regno nella sua fede.
CAPITOLO XLVII1.
Come Giugurta cominciò a volersi arrendere, e poi si penlè 392.
Metello tostamente fece chiamare de’luoghi vernarecci393 tutti quegli che erano dell’ordine de’senatori; e con loro e con tutti altri, che gli pareano acconci a ciò, ebbe suo consiglio. E così, a costumanza degli maggiori, per decreto del consiglio, comandò a Giugurta per ambasciadori394 che gli dovesse dare d’argento dugenlomila libbre, e tutti gli leofanti, e di cavalli e d’arme alquanto. Le quali cose poiché seuza dtrnora furono fatte; comandò che tutti i fuggitivi dovessono essere legati e menati a lui. E furono addutti gran parte siccome comandalo era: pochi di loro, quando queste cose prima cominciarono, erano iti ia al re Bocco in Mauritania. Giugurta, poiché d’arme e d’uomini e di pecunia fu dispogliato, essendo chiamato egli in persona ad uno luogo, che si chiamava Tisidio, per fare i comandamenti di Metello, cominciò anche a rimutare il suo animo, e a temere, per la sua rea coscienza, di male, che avea fatto, degna pena. Alla perfine, consumati molti dì in dubitazione395, ora, per rincrescimento delle cose avverse e contrarie, tutte cose volendo anzi che guerra, e talora pensando in sè medesimo che grave caso sarebbe venire in servitute del reame,avendo molli e grandi ajutorii per niente perduti, prese a fare in tutto la guerra da capo. É a Roma Metello fu ancora fatto consolo396, e, avuto consiglio, delle provincie diterminò il senato Numidia a lui397. CAPITOLO XLIX.
Come Mario fu inanimalo di domandare il consolalo.
In quel medesimo tempo in Utica intervenne che, G. Mario sacrificando certe ostie agli Dii398 li disse il sacerdote indivinatore399 dell’altare che grandi cose e maravigliose si dimostravano e significavano di lui; e come tutto ciò, che egli in animo ripensava, sarebbe ajutato dagli Dii: e dissegli che egli molto la400 sua ventura spessamente si mettesse a provare, chè tutte cose gli verrebbono prospere. Egli già d’innanzi avea avuto molto desiderio del consolato, al quale avere, eccetto l’antichità de’suoi, tutte le altre cose erano sufficienti e abbondevoli: senno e prodezza401 d’arme grande scienza, animo di battaglia grande, casa di non molto aere e di poca spesa, della concupiscenza e delle ricchezze vincitore, solamente di gloria desideroso. Ma era nato e in tutta sua fanciullezza nutricato ad Arpino: e, poiché sua età polca essere acconcia a sostenere fatiche di battaglia, si diede ad uso, e a far frutto e operazioni402, non all’adorno parlar greco, nè a mundizie ovvero acconcezze cittadinesche: e così intra le buone arti il suo buono ingegno brievemente crebbe, e fu perfetto. Onde,quando egli prima domandò al popolo il tribunato militare (a)403, molti non conoscendolo in faccia, leggermente conto e famoso, fu dichiarato tribuno per tutte tribù (b)404. Poi da quella dignità si partoria un’altra, e poi un altro onore: e sempre in ciascuno onore si portava in tal modo, ch’egli era riputato degno di maggiore che quello eh’avea. Veramente infino a quell’ora un uomo di tal condizione non ardia domandare il consolato; ma poi per ambizione si diede a traboccare405. E a quello tempo gli altri onori dava il popolo, lo consolato davano gli grandi fra loro: niuno uomo nuovo era diventato sì grande nè sì famoso, ch’egli non fosse reputato indegno di quello onore. Dunque, quando Mario vide che li detti del sacerdote andavano a quel medesimo ch’egli intendea406 e che’l desiderio del suo animo confortava, domandò da Metello di audare a Roma per addomandare ciò. Ma Metello, avvegnaché virtù e gloria, e altre cose da disiderare a ciascun buono, ih lui soperchiassono, pur avea un animo dispregiatore d’altrui, il quale è comune male degli nobili uomini. Onde egli, prima, commosso di così disusata cosa, cominciossi a maravigliare del cousigllo che Mario avea preso, e quasi come amico ad ammonirlo: eh’egli non cominciasse si perverso fatto, e non trasportasse l’animo suo sopra sua ventura: chè non è ogni cosa da desiderare a ciascuno407: e a lui quello, eh’avea, dovea piacere, e contentare assai; e alla fine ch’egli guardasse di nou domandare al popolo di lioma quello che glj sarebbe ragionevolmente negato.
CAPITOLO L.
Come Metello contrariava la volontà di Mario; e Mario parlava contra di Ini.
Poiché Metello disse queste parole a Mario e altre somiglianti, e però l’animo suo non piegava niente, rispose Metello che, si tosto com’egli potrà per alcun fatto di comune408, gli farà quello ch’egli domandava; ma poi, spessamente addomandando Mario quel medesimo, dicesi che Metello li rispose ch’egli non avesse fretta d’andare, e che assai sarebbe per tempo ch’egli addomandasse il consolato insieme col suo figliuolo, il quale in quel tempo militava là col suo padre, e avea quasi anni venti. La qual cosa molto accese Mario, perocché l’onore fortemente desiderava,e anche per contrario di Metello409: e così dal troppo desiderio e dall’ira, i quali sono pessimi consigliatori, era trasportato, e da niuno fatto nè dello s’astenea, purché fosse per lui a potere sulla signoria venire410 Li militi, de’quali egli era signore ne’ luoghi da vernare, tenea con più larga signoria che innanzi; e appresso li mercatanti, de*quali era in Ulica grande moltitudine, parlava egli incolpevolmente411 ài Metello, e magnificamente di sé; quanto alla guerra, dicendo che, se la metà dell’oste fosse conceduta a lui, egli in pochi di avrebbe Giugurta incatenato; e che lo’mperadore a studio indugiava, perocch’egll è uomo vano; e, di regale superbia, molto si gloriava di signoreggiare. Le quali tutte cose tanto pareano loro più ferme, perocché per lo prolungare della guerra aveano consumato il loro; e all’animo che molto desidera, uiuua cosa sufficiente s’avaccia412.
CAPITOLO LI.
Come Mario confortò Gauda e altre persone contra Metello.
Era ancora nell’oste nostra uno Numida, detto Gauda, figliuolo di Ma- nastabale, nipote di Massinissa, il quale Micipsa per suo testamento avea posto per secondo erede dopo li suoi figliuoli; ed era macero d’infermità413, e però era un poco fuor del senno. Il quale avendo414 sdomandatoda Metello che ponesse la sua sedia allato a lui, e anche poi che gli dovesse dare a guardia e a governamelo415 una turma de’cavalieri romani, Metello l’uno onore e l’altro gli avea negato: lo primo, perocch’era solamente di coloro, li quali’l popolo di Roma avesse appellati re;Io416 secondo, perocché sarebbe vergogna di loro, se cavalieri romani a capitano numida fossono conceduti e dati. A costui angosciato lu Mario417, e sì’l confortò, ch’egli delleergogne, che gli avea fatto lo’mperadore, dovesse domandare vendetta col suo favore e ajuto. E lui, siccome uomo che per li morbi poco nell animo avea di talore, con belle parole lo innalzò e lodò418, dicendo: com’egli era re, e molto grandissimo uomo, e nipote di Massinissa; e che, se Giugurta fosse preso o morto, egli senza dimoranza avrebbe lo’mperio di Numidia; e questo si potrebbe tostamente fare, se egli per consolo a battaglia fosse mandato contra lui. In questo modo e lui, e li militi romani, e altri mercatanti, molti per speranza di tostana419 pace recò a ciò: ch’eglino a Roma mandassono lettere a’ loro parenti e amici, della guerra parlando aspramente e male contra Metello, e domandassono Mario per imperadore. E così da molti uomini, e con onorevole favore, era addomandato il consolalo per lui. Insieme con questo a Roma il popolo, avendo vinti li grandi, teneano una legge detta Mamilia, dando alli uomini nuovi e di poco affare gli onori e le digniladi, s’eglino erauo da ciò, secondo il tenore della detta legge. E così il fatto di Mario da ogni parte procedea bene.
CAPITOLO LII.
Come Giugurta fece ribellare da’ Romani la città di Vacca.
Infra questo Giugiirta, poiché, lasciato l’arrendimento420, cominciò guerra, prese con grande cura e sollecitudine ad apparecchiare tutte cose, avacciare, e ragunare oste, e le città, che da lui erano partite421, bri- gare di trarre a sè, ora per paura, ora promettendo grandi guiderdoni; fornia e guarnì a tutti suoi luoghi; arme, dardi e altre cose, le quali per speranza di pace avea perduto, rifacea ovvero ricomperava; i servi de’Romani altraea, e quegli Romani medesimi, ch’erano nell’oste nelle guardie delle terre, tastava di moneta422: in tutto niuna cosa non cercata o in riposo stare sostenea, commovendo tutte. Onde tanto pregò e fece423, che quegli della città di Vacca, nella quale al cominciamento Metello, trattando con Giugurta la pace, avea messo gente, siccome di sopra fu detto, affaticati dal molto priego del re, e da lui medesimo, eziandio d’innanzi, quanto alla voglia, non essendo dipartiti, furono insieme li principi e li caporali della città424, e feciono una congiurazione. Lo popolo * siccome spesso suole addivenire, e massimamente degli Numidi, era d’iugegno e d’animo mutevole, e fattore di romore e di discordie, disideroso di novità, a pace e a riposo contrario. Dunque gli grandi, avendo ordinato fra loro le cose, posono il terzo dì a fare questi fatti 425, perocché quel dì era festereccio e guardato per tutta Affrica426, e mostrava allegrezza e diletto, anzi che paura. E, poiché fu il tempo, invitarono a casa loro de’Romani, chi l’uno chi l’altro, centurioni, e tribuni militari, e’1 prefetto medesimo della terra, che avea nome Tito Turpilio Silano: ed essendo sul desinare tutti quanti427, eccetto Turpilio, gli uccisono; poi assalirono li militi, li quali andavano qua e là disarmati in tal dì, e senza signoria. E quel medesimo fece il popolo della terra;. alcuni ammaestrati da’nobili, alcuni altri incitati per la volontà di colali cose: a’ quali, non sappiendo i fatti nè’l consiglio, lo romore e la novità piacevano assai. Li militi romani, per la sprovveduta paura incerti, non sappiendo che si fare, spaventarono428: e la rocca, dov’erano i gonfaloni429 e l’arme, vietava loro lo guarnimento de’cittadini che erano là; la fuga vietava loro le porte che serrate erano. E con questo i garzoni e le femmine, stando su per li letti delle case, giltavano moltitudine di sassi e altre cose che’l luogo dava. Sicché nè guardare si poteano dal dubbioso e pericoloso male, nè dalli fortissimi si potea contrastare inverso la debolissima generazione: onde egualmente li buoni e li rei, li valenti e li vili in grande moltitudine furono uccisi. In quella si grande asprezza, essendo sì crudelissimi li Nu* midi, e la città da ogni parte serrala, Turpilio prefetto, solo di tutti gl’Italici, scampò senza niuno mala: questo se divenne430 i per misericordia del suo oste, o per altri patti e promesse, ovvero per caso di ventura431 non avemo certezza trovata; se non che in tanto male li fu più pregiata la sozza vita che la intera fama: sicch’egli pare che a ragione sia detto malvagio e senza fede (a)432.
CAPITOLO LI1I.
Come Metello distrusse la Città di Vacca, e fece uccidere Twrpilio.
Metello, poiché intese delle cose ch’erano fatte a Vacca, alquanto contristato, si partì da pubblico in secreto luogo433; e poi, essendo insieme Tira col dolore permischiata, con grandissima cura avacciò a vendicare la ingiuria. £ la legione colla quale egli vernava, e quanti più poteo degli cavalieri numidi insieme, nel tramontare del sole,espediti, li menò via: e l’altro dì, quasi in sulla terza, venne in uno piano, il quale era intorniato di poggi434, e cotali luoghi alli. Quivi, essendo li militi stanchi per la grande via, e già schifando di fare altra cosa, fece loro conto come la città di Vacca non era di lungi più d’un migliajo di passi; e come si convenia che eglino la rimanente fatica sostenessono con buono animo, quando egl ino per gli loro cittadini, uomini fortissimi e miseramente trattati, vendetta prendeano: anche benignamente mostrò loro la grande preda eh’avrebbono. E così avendo confortati e rilevati li loro animi435, fece li cavalieri occultamente andare prima alli pedoni436 mollo stretti, e con le bandiere nascoste. Li Vaccesi quando s’avvidono che l’oste andava verso di loro, in prima si pensarono, com’era la verità, che fosse Metello, e chiusono le porle; poi, quando vidono che ne’ campi non si facea guasto, e coloro, eh’erano prima, erano cavalieri numidi, pensando che fosse Giugurta, con grande allegrezza gli vernano incontro. Li cavalieri e li pedoni lutti, subitamente, fallo certo segno, alcuni il popolo disparso molto tagliavano; alcuni avacciavano alle porle; alcuni prendeano le torri: l’ira e la speranza della preda potea sopra la stanchezza437. E così li Vaccesi, solamente due dì della loro reità rallegrati erano: de*quà1i la città, grande e riera, tutta fu deputata a pena ovvero a preda438 Di Turpilio prefetto della città, il quale, solo di tanti, era fuggito, siccome detto è, fu comandato da Metello che gli dovesse dir la cagione, e, non potendosi bene espurgare nè scusare439, fu condannato e flagellato, e fugli mozza la testa: chè egli non era cittadino di Roma, anzi era d’una terra del Lazio440.
CAPITOLO LIV.
" Come Bomilcare con Nab ialsa ordinarono di tradire Giugurla.
In quel tempo Bomilcare, per lo cui improntamento441 Giugurta-avea cominciato l’arrendere, il quale poi per paura lasciò, era sospetto al re: ed egli veramente agguardava tempo di tradirlo442; e, desiderando novità, cercava di potere trovare alcuno inganno per recarlo a morte, e dì e notte sottigliava e affaticava suo animo in ciò. Alla per fi ne, cercando di tutte cose e-modi, s’aggiunse uno compagno, eh’avea nome Nabdalsa, uomo nobile,.e di grande ricchezza e potenzia chiaro e famoso, e accettevole a*suoi popolari443, il quale spesse fiate per se solea guidare oste spartita dal re, e tutte cose adoperare444, le quali soperchiavano a Giugurta, essendo stancato ovvero occupato in maggiori fatti: per la qual cosa gloria e ricchezza avea assai. Onde per consiglio avuto di questi due fu ordinato il dì del tradimento; e l’altre cose piacquono che fossouo apparecchiate al suo tempo, secondo che’l fatto richiedea. Nabdalsa se n’andò all’oste, la quale egli per comandamento di Giugurta tenea intra le contrade ove li Romani vernai ano, acciocché ne’campi non si facesse guasto, senza verdetta de’nimici. E, poi egli445, ritemendo per la grandezza del fallo, non ritornò al tempo, chè la paura impedia il fatto; allora Bomilcare, perchè era desideroso di compiere le cose che cominciate avea, e angoscioso della paura del suo compagno, dubitando ch’egli, lasciando l’antico consiglio, non cercasse il nuovo, sì li mandò lettere per uomini molto fedeli: nelle quali riprendea la mollezza e la viltà (a)446, e chiamava in testimone li Dii, per li quali avesse giurato; e ammonialo di ciò: che egli li guiderdoni di Metello non convertisse in suo male; e che la morte di Giugurta era molto presso; ma, se egli dovesse perire per la virtù di Nabdalsa, o per quella di Metello, questo era in quistion^: ch’egli pensasse nell’animo suo se li guiderdoni, ovvero li tormenti, piuttosto volesse. Quando queste lettere furono portate, Nabdalsa, avendo affaticato il corpo ed essendo stanco, si posava sul letto: là dove, poich’egli ebbe intese le parole di Bomiirare, prima li venne una cura e pensieri; poi, siccome suole addivenire, lo pensoso animo da sonno fu occupato.
CAPITOLO LV.
Come il tradimento fu manifestato a Giugurta.
Era uno Numida grande procuratore de’ fatti di Nabdalsa, fedele e accetto a lui, e che di tutti i suoi consigli, se non di questo ultimo, sapea ed era partecipe. Egli, poiché udì ch’erano state portate lettere, pensando per l’usanza che ci fosse mestieri l’opera e lo’ngegrio suo, entrò dentro al padiglione; e, dormendo Nabdalsa, prese la lettera, la quale egli s’avea dispronedutamente posta al capezzale447 sopra’1 capo, e lessela tutta: e, avendo conosciuto il tradimento, sì tosto se n’andò al re adirgli il fallo. Nabdalsa poco stante fu risvegliato, e, non avendo trovata la lettera, seppe dagli fuggitivi tutto com’era suto; e prima si brigò di proseguitare448 e avere Io dello manifestatore: ma, poiché questo non poteo fare, andò a Giugurta per scusarsi e riconciliarlo verso di sè, e dissegli: che quello manifestamento, lo quale egli intendea di fare, era stato antivenuto dalla malizia del famigliare suo; e, lagritnando, lo pregò per la sua amistà, e per li suoi d’innanzi buoni e fedeli fatti, che egli di tanta reilà non l’avesse sospetto. A queste cose il re, altramente che non avea nell’animo, dolcemente rispose. Bomilcare fece uccidere, e molti altri li quali avea conosciuti per compagni della tradigione449: e la sua ira avea costretta e celata,’ acciocché per quel fatto non nascesse discordia alcuna ovvero battaglia. Nè poi Giugurta ebbe dì niuno o notte in riposo; nè in persona alcuna ovvero tempo si credea450 nè fidava sufficientemente: li cittadini suoi e li nimici egualmente temea; ripensava e ragguardava attorno lutte cose; e d’ogni romore spaventava; e spesse fiate prendea la notle altro luogo, e quhi contra lo regal modo si posava; talora risve- gliandosi e levandosi prendea l’arme, e facea romore: e così da paura, come da una pazzia, era malmenato.
CAPITOLO LVI.
Come Metello diede licenzia a Mario di venire a Roma;
e dell’amore de’ Romani verso lui.
Metello, poich’ebbe saputo da’ fuggiti della morte di Bomilcare e del fatto manifestalo, siccome daccapo, s’apparecchia, e interamente avaccia a guerreggiare: e a Mario, il quale li dava molta briga di volere andare, diede licenzia di partire, pensando ch’egli poco valesse per lui, siccome uomo che contra sua volontà dimorava, e che era irato verso di lui. E a Roma il popolo, sapute le lettere ch’erano mandate di Metello e di Mario, con volenteroso animo avea inteso e dell’uno e dell’altre. E allo ’mperadore li nobili, i quali prima erano per lo suo onore451, cominciarono ad avere odio452; ma a Mario quegli del minuto popolo davano e aggiungeano favore. Bene è vero che verso l’uno e verso l’altro era lo studio e la volontà delle parti molto accesa, più che il bene e ’l male di Mario nè di Metello453: chè questo era assai temperato a rispetto dell’animo di parte. Anche certi contenziosi officiali commoveano il popolo, e cominciarono in ogni parlamento a favellare contra Metello, siccome degno di perdere lo capo; e la virtù di Mario sempre lodare più e aggrandire. All’ultimo il popolo minuto era sì acceso all’amore di Mario454 che gli artefici e li villani tutti, la cui fede e fatto era nelle loro braccia, lasciavano loro opere, e spesseggiavano di venire a Mario455 e tutte loro bisogne poneano dopo ’l suo onore. E così, percossa e perturbata tutta la parte delli grandi, fu dato il consolato a Mario, nuovo uomo. E poi il popolo domandato dal tribuno L. Manilio Mancino, di cui volesse che facesse la guerra contra Giugurta456; la maggior parte disse e ordinarono, di Mario. Ma il senato, siccome detlo è di sopra, poco innanzi avea diterminato Numidia a Metello: la qual cosa indarno e per niente fu avuta.
CAPITOLO LVH.
Come Givgvria, andando per diversi luoghi, fu sconfitto da Metello.
In quel tempo Giugurta, avendo perduti gli amici, de* quali molti egli avea uccisi, e altri per paura fuggiti457 alcuni a’Romani, alcuni al re fiocco; pensando egli che riè guerreggiar si potea senza li aiutatori, e pericoloso gli parea provare la fede dev novelli, avendo degli antichi provata tanta malizia, non sapea che consigliare ne fare. Niuna cosa, nè niuno consiglio, nè uomo alcuno li piacea bene: li suoi viaggi e li officiali mutava di dì in dì. Ora andava contra gli nimici, ora negli diserti; spesso avea speran/a in fuga, e poi appresso in arme; dubitava s’egli avesse meno a credere e a fidarsi della virtù di sua gente, che della lor fede: sicché a ciò, ch’egli intendea, gli erano le cose a contrario. Ma infra queste cotali dimoranze subitamente si li dimostrò Metello con la sua oste458. Li Numidi furono da Giugurta secondo il tempo apparecchiati e schierati: e poi fu cominciata la battaglia. In quella parte dov’era il re fu alquanto ritenuta la battaglia459; ma tutta l’altra gente nel primo assalto fu rotta e sracciala.E presono allora li Romani di gonfaloni e d’arme numero alquanto, d’uomini poco460: chè buonamente461 in ogni battaglia li Nu: midi per li lor piedi più che per loro arme sono stali difesi.
CAPITOLO LVI1I.
Come Giugurta andò alla città di Tala; alla quale prendere andò Metello medesimo: e d’una mirabile piova462.
Per quella fuga Giugurta più fortemente diffidandosi de’fatti suoi, con fuggiti e con parte di sua cavalleria andò ne’deserti, e poi pervenne alla città di Tala, grande e ricca, là dove erano molti de’ tesauri del re, e molti degli ornamenti e delle gioje giovanili de* suoi figliuoli. Le qrfali cose poiché furono sapute da Metello, avvegnaché fra Tala e ’I prossimo fiume in spazio di cinquanta miglia sapesse che erano luoghi diserti e aridi; nientedimeno,,per speranza di finire la guerra, se quella città avesse, brigò di sopra andare a tutte l’asprezze463 e di vincere là natura medesima. Onde fece alleviare tutte le some dell’oste, se non di formento, per dieci dì; solamente fece portare otri e altre cose acconce d’acqua. Anche fece cercare delie ville d’intorno quanto più potè bestie domate; e fece lor porre vasa da qualunque modo464 ma le più erano di legno, prese e raglinole delle capanne del li Numidi. Anche comandò agli uomini delle contrade465 molto d’acqua, la quale ciascuno dovesse portare: e disse’I dì e’I luogo là dove egli doveano essere. E egli del fiume, del quale dicemmo ch’era la prossima acqua alla città, caricò il suo bestiame: e io questo modo schierato e apparecchiato se n’andò a Tala. Poich’egli fu venuto a quello luogo, del quale avea a’Numidi comandato, e fu posta l’oste e diligentemente guarnila; tanta subita moltitudine di acqua fu da cielo mandata, che a tutto l’oste fosse assai, e anche soperchiasse: e ancora la vittuvaglia466 ebbono più abbomlevolmente ch’egli non si pensavano; perocché i Numidi, siccome molli fanno, nel nuovo arrendere si studiavano di servire e di piacere. Ma li militi usaro467, quasi più religione e reverenza di Dio, la piova468; e quel fatto aggiunse molto d’ardire nelli loro animi; chè pensavano bene che li Dii immortali’avessono cura di loro.
CAPITOLO LIX.
Come Giugurta si partì da Tala, la quale Metello prese.
L’altro dì,contra la opinione e la credenza di Giugurta, pervennonoa Tala. Quegli della città, i quali credeano essere stati guarniti per la malagevolezza de’luoghi, dell-i grande e disusata cosa perturbati, però niente di meno s’apparecchiarono a battaglia: e quel medesimo feciono i nostri. Ma il re, credendo che Metello non avesse lasciato niuna cosa che fosse da fare, il quale arme, dardi, luoghi e tempi, e alla fine eziandio la natura, la quale siguoreggia tutte altre cose; avea vinto; egli con li fi- gliiioli e con gran parte di pecunia fuggi la notte della città. Nè poi in niuno luogo più che uno dì ovvero una notte dimorò: infingeasi d’andare e d’avacciare per altri fatti; ma egli temea y-adigione, la quale pensava per l’affretta mento potere ischifare, perocché cotali consigli nel riposo per agio si sogliono potere ordinare. Metello, poiché vide che quegli della città erano attesi alla battaglia, e che la città e per opera e per luogo era guarnita e forte, e’ fece fare profondi fossati e fortezze intorno alle mura. Poi sì comandò negli luoghi, li quali fra gli altri erano massimamente acconci a ciò fare, gatti, e di sopra terrati. e di sopra alla terra fece fare ie torri, l’opera Tacendo diligentemente difendere e fortificare di sergenti. Contra queste cose quegli dentro avacciavano e s’apparecchiavano, e dall’una parte e dall’altra non si lasciava niente che fosse da fare. Alla per fine li Romaui, con molta fatica e battaglie dinanzi affaticati, dopo XL dì che v’erano venuti, ebbono la città: la preda tutta dalli fuggiti fu guasta. Li quali, poiché vidono che si bolcionava il muro469, e’1 fatto loro andava ad afflizione e a dolore470, l’oro e l’argento e altre cose, che principali son dette, portarono alla casa del re: e quivi, di vino e di vivande ripieni, quelle cose, e la casa, e lor medesimi, al fuòco guastarono471: e quelle pene, le quali eglino vinti aveano temute dagli nimici» per loro volontà medesima sosteununo.
CAPITOLO LX.
Come ambasciadori vennono da Lepti; e delle due Sirli.
Insieme con la città di Tala presa vennono ambasciadori da Lepti a Metello, a pregare che vi dovesse mandar gente e ’1 prefetto: chè uno, che avea nome Amilcare, uomo nobile, fabbricatore e operoso di brighe, studiava a novità, incontrai quale nè la signoria degli officiali nè le leggi valeano; e, se egli non avacciasse ciò, ch’era in sommo pericolo la lor salute ed i loro amici. Li Leptitani dal principio della guerra giugurtina aveano mandato a Bestia consolo, e poi a Roma, domandando loro amistà e loro compagnia: le quali cose da poi che l’ebbono impetrate, sempre stettono buoni e fedeli; e tutte cose, clu da Bestia e da Albino e da Metello erano loro state comandate, assai gravi, eglino le aveano compiutamente fatte. Sicché quello, che egli ora gddomandavano dallo imperadore, leggermente impetrarono: e furono mandate là quattro coorti di Liguri (a)472, e G. Annio prefetto. La delta città di Lepti fu fatta dagli Si donii (a)473: di coloro (b)474 a verno inteso e trovato che per le discordie della città ne fuggirono, e per navi vennono in quegli luoghi, e feciono Lepti, eh’è posta tra le due Sirti. Le quali hanno il nome dal fatto, perocché sono due golfi di mare, quasi nella fine d’Affrica, diseguali di grandezza, ma d’iguaie natura: de’ quali i luoghi presso a terra sono molto alti e profondi; gli altri, come per avventura, tali profondi, e tali in alcun tempo vadosi (c)475. Chè, quando il mare è grosso, e comincia a tempestare di venti, allora l’onde traggono seco limaccio476, rena e grandi sassi: e così la faccia del luogo si muta insieme co* venti; e Sirti sono nominate dal tratto che dello c. Della delta città solamente la lingua è mutata per l’usanza de’Numidi; ma leggi, usanze e vestimenta grande parte hanno sidoniche, e fra loro e la popolata Numidia molti e diserti luoghi erano.
CAPITOLO LXI.
Degli due frati477 Fileni, alli quali furono edificali altari.
Ma, imperocché noi in queste contrade siamo venuti per li fatti delli Leptitani, non mi pare che sia sconvenevole che io il magnifico e mirabile fatto degli due Cartaginesi debbia ricordare: di ciò il luogo mi rimembra e ammonisce. In quel tempo, che li Cartaginesi signoreggiavano grande parte d’Affrica, li Cirenensi medesimi erano grandi e ricchi assai. In mezzo fra li uni e gli altri erano campi e terre arenose d’uno modo; nè v’era fiume nè monte, per lo quale si potesse discernere loro confini: per le quali cose ebbono fra loro grande e lunga guerra. Poiché dall’una parte e dall’altra legioni, e anche le navi, furono spesso sconfitte e scacciale, e l’uria parte l’altra avea alquanto atterrata; temendo che non e li vinti e li vincitori stancati subitamente altri assalissono, feciono indugio e triegua. e vennono a questi palli: che certo dì si dovessono partire uomini mandati dalle loro ciltadi a ciò; e iu qualunque luogo s’incontrassono quello fosse il comune termine478. Onde da Cartagine furono mandati due fratelli, i quali erano nominati Fileni, e avacciarono molto lor via: li Cirenensi andarono più tardi. Questo se intervenne per pigrizia o per isvenlura non so bene: ma suole egli in quelle contrade la tempesta di terra ritenere479 non meno che quella di mare. Chè, quando per quelli luoghi di pianura, nudi e vuoti di piante, si leva ven
- to, commove 1*arena di terra, la quale, per grande quantità commossa, suole empiere la faccia e gli occhi de’ viandanti: e così, impedito il guardare, ritiene la via. Poiché li Cirenensi vidono ch’egli erano alquanto sezzai480 e per questo fatto temendo che non fossono puniti nella lor terra siccome di cosa maliziosamente fatta, accagionarono li Cartaginesi che eglino innanzi tempo s’erano partiti; e cominciarono a sturbare il fatto; alla fine ogni altro volere sostenere innanzi, che dipartirsi per vinti. .Ma, conciossiacosaché li Fileni domandassono altra condizione, e patto eguale e giusto per l’uno e per l’altro, i Greci (a)481 feciono alli Cartaginesi cotal partito482: che o eglino là dove domandassono li confini del lor popolo, quivi vivi fossono sotterrati e morti; ovvero sotto quella medesima condizione egli dovessono procedere quanto piacesse loro. Li Fileni, approvando il patto, donarono sè medesimi e lor vita al loro comune: e così furono morti. Li Cartaginesi in quel luogo alli Fileni frati feciono e consegrarono altari: e altri onori in loro cittade ordinarono che dovessono essere fatti loro. Ora ritorno al fatto della principale istoria.
CAPITOLO LXII.
Come Giugurta «’ aggiunse li Getuli e lo re Bocco a sua compagnia.
Giugurta, poiché, avendo perduta Tala, non pensava che cosa fosse per lui niuna assai ferma e potente incontra Metello, andando per grandi foreste con poca gente, pervenne alli Getuli, li quali sono generazione d’uomini quasi bestiali e sconci; e in quel tempo non sapeano nè conosceano niente di nominanza romana483. Loro moltitudine ragunò insieme; e appoco appoco li adusò ad avere e tenere ordine di battaglia, a seguire bandiere, a servare signoria484 e altre cavalleresche cose fare. E anche gli famigliari e gli amici del re Bocco con grandi doni e con maggior’promesse addusse ad amore e studio verso di sè: per li quali ajutatori comprendendo il re485, lo recò e sospinse a ciò, ch’egli contra li Romani cominciasse la guerra. Questo affare pertanto fu più leggiere e più inchinevole cosa: chè Bocco, al cominciare di queste brighe, avea mandato am- bascìadori a Roma, per domandare patti e lega d’amistà con loro: la qual cosa, molto utile e necessaria al cominciamento della guerra, alquanti Taveano impedita, accecati per avarizia^ siccome uomini che tutte cose oneste e disoneste erano usati di vendere. Anche già innanzi a Giugurta era maritata una figliuola di Bocco486 Veramente questo cotal parentado appresso li Numidi e Mauri è avuto per assai leggieri487 chè, ciascuno secondo suo potere, hanno più mogli, alcuno dieci, alcuno più, e li re ancora in maggior numero: e così l’animo, per la moltitudine distratto e dipartito, niuna ne tiene per compagna; igualmente sono tutte vili. Ordinato ciò, ragunarono loro osti in certo luogo secondo lor piacimento: e quivi, data e ricetula insieme la fede, Giugurta per sue parole accese molto l’animo di Bocco, dicendo che i Romani erano ingiusti, e di profonda avarizia, e comunali nimici d’ogni uomo; e che quella medesima cagione hanno di guerra con Bocco che con seco e con l’altre genti, cioè di volere signoreggiare ciascuno, eglino a’quali tutti altri reami e signorie sono contrarie. Ora poco innanzi, dicea, che erano suti lor inimici li Cartaginesi, anche il re Perse; poi, siccome ciascuno parea ricchissimo e potente, così era inimico a’Romaui. Queste parole e altre simili avendo dette, ordinarono d’andare alla città di Cirta, perocché quivi Metello avea allogata la preda, e li prigioni, e altri impacciamenti di battaglia488: pensando Giugurta così, che o, presa la città, li sarebbe utile, ovvero, se’l duce romano venisse in ajuto de’ suoi, dovessono combattere per battaglia. E egli, come scaltrito e malizioso, avacciava in menomare e impedire pace a Bocco, acciocché non egli per dimorauza volesse altro anziché battaglia oguerra. Lo imperadore, poich’ebbe saputo della compagnia del re, non fece come prima solea, quando avea già spesso vinto Giugurta, cioè, ch’egli largamente in ogni luogo desse copia del combattere; ma, avendo allogata e afforzata sua oste non molto di lungi da Cirta, aspettava li re, pensando che fosse il meglio che, perocch’era venuto questo nuovo inimico, egli prima conoscesse li Mauri, e poi secondo suo agio facesse battaglia.
CAPITOLO LXIU.
Come Metello, addoloralo della signoria dola a Mario, mandò a Bocco per trattare pace.
Intanto egli fu certificato per lettere da Roma che la provincia di Nu- ibidia era data a Mario; ma ch’egli fosse fatte consolo l’avea saputo già d’innanzi. Delle quali cose olirà il buono e’1 diritto molto perturbato, nè poteo tener le lagrime, nè sua lingua temperare: egli era uomo di grande valore in altre bontadi, ma troppo mollemente potea sostenere il dolore e la gramezza sua. La cagione del detto dolore alcuni recavano a superbia; alcuni diceano che per la bontà e ingegno suo era egli acceso di tale onta; molli altri, perchè la vittoria, la quale egli avea già conquistata, gli era tolta di mano: a noi (a)489 è assai conto che egli più dell’onore di Mario che della sua ingiuria er? addolorato e tormentato; e che noi porterebbe sì angosciosamente, se la tolta provincia fosse data altrui che a Mario. Ond’egli, per quel dolore impedito, e perocché stoltizia parea l’altrui fatto col suo pericolo curare, mandò ambasciadori a Bocco a domandare ch’egli senza cagione non diventi inimico del popolo di Roma; e ch’egli avea ora grande copia di compagnia e d’amistà giungere con loro, la quale è meglio che la guerra; e che, avvegnach’egli si fidasse della sua potenzia, non però dovrebbe mutare le cose certe per le non certe; e che ogni guerra si prende leggiermente, ma gravemente manca490: chè non è nella potestà d’uno medesimo il cominciamento e la fine: cominciare chi vuole, eziandio il cattivo, puote; il lasciare è quando i vincitori vogliono. Per la qual cosa egli dovesse a sè e al suo reame provvedere: che egli le sue condizioni fiorenti e prospere non mischiasse con quelle di Giugurta già perdute491. A queste cose il re Bocco rispose assai dolcemente: com’egli disiderava pace, ma avea pietà delle sventure di Giugurta, al quale se fosse fatta quella medesima copia, egli converrebbe tutto ad ogni buon patto492. Ancora lo ’mperadore, contra il domandamento di Bocco, mandò messaggi. Quegli n’accettò in parte, e altre cose gli negò. E in questo modo, spesse fiate dall’uno all’altro mandati e rimandali messaggi, il tempo procedea, e per volontà di Metello la battaglia si prolungava senza niuna novità fare.
CAPITOLO LXIV.
Come Mario parlava contra li grandi, e apparecchiava gente.
Ma Mario, secondo che noi dicemmo di sopra, con grandissimo desiderio del popolo fatto consolo, poiché gli feciono dare la provincia di Numidia, essendo egli già dinauzi contra gli nobili, allora grande e feroce contrastava loro; e ora ciascheduno singolarmente, e ora tutti tedia e turbava493 andava spesso dicendo com’egli di loro vinti avea il consolato tolto in luogo di preda e di spogliamento; anche altre parole magnifiche per sè, e per loro molto addolorevoli494. E in questo le cose, ch’erano uopo alla battaglia, avea egli per le più principali; e addomandava che alle legioni fosse ristituito495 lor compimento, e facea venire ajuto da’popoli e dalli re, e da altri compagni di Roma: anche di Lazio ciascuno fortissimo, molti di loro conosciuti da lui per fatti di guerra, e alquanti pochi per fama, chiamava, e ricercando e ragunando uomini, li <Juali già aveano meritato lor soldo496, e per ragione non doveano più andare in oste. Nè’l senato, avvegnaché li fosse contrario, li ardiva di contradire o di negare niuna cosa: ma il compimento volentieri li avea diterminato; perocché, il popolo non volendo la milizia, credeasi che Mario o perderebbe lo potere usar battaglia, non avendo la gente, ovvero, se la prendesse a forza, perderebbe l’amistà del popolo. Ma per niente ebbono eglino questa speranza: tanta voglia d’andare con Mario era a molti venuta. Gredea ciascuno della preda dovere essere ricco, e tornare a casa vincitore; altre cotali cose traggeano i loro animi497: e loro non poco Mario per sua diceria avea commossi e invigoriti.Chè, poiché furono ordinate d’avere tutte cose che domandate avea, ed egli volea scrivere li suoi mi liti, fece ragunare il parlamento del popolo per cagione di confortargli, e de’nobili dir male e conturbare Becondo ch’era usato; e parlò in questo modo:
CAPITOLO LXV.
Diceria di Mario per sè, e conlra li grandi.
Io so, Quiriti, che molti non con quelle medesime arti domandano da voi lo’mperio, e, poiché l’hanno avuto, si portano: chè prima stfho approvveduti, umili e mansueti, e poi con viltà e superbia menano lavila. Ma a me pare che’l contrario si dovrebbe fare: chè quanto è maggior cosa tutta fatta la repubblica, che non è il consolato solo ovvero la pretura, tanto con maggior cura si dè’ella governare, che si debbia la dignità domandare. Nè non sono io ingannato ch’io non conosca quanto col grandissimo beneficio io abbia di fatica: d’apparecchiare a battaglia, e per- donare alla camera498; costringere a milizia cui non vuoli offendere499; in città e fuori tutte cose curare e provvedere; e questo fare infra li contrastanti, maliziosi e traditori. Questo, Quiriti, è cosa dura più che si potesse ben pensare nè credere. Anche gli altri, se offendono, l’antica lor gentilezza• le forti e valenti opere di lor maggiori, li parenti e li amici di grande potenzia, la moltitudine di lor sergenti, tulle queste cose sono loro in difensione e ajuto. Ma a me tutte speranze sono poste in me medesimo, le quali ini bisogna ch’io per forza e per innocenza guarnisca e difenda: chè l’altre mie cose sono di piccolo affare. E conosco io ben questo, o Quiriti, che! favellare d’ogni uomo è rivolto verso di me500: li diritti e li buoni danno favore501, perchè le mie buone opere verso la repubblica procedono innanzi; li nobili vanno cheggendo luogo di potermi assalire e contrariare: per la qual cosa a me è da sforzare e da studiare molto più sollecitamente, acciocché voi non siate ingannati di me502, e eglino manchino di lor desiderio. Così sono io suto dalla mia fauciullezza fin a questa età, che a tutte fatichee pericoli io sia bene adusalo. Equelle cose, chfio facea per propria volontà innanzi li vostri beneficicel19 io, avendo ricevuto si grande guiderdone, le debbia lasciare, non è il mio intendimento, Quiriti. A coloro è malagevole nelle signorie a temperarsi e a ben portarsi, i quali per ambizione e voglia di soprastare s’infinsono d’essere, si sforzarono di parere valorosi e buoni: a me, il quale tutta mia età ho menala in ottime arti, il ben fare giàper usanza ritorna in natura.Voi m’avete comandato che io meni la guerra verso Giugurta: la qual cosa li gentili503 l’hanno molestissimamente portata. Io vi priego che voi pensiate negli animi vostri, se ciò mutare sia il migliore; e che oi alcuno di quello gomitolo504 delli nobili a questo ovvero ad altro simigliente fatto mandiate, uomo d’antico legnaggio, e di molte immagini do’suoi505, e di nulla operazione valorosa: sicché in sì grande fatto egli, non saputo, in tulle cose rilema, avtcci, prenda alcuno del popolo ammonitore e guarnitore del suo officio. E così spessamente addiviene che, a cui voi date Io imperio e’i siguoreggiare, egli a sè un altro imperadore domandi e cerchi. E so io, o Quiriti, alcuni, li quali, poiché sono fatti consoli, li falli dei maggiori, e dei Greci li cavallereschi ammaestramenti, cominciano a leggere. Stravolti ^uomini! Perocché avere l’onore dé’essere poiché l’uomo se n’ha fatto degno,e avere l’opera e l’uso dé’essere in prima. Ora agguagliate voi506, o Quiriti, con la superbia loro me nuovo uomo. Di quelle cose, le quali eglino udire e leggere sogliono, 10tpartita ne ho veduto507, altre io medesimo ho falle: quelle cose, le quali eglino leggendo, io ho apparate combattendo. Ora giudicate voi se 11tfatti o li detti sono maggior cosa. Dispregiano eglino la novità mia508: io dispregio la lor viltà: a me la ventura, a loro li vizii contradicono. Avvegnaché io giudico una natura comune di tutti, ma che ciascuno valentuomo quegli sia il più gentile. E, se ora alcuni delti padri d’Albino o di Bestia si potesse addomandare, se eglino me o loro volessono piuttosto avere di sè generato: che altro credete che rispondessono, se non che avrebbono voluti figliuoli ottimi? E. se eglino ragionevolmente dispregiano me, dispregino in quel medesimo modo i loro maggiori, a’quali, siccome a me, della virtù, loro grandezza prese cominciamento. Hanno invidia del mio onore: dunque abbiano così invidia alla mia fatica e innocenzia, e eziandio a’pericoli miei; perocché per quelli son venuto a questo. Ma eglino, uomini corrotti di superbia e d’orgoglio ♦ così menano lor vita, quasi dispregino li vostri onori; e coA domandano li onori, come eglino degnamente sieno vissuti. Or non sono eglino ben rei e falsi, i quali due diversissime cose egualmente aspettano, cioè di viltà mal diletto509,e guiderdone di virtude?E, quando dinanzi da voi e nel senato parlano, con mòlle parole lodano iloro maggiori, e. ricordando loro valenti falli, si credono essere più onorevoli. Ma tutto il contrario è. Perocché quanto la vita di loro maggiori è di maggiore onore e fama, tanto la miseria loro è più da rincolpare510. E per certo così è, che la gloria de’maggiori a quelli, che vengono dopo loro, si è come lume, e nè i beni e nè i mali loro lascia essere nascosti. Di questa cosa, o Quiriti, difetto sostegno; ma, quello che è molto più chiaro e onorevole, li fatti di me medesimo vi posso dire. Ora vedete quant’egli son malvagi: che quello,
che è per l’altrui virtù, attribuiscono a sè; a me por la mia medesima noi concedono: certo perdi’ io non ho Immagini, e perchè è nuova la nobiltà mia; la quale certo migliore è aversela partorita da sè, che la ricevuta da altrui a»cre corrotta. E certo io so che, s’eglino già mi vorranno rispondere, egli hanno abbondanza di bel parlare, e di composte ed ornale dicerie. Ma nel grandissimo vostro beneficio, da ch’egliiio in ogni luogo e me e voi di mal dire mordono e conturbano, non m’è piaciuto di tacere, acciocché non alcuno lo temperamento e’I tacere recasse a mia mala coscienza. Chè me certo per sentimento di mio animo niuna diceria puote contristare: perocché la vera è bisogno che ne predichi pur bene; la falsa, la vita e li costumi miei vincono e passano. Aia,perocché incolpano li vostri consigli, li quali a me sovrano onore e grandissimo Tatto avete imposto; pensate e ripensate bene se di ciò sia da pentere511. Non posso io, per cagione di far fede, dimostrare immagini, uè trionfi, o consolali di miei maggiori: ma, se ’I fatto richieggia, a ciò io vi posso mostrare aste, e gonfaloni, e coverte512, e altri cavalleresciii adornamenti; anche li segni delle fedite dinanzi dal mio corpo. Queste sono le mie immagini, questa è la mia grandezza, non lasciata a me per eredità, siccome quella a coloro. ma la quale io co’ miei molti perìcoli e fatiche ho acquistata. Non sono composte le parole; poco faccio ciò; la virtù «è medesima dimostra assai: a coloro bisogna arte di parlare, acciocché li loro laidi fatti per dicerie vadano ricoprendo. Nè ho io apparato lettere greche: poco mi piacea d’appararle; perocché, quanto u virtù, a’loro dottori non aveano fatto niente di prò. Ma in quelle cose, che sono moltp ottime alla repubblica, sono io bene ammaestralo: il nemico fedire, fortezze combattere, niuna cosa temere se non la sozza fama: verno e tempesta egualmente patire; in sulla terra posare; in un medesimo tempo povertà e fatica sostenere. Con questi cotali comandamenti conforterò jo li militi: e non terrò loro a stretta513 e me in abbondanza; nè farò mia gloria in lor fatica. Questo cotale è l’utile, questo cotale è il cittadinesco e ragionevole imperio. Perchè, quando tu te medesimo per dilicala mollezza vogli trattare, e tua gente per afflizione e pena costringere, questo è essere crudele signore, non buono imperadore. Queste cose, eh’io dico di fare, e altre cotali facendo, li nostri maggiori e sè e la repubblica feciono onorevole. Della cui memoria li gentili d’ora guarniti, e eglino da loro molto dissimiglianti di costumi, noi seguitatori della loro vita dispregiano; e tulli onori, non per merito, ma quasi per debito, domandano da voi. Ma eglino,siccome uomini superbissimi,sono molto errati514: perocché li lor maggiori lasciarono loro tutto quello che lasciare poterono, cioè divizie, immagini, e la loro gloriosa memoria; la virtù non lasciarono, chè non poteano: ella sola nè si dà per dono, nè si riceve. Dicono eh*io sono vile, e non d’acconci costumi: perocché con poca cura adorno mio convito, nè non ho niuno giullare515 nè cuoco ho di maggiore vantaggio che’l mio villano. Le quali cose mi piace di confessare, o Quiriti. Perocché dal mio padre e da altri santi uomini io appresi così516 che le dilicate mundicie517 si convengono a femmine, l’affaticare alli uomini; e che a tutti li buoni uomini conviene più di gloria che di ricchezza avere; e che l’arme, non la molta masserizia518, sono ad onore. Ma che dico? Quello che loro diletta, e quello che hanno per sì caro, ciò facciano: eglino tuttora amino, beano519; e là, dove lor gioventude hanno avuto, quivi medesimo menino lor vecchiezza, ne’ conviti, dati ad obbedire alla sozzissima parte del lor corpo. Il sudore, la polvere e altre cotali cose lascino eglino a noi, a’quali queste cose più che li grandi mangiari sono dilettevoli. Veramente ciò non fanno eglino*: chè, poich’eglino di molti mali avranno sè medesimi vituperati, vilissimi uomini, gli guiderdoni de’buoni vanno a tórre. E così ingiuslissiinamente la lussuria e la pigrizia, pessime arti, a coloro, che le servano, non nuocono niente; e alla repubblica, che non ha colpa, sono a grande pestilenzia. Ora, imperocch’io a loro, quanto li miei costumi, non quanto le lor ma|vagitadi, richiedeano, ho risposto; Sì parlerò io alquante parole della repubblica520. Prima di tuito, di Numidia voglio che abbiate buono animo, Quiriti. Perocché quelle cose, le quali fino a questo tempo hanno difeso Giugurta, voi le avete tutte rimosse, cioè avarizia, poco senno, e superbia. Anche l’oste v’è là, la quale sa bene quegli luoghi: ma, se m’ajuli Iddio, più è forte e bontadosa521, che bene avventurosa: perchè grande parte di loro, per avarizia o per stollia di lor duchi, è atterrata e venuta meno. Per la qual cosa voi, ch’avete età militare, sforzatevi meco insieme., e prendete a difendere e onorare la repubblica; e niuno sia, il quale,per la mala ventura degli altri, o per la superbia degl’imperadori, il prenda paura, lo medesimo nell’andare a schiera e nella battaglia, consigliatore e compagno di pericolo, sarò presente con voi; me e voi egualmente in tulle cose tratterò. E certamente con l’ajuto degli Dii tutte cose sono preste, vittoria, preda e laude: le quali se in dubbio Tossono, ovvero da lunga, pertanto si conviene che tutt’i buoni uomini la repubblica sovvengano e ajutino. Perocché per pigrizia niun uomo è fatto o diventato immortale di gloria: niuno buono padre alli suoi figliuoli desiderò che vivessono sempre; maggiormente che eglino buona e onesta menassono lor vita. Più parole direi, signori Quiriti, seatimoroso le parole giungessono virtude522: chè agli savii e bonladosi credo avere detto assai.
CAPITOLO LXVI.
Come Mario venne con gente in Affrica, e conira li nimici.
Avendo Mario fatta questa diceria, poiché vide sospesi e acconci a lui gli animi del popolo523, tostamente d’apparecchiato fornimento, soldo, arme e altre utili cose caricò navi; e con queste cose fece andare Aulo Manlio legato. E egli in questo mezzo scrivea li militi524, non a guisa de’ maggiori, cioè che pigliasse di quegli ch’erano ordinati a milizia, e ancora di quegli del naviglio, ma siccom’era la grande voglia di ciascuno; e molti di loro prese eziandio uomini si vili, che rendeano censo al comune per testa525. Quello, diceano alcuni, essere fatto per difetto de’buoni; altri, per ambizione del consolo: perocch’egli sentia che da cotale generazione d’uomini era onorato e fatto gronde, e perchè all’uomo, che domanda potenzia, ciascuno poverissimo è molto utile e necessario: al quale uè le sue cose sono care, le quali son nulla, e ogni cosa con pregio gli par buona e onesta. Onde Mario, con alquanto maggiore numero di gente che ordinato era, andò in Affrica; e in pochi dì fu portato, e pervenne in Utica. E l’oste, che v’era, li fu data da P. Rutilio legato: chè Metello avea fuggito il vedere Mario, acciocché non vedesse quelle cose, le quali, udite, il suo animo non avea potuto sostenere. Ma il consolo con le legioni compiute e con le coorti d’ajutorio526 andò ne’campi de’nimici molto abbondevoli e pieni di preda; e tutto ciò, che prendeano, donava loro. Poi si mise alle castella e alle citladi527, le quali e per loro natura e per gente erano poro forti: facea molle battaglie, e molte altre leggieri cose in altri luo- ghi. Sicché intanto li nuovi militi s’adusarono senza paura stare in battaglia; e a vedere gl’inimici, fuggendo, essere presi e morii; e come ciascuno fortissimo era e potea essere sicurissimo; e come per arme la libertà, la patria, li suggelli, e altre cose tutte, difendeano, e gloria e ricchezza s’acquistava. E così in brieve spazio e li «uovi e li vecchi militi vennono a valore528 e la virtù degli uni e degli altri fu fatta eguale.
CAPITOLO LXVIl.
Come Giugurta e Bocco si partirono; e Mario gli sconfisse, e prese ciitadi e castella.
Li re, poich’ebbono saputo dell’avvenimento di Mario, si dipartirono l’uno dall’altro, e andarono a diversi luoghi malagevoli e forti529. Chè questo era così piaciuto a Giugurta, sperando che li Romani, spargendosi, potrebbono esser assalili, come più volte era stato fatto: cbè, rimossa loro paura, slarebbono più sprovveduti e liberi. Metello, infra questo, giunto a Roma, contra la sua speranza, fu ricevuto molto allegrissimamente, e al popolo e a’padri, poiché la’nvidia e l’odio era passato, egualmente caro. Ma Mario sollecitamente e saviamente li fatti suoi e del li nimici attendea e considerava530; conoscea che fosse di buono dell’una parte e dell’altra, e che fosse il contrario; spiava li viaggi degli re, i consigli e aguati loro aolivenia; niuna cosa dalla sua parte negligente, né da quella degli nimici sicura, sostenea.Sicché gli Getuli e Giugurta, menando preda de’nostri compagni e amici, spesse fiate assalendoli Mario nella via, gli avea rotti e sconfitti; e’I re Bocco531, non molto di lungi dalla città di Cirta, avea spogliato di arme e di persone. Le quali cose solamente conoscendo gloriose, e che però non avea532 copra di far battaglia; diterminò di voler combattere e prendere le cittadi, le quali per cagione della gente o del luogo erano mollo per gli nimici, e contra di’ sè533: e così Giugurta o sarebbe spogliato delle fortezze, s’egli le lasciasse prendere, ovvero combatterebbe con lui. Chè Bocco spessamente gli avea mandati messaggi: com’egli volea l’amistà del popolo di Roma; e che da lui non temesse egli di niente. Questo s’egli lo’nfinse, acciocché egli non provveduto venisse più gravemente contro di lui, ovvero s’egli per mutabilità d’animo usasse di mutare pace e guerra, non se n è bene trovato il vero. Ma il consolo, siccom’egli avea in sè di liberato, andò a citta di e castella guarnite: e parte per forza, e altre per paura, ovvero dimostrando e promettendo grandi guiderdoni, le dipartia da’ nimici. E prima facea cose mezzane534, pensando che Giugurta per difendere i suoi li venisse in mano; ma, poich’egli stava da lunga535, ed era atteso ad altri fatti, gli parve che fosse tempo dimettere mano alle maggiori e più malagevoli cose536.
CAPITOLO LXYXII.
Dellp condizioni della città di Capsa.
Era infra le grandi foreste e disabitati luoghi una città grande e potente, ch’uvea nome Capsa, la quale si dicea eh’avea fatta Ercole Libio. Li suoi cittadini appresso Giugurta franchi, e con leggiere signoria, e però fedelissimi, erano: ed erano guarniti contra li nimici non solamente di mura9 e d’arme, e d’uomini,, veramente ancora di malagevolezza di luoghi537. Perocché, se non gli luoghi presso alla città, tutti gli altri di* serti, non lavorati, aridi d’acqua, e molesti di serpenti la cui venetiosilà, siccome diviene de111 altre fiere, è più dura per538 la povertà della vivauda: ancora la natura de9serpenti539, assai mortale e pestilenziosa, per sete, più che altra cosa, s’accende. D’avere quella città era venuto a Mario grandissimo desiderio, e sì per uso e per utilità della guerra, e sì perchè parea cosa dura e molto malagevole a fare. E Metello la città di Tala con grande gloria avea presa, la quale era non meno forte per lo sito e per lo guarnimento: se non che appresso Tala non di lungi dalle mura erano alquante fonti; li Gapsesi solamente una continua acqua540 dentro dalla terra, in tutti altri luoghi usavano acqua piovaua. Questo, quivi e in tutta l’Affrica la qual è di lungi dui mare, con quanta541 minore cura viveano, tanto più leggiermente si sostenea: chè li Numidi li più usavano latte e ferina542 carne; nè sale nè altri provocameli di goladoman davano. li cibo loro contra la fame e sete, non a disordinata voglia nè a lussuria era.
CAPITOLO LXIX.
Del modo per lo quale la città di Capsa fu presa.
Lo consolo, avendo spiate tutte queste cose, e, siccome io credo, confortato e atato da Dio (chè contra tante malagevolezze per suo consiglio non potea egli sufficientemente provvedere; chè anche, sopra le dette cose, era molestato per difetto del formento, perocch è li Numidi più studiano a pasture di pecore, che a’campi di biada; e tutta quella ch’era suta, per comandamento del re Giugurta, aveano eglino portata ne* luoghi guarniti e forti; li campi erano aridi, e di tutte biade in que’ tempi vuoti, perocch*era la fine della state); per tanto Mario, secondo la copia eh’avea assai543 approvvedutamente ordinò. Onde tutto il bestiame, il quale li dì dinanzi era suto preda, sì’l diede a menare alli cavalieri dell’ajutorio: Aulo Manlio legato colle coorti espedite comandò che andasse alla città di Laris, là dov’egli il soldo e ’1 fornimento avea allogato, e disse come egli intendea, per far preda, dopo pochi dì, venire là. Questo disse Mario per occultare a tutti il suo intendimento. E, avendo così detto e ordinato, andò egli verso il fiume detto Tana. E nella via ogni dì distribuiva bestie a mangiare per centinaja e per turme egualmente544, e curava che delle cuoja si facessono otri; e così insieme alleggiava il difetto del formento, e, non sapendo alcuno, apparecchiava le cose che tosto farebbouo per mestieri. Onde, al sesto dì, essendo giunti al fiume, e già fatta grandissima quantità d’otri, pose quivi il campo a leggier modo545; e fece mangiare la gente, e comandò che insieme col tramontare del sole eglino fossono apparecchiali all’andare, e che eglino dovessono gittare tutte some, e d’acqua sè e lor bestie caricare. E, poiché gli parve tempo, levò il campo, e, andato tutta notte, si posò546: quel medesimo fece la notte vegnente. Poi Ja terza notte, molto innanzi dì, pervenne in un luogo pieno di colli, di lungi da Capsa non più di due miglia: quivi occultissimamente, quanto poteo il più, con tutta sua gente appettò il dì. E, poiché il dì cominciò, e li Numidi, non temendo niente de’nimi
- ci, molti furono usciti della terra; subitamente tutti li cavalieri, e, con loro, velocissimi pedoni, fece andare in corso a Capsa 547,e porsi alle porte della città: poi egli atteso isbrigalamente seguio, e non lasciò suoi militi far niente di preda. Le quali cose poiché li cittadini conobbono, divenne che le cose spaventevoli, la paura grande, il male sprovveduto, anche parte de’cittadini di fuori dalle mura essendo già nella potestà de’nemici, queste cose li costrinsono che si rendessono loro. E, arrenduti, la città fu arsa; li Numidi, ch’erano in età, uccisi; tutti gli altri venduti; e la preda fra li militi partita. Questo male contra ragione di battaglia non fu per avarizia del consolo, nè per sua malvagità; ma perocché quello luogo a Giugurta era molto in acconcio, e a noi troppo malagevole ad andarvi; e la generazione di quegli uomini è mutevole e infedele, e nè per beneficio nè per paura recasi al diritto548. Poiché sì grande cosa così sbrigatamente ebbe fatta Mario, senza niuno disagio de’suoi, grande e onorato dinanzi, più grande e più onoralo cominciò a essere avuto. Tutte cose ch’egli non bene consigliasse, si traevano pure a virtude; li militi avea molto obbedienti a sua signoria, e, fatti ricchi, sì’l lodavano al cielo549; i Numidi più che uomo mortale il temeano: ultimamente lutti amici e nimici credeano o che egli avesse mente divina, ovvero che per alcuna significazione degli Dii fossono tutte cose dimostrate.
CAPITOLO LXX.
Dell’avventuroso pigliamento550 d’uno castello molto forte.
Ma il consolo, poiché questo gli venne prosperamente fatto, andò ad altre ciltadi;e poche furono quelle, alle quali egli avesse grande contrasto di difesa degli Numidi a pigliare: molte n’arse, diserte per miseria degli Capsesi551: di lamento e d’uccisione riempiea ogni luogo. Alla per fine avendo conquistalo molti luoghi, e li più senza sangue de’suoi, prese a fare un’altra cosa, non con tanto studio come de’Capsesi, ma ella era nieute meno grave che fosse quella. Ciò è: che presso al fiume Muluca, lo quale dipartia il reame di Giugurta e di Bocco, era fra l’altra grande pianura uno monte di sasso, sul quale era uno mezzano castello, assai di grande veduta552, ed era’l dello monte ismisuratamente alio, e non v’era se non una entrata molto stretta: chè tutto l’altro la natura, siccome per opera umana o per studioso consiglio, avea fatto pendente e quasi tagliato da ogni parte. Quello luogo Mario, perocché vi erano i tesauri del re, con sommo sforzamento intese a pigliare. Ma questa cosa per ventura venne meglio falla che per altro consiglio. Perocchè ’l castello era d’uomini e d’arme assai ben fornito, e simigliantemenle di biada, ed eravi fonte di acqua; e ad argini ovvero terrati, e a torri, e altri edifìcii, era il luogo alli nemici sconcio; e la via di quegli del castello strella molto, ritagliata dall’una parte e dall’altra553: li gatti esimiglianti dificii si menavano con grandissimo pericolo; perocché, quando eglino s’erano alquanto approssimati, o per fuoco o per pietre erano guasti: li militi nè stare innanzi poteano per niuna opera fare per cagione della malagevolezza del luogo, né infra li galli senza grande pericolo servire: ciascuno valente e ottimo cadea, o era duramente fedito: agli altri crescea paura. Mario, avendo consumali molti dì, e molto di fatiche angoscioso, ripensava nell’animo suo se dovesse lasciare quello che cominciato avea, perocch’era invano, o s’egli dovesse aspettare la ventura, la quale spesso avea prosperamente usata. Le quali cose per molti dì e notti angosciosamente rivolgendo, intervenne per ventura che uno Ligure, delle coorti dell’ajuto milite gregario, partendosi dell’oste per acqua, uon di lungi da quel lato del castello, il quale era rincontro dei luogo della battaglia554, vide infra Usassi andare certi animali, che si dicono Coclee (a)555: delle quali egli ora l’una ora l’altra e più cercando per isludio di raccoglierne, appoco appoco andò presso che alla sommità del monte. Ove, poiché egli conobbe che v’era solitudine e persona niuna; per usanza d’ingegno umano, il desiderio di faré le malagevoli cose rivolse il suo animo. E quivi per ventura era cresciuta una grande ilice556, la quale era fra li sassi, quivi prima inchinala un poco in lato, e pui rivolta e accresciuta in alto, là dove la natura tutti gli arbori porta. Per gli rami protesi del detlo arbore e per’gli sassi, che alcuna volla lisciano fuori, sforzandosi e sagliendo il detto Ligure, fu suso557: e vide e considerò tutta la pianura del castello; perocché tutti li Numidi erano alla battaglia attesi. E, spiate tutte cose 558 che gli parea che fossono per mestieri al fatto, ritornò giù, non a ventura, come salito era, ma ragguardando e avvisando tutto559. Poi tostamente se n’andò a Mario, e dissegli quello che fatto atea, e si ’I confortò che da quella parte, onde egli era salito, si brigasi di tentare II prendere del castello : e offerse sè per guida, della via, dicendo che non vi era niente di pericolo. Mario mandò col detto Ligure alquanti di quelli, ch’erano seco presenti, a conoscere e vedere le promesse sue : degli quali, secondo ch’era lo’n-gegno di ciascuno, così il fatto ridissono che fosse malagevole o leggieri. Ma l’animo del consolo fu un poco riconfortalo: onde egli delia gente, ch’er8no trombettatoti e corneltatori560 elesse cinque nfiollo velocissimi e leggieri-; e con costoro ordinò per ajutorio e fortezza quattro centurioni, e comandò che lutti dovessono ubbidire al Ligure, e a questo fatto stabilio il seguente di prossimo. Poiché, secondo il comandamento, era tempo di venire al fatto, avendo il Ligure apparecchiate e ordinate tutle cose, andò là. Ma quegli, ch’erano principali nelle centurie, ammaestrati prima dal lor duca, aveano mutate arme e abito, il capo e li piedi nudi, acciocché’1 guardare e’I salire per gli sassi fosse più agevole: dopo’l dosso aveano le spade e le scuda561; veramente erano numidiche, fatte di cuoja per minore peso, e che percotendo facessono più lieve ro-more. Andando, dunque, innanzi il Ligure, li sassi, e s’alcune invecchiale radici v’appariano, legava ecignea di funi, per le quali, pendendo a modo di lacci, li militi ajulali più leggermente salissono: alcuna fiata li li-morosi per la disusata e sconcia via «jutava a mano; e là, dove il salire era più duro, li mandava ad uno ad uno disarmati, e poi egli con l’arme loro seguia : quelle luogora, le quali pareano dubbiose al montare, egli primamente e con vigore tentava, e ondavo ; e, spesso saglicndo e discendendo, e poi inconlanente dipartendosi, aggiungea agli-altri molto ardire. Così li militi, lungamente e molto affaticati, alla per fine pervennono nel castello, il quale era abbandonato e diserto da quella parte: perocché tutti, siccome gli altri dì. stavano contra loro nimici. Mario, poiché per messaggieri ebbe sapute le cose che il Ligure avea fatte , avvengachò562 tutto dì egli avesse tenuti li Numidi attesi alla hallaglia, ma allora confortati i suoi militi, ed egli uscito fuori de’galli, menando cotali coverte di legname, venne solto il castello ; insieme con ciò da lungi spaventava e combattea i nimici con saettatori e con frombolatori. E li Numidi, spesse fiate innanzi avendo guasti li galli de’ Romani e messovi fuoco, non si difendeano eglino per le mura del castello; ma usefano dinanzi dal muro c dì e notte contro di loro, e maladiceano agli Romani563, e di-ceano contro Mario com’egli era folle e matto, e minacciavano li nostri militi di fargli servi di Giugurta, e per ie prospere cose erano eglino molto feroci. Intanto, essendo tulli e li Romani e li nimici attesi alla battaglia, e da ciascuna parte combattendosi per gran forza, Cuna parte per lo imperio e per gloria, l’altra per lo loro salvamento; subitamente dietro a loro sonarono le trombette; e prima le femmine e li garzoni, li quali erano venuti a vedere, si fuggirono; poi, siccome ciascuno era presso a muro, tutti e armati e disarmati a calca si tragittavano. La qual cosa poiché così divenne, tanto li Romani più aspramente contrastavano, scacciavano, e attendeano a molti pur di fedire e uccidere; andando poi sopra le corpora degli uccisi, e desiderando gloria, a prova e a moltitudine saliano su per lo muro; e niuno di tutti loro fu ritenuto per preda d’alcuno de’nimici. E così, quasi corretta la troppa mattia di Mario per la ventura, di colpa trovò e li pervenne gloria564.
CAPITOLO LXXI.
Della natura e de’ costumi di Lucio Siila.
Mentre questa cosa si facea, Lucio Siila questore, con grande cavalleria venne nell’oste, il quale era suto lasciato a Roma per ragunare oste dal Lazio e da altri amici de’Romani. Ma, perocché c’è accaduto il fatto di tale e di tanto uomo565, parmi che sia convenevole della natura e de’ modi suoi dire in alquante poche parole: chè noi non dobbiamo del fatto di Siila dire in altro luogo; e uno, ch’ebbe nome Lucio Sisenna, il quale meglio e più diligentissimamente di tulli gli altri che dissono quelle cose, le proseguitò, egli pare a me che parlasse con bocca poco libera, non dicendo lulto apertamente. Siila, dunque, fu nobile uomo, di gente patrizia (a)566; sua casata567 era quasi venuta già a niente per viltà de’suoi maggiori; di lettere e in greco e in latino egualmente e bene ammaestrato; d’animo grande; disideroso di corporali diletti, ma più d’onori e di gloria: in ozio era lussurioso; ma giammai tale dilettazione noi ritrasse dagli altri utili fatti, se non quanto della moglie bene si sarebbe potuto più onestamente consigliare e provvedere: era bello dicitore, scaltrito, e amichevole di leggieri: ad infingere i fatti avea altezza d’ingegno incredibile: di molte cose, e specialmente di pecunia, era largo donatore. E conciossiacosachè egli fosse il più ben avventuroso di tutti gli altri uomini innanzi la sua cittadinesca vittoria, giammai sua ventura non fu sopra sua bontà e senno; e molti dubitarono se egli fosse o più avventuroso, o più costante e prode. Poi quelle cose che fece non sono ben certo 8* io mi vergogno maggiormente, o se mi rincresce di dire. Dunque Siila, siccome è detto di sopra, giunse in Affrica, è con la cavalleria venne neir oste di Mario. Essendo prima rozzo e non sapendo di battaglia, diventò il più dotto e’I più facondioso568 di tutti gli altri in piccolo temporale. E con ciò appellava e trattava li militi molto graziosamente: e a molti prestava e dava che li domandavano, e ad altri donava per suo proprio volere: benefizii di altrui egli riceveva mal volentieri, ma, più tosto che l’avere prestato, li rendea, e egli da niuno raddomandava; maggiormente si studiava in ciò, che molti li fossero quasi debitori; sollazzi e cose utili trattava con li umilissimi e di bassa mano569; nell’opere, e nelV andare dell’oste, e nel vegghiare, era egli spesso e molto continuo. Nè infra questo facea, come suole fare la perversa ambizione, che egli del consolo o di niuno altro buono ledesse fama o dicesse male: solamente nè in avvedimento nè in opere sostenea d’essere avanzato; ma molti ne avanzava egli. Per le quali cose e arti in brieve tempo a Mario e a’militi fu fatto molto carissimo.
CAPITOLO LXXII.
Come Giugurta con Bocco assalirono, e combatterono contra li Romani.
Ma Giugurta, poichè la città di Capsa e altri luoghi forti guarniti e a sè utili, e anche grande quantità di pecunia avea perduta; mandò messaggi a Bocco, tostamente menasse gente in Numidia; e che di far battaglia era tempo. Lo quale poich’egli intese che dubitava, e che protraeva ragioni di guerra e di pace, anche, siccome prima, li suoi dimestichi corruppe per doni; e a lui promise la terza parte di Numidia, se li Rom;ini fossono di Affrica discacciali, o, se si facesse pace, rimanendogli intero il suo reame. Per tale guiderdone attratto570 Bocco, se ne venne a Giugurta con grande moltitudine. E così, congiunta l’oste dell’uno e delraltro, andando già Mario a fare’l verno571, su la sera l’assalirono: pensando che la notte, eh’era presso, s’eglino fossono vinti, sarebbe per iscampo; e, se vincessono, non sarebbe impedimento, perocchè sapeano bene la contrada e le luogora; ma, per contrario, a’Romani l’un caso e l’altro in tenebre sarebbe più malagevole. Il consolo per molte spie co- nobbe dell’avvenimento de’nimici, e li nimici medesimi già erano presenti: e, prima che l’oste si potesse ordinare, o le salmerie raccogliere572, anche innanzi che bandiere e segui ovvero comandamento niuno potessono prendere, li cavalieri mauri e getuli, non a schiera nè a niuno modo di battaglia, ma in torma, siccome ciascuno di loro s’erano a ventura ragunati, contra li nostri corsono e fedirono. Li quali, timorosi per la disprovveduta paura, e solamente ricordandosi di lor virtude, prendeano loro armi, o gli altri, che le prendeano, difendeano da’loro nimici: partita ne saliano a cavallo, e andavano incontro di loro: lo combattere si facea più simile a uno modo di ladroni, che a universale battaglia: senza bandiere o segni, senza ordine li cavalieri e pedoni permischiati: altri fediano ed altri uccideanoje a molti, i quali erano volti contro di loro, e fortissimamente combatteano, venia la moltitudine, e percoteagli dietro: nè fortezza nè armi sufficientemente vi valea; perocché li nimici erano in maggior numero, e da ogni parte li circondavano. Ma i Romani vecchi e nuovi, e pertanto assai dotti di battaglia, se in alcuno luogo o per alcuno caso se ne ragunassono insieme, ordinavano alla ritonda573: e così, da ogni parte difesi e ordinati, si teneano verso la potenzia di loro nimici574. Nè in quello così a<pro e duro fatto Mario niente sbigottito, ovvero più che prima fu di manchevole animo; anzi con la turma sua, la quale egli di fortissimi più che di frequentissimi575 avea ordinata, andava qua e là: e ora a’suoi affaticati soccorrea, ora li nimici là, dove più ragunati contrastavano, percotea; e per opera ajutava li militi, chè comandare, ovvero ordinargli, perocch’erano tutti conturbati, non potea. Già era passato il giorno, e li Barbari niente rallentavano; ma, siccome li re aveano comandato, appensando che la notte era per loro576, più duramente combatteano.
CAPITOLO LXIII.
Come Mario occupò due colli, e poi sconfisse li nimici.
Allora Mario secondo il fatto trasse consiglio, e, per avere ricevimento di luogo, occupò due colli prossimi intra sè: nell’uno de’ quali, eh’era poco ampio per l’oste, sì era una grande fontana d’acqua; l’altro, per usarlo acconcio, perocché in grande parte era levato in alto e quasi tagliato, non avea mestieri di molto guarnimento. All’acqua fece stare la notte Siila con gente da cavallo;e egli appoco appoco li dispersi militi, e non meno turbati li nimici, sì li t agunò insieme, e poi a pieni passi li menò al colle577. E così gli re, costretti per la malagevolezza del luogo, lasciarono la battaglia. Ma non si partirono; anzi, circondato l’uno colle e l’altro di moltitudine, coti dispersi si posarono: poi, fatti spessi fuochi, molto della notte li Barbari secondo loro costume si rallegravano e allegrezza mostravano, e gridavano a grandi voci; e li loro due duchi erano feroci,perocché non fuggirono, anzi stavano come vincitori. Ma tutte quelle cose alli Romani dalle tenebre e più alti luoghi erano a vedere leggieri, e grande confortamento578. Mario medesimo, molto per la mattia de’nimici confermato579, fece fare grandissimo silenzio; e che trombette, siccome soleano a certe ore della notte, non dovessono sonare. Poi, quando s’approssimava il dì, essendo già stanchi li nimici e alquanto innanzi occupati dal sonno, subitamente fece li vetturali e quegli che delle coorti e delle turme e delle legioni erano trombettatori, insieme tutti trombe e cornette souare, e li militi levare grida, e uscire delle porte dell’oste580. Li Mauri e li Getuli, da non saputo e orribile suono di subito risvegliati, nè battaglia faceano581, nè prendeano arme, né niuna cosa fare nè provvedere poteano: sì erauo tutti spaventati di romore e di grida, niuno ajutando, li nostri contrastando, per romore e spaento e paura, quasi da pazzia, essendo compresi. Alla perfine tutti rotti e scacciati; arme e altre insegne militari molto prese: più in quella battaglia che in tutte l’altre di sopra ne furono morti; perocché dal sonno e da paura disusata fu impedita loro fuga.
CAPITOLO LXXIV.
Come Mario mollo approwedulamenle governava sua oste.
Poi Mario, siccome avea cominciato, andò a fare il verno, il quale per lo fornimento avea diliberato di fare nelle cittadi marine582. Nè per la vittoria diventò egli più pigro o negligente; ma, come fosse dinanzi alli nimici, andava con l’oste quadrata e ordinata. Siila con cavalleria nella parte destra; nella sinistra Aulo Manlio con li frombolatori e saettatori, e avea anche seco le coorti delli Liguri: primi e ultimi avea Ma156 | il giugurtino |
CAPITOLO LXXV.
Come Giugurta e Bocco un’altra fiata combatterono contra li Bomani.
Adunque, il quarto dì, non di lungi della città di Cirta, da ciascuna parte insieme li spiatori e provveditori rivenendo, tosto si dimostrarono all’oste: per la qual cosa fu inteso che li nimici erano presso. Ma, perocché rediano diversamente585, altro dall’uria parte586, e l’altro dall’altra» e tutti significavano una cosa; il consolo, incerto in che modo dovesse le schiere ordinare, non mutando niuno ordine, contro tutte parti apparecchiato; aspettava quivi. Sicché a Giugurta fallio la speranza, il quale tutta sua gente avea divisa in quattro parti, credendo che di tutti alcuni verrebbono egualmente dietro alli nimici. Infra questo Siila, a cui li nimici erano prima giunti, confortali li suoi, iu turma e massimamente con gli cavalli stretti, egli co*suoi percosse a9Mauri587: gli altri, stando ne9luoghi loro, giltavano da lungi dardi, e copriano lor corpo, e, se alcuno ne venisse loro fra mano, uccideano. Quando in quello modo com batteano li cavalieri, Bocco con li pedoni, i quali Voluce suo figliuolo avea menali, e che non erano stati nella prima battaglia per dimoranza della via, percossono l’ultima schiera de’ Romani. Allora Mario era a curare appresso alli primi, perocchè quivi era Giugurta con molti. Poi il Numida (a)588, avendo conosciuto l’avvenimento di Bocco, nascosamente con pochi venne là a’pedoni: e quivi gridò in lingua latina, che avea apparata a Numanzia, e disse come gli nostri per niente589 combatteano; chè poco innanzi di sua mano aveva egli morto Mario. E insieme con ciò mostrava la spada piena di sangue, la quale egli nella battaglia, avendo sollicitamente morto uno nostro pedone, avea insanguinata. La qual cosa poichè intesero li militi, più per lo reo e crudele fu Ito, che per la fede del messaggero, furono isbigoltiti: e agli Barbari crescea l’animo, e contra li perturbati Romani più duramente s’accendeano. E già li Romani erano quasi in sulla fuga, quando Siila, avendo scacciati coloro contra li quali era ito, ritornando percosse alli Mauri da lato. Sicchè Bocco incontanente volse, e fuggio. Ma Giugurta, disiderando di fermare li suoi, e la vittoria590 presso che acquistata ritenere, intorniato da’cavalieri dalla parte destra e sinistra, essendo tulli uccisi, egli solo fra le lance e dardi de’nimici, schifando i colpi, scampò. E intanto M<>ri<>, avendo cacciati i cavalieri dinanzi, venne in ajuto a’suoi, de’quali già avea udito che erano cacciati. Alla perfine i nimici da ogni parte furono vinti. Allora fu il fatto orribile a vedere entro per li campi: li Romani perseguitare; eglino fuggire, esser morti, e presi; e gli cavalli e gli uomini molestati; e, avendo molti fedite ricevute, nè fuggire poteano nè riposo patire; ora si sforzavano d’andare, e immantenente cadeano: alla perfine tutti luo/ghi, ond’era loro andamento, si vedeano ripieni d’aste, e d’arme, e di corpora; e infra loro la terra tutta insozzala di sangue.
CAPITOLO LXXVI.
Come Bocco mandò ambasciadori a Mario, e Mario a Bocco.
Dopo questo il consolo, senza dubbio già vincitore, pervenne nella città di Cirta, dov’egli ebbe al principio intendimento d’andare A quello luogo, il quinto dì poi che li Barbari aveano male combattuto591, vennono ambasciadori da Bocco, li quali da parte del re domandarono a Mario, che egli dovesse mandare a lui due, de’quali molto si fidasse, perchè volea e del bene suo e del popolo di Roma ragionare con loro. Mario incontanente vi mandò Lucio Siila e Aulo Manlio. Li quali avvegnachè chiamati andavano, pertanto piacque loro di parlare dinanzi al re, acciocché’I suo animo e ingegno, s’ell’era contrario592 lo rimovessono, o, se disiderava pace, viapiù l’accendessono. Onde Siila, a cui diede luogo di parlare Aulo Manlio, perocch’era uno bello parlatore’, anche che fosse più giovane593 parlò alquante parole in questo modo:
CAPITOLO LXXV1I.
Diceria di Lucio Siila a Bocco.
Re Bocco, noi avemo grande allegrezza, quando a cotale uomo, come se’ tu, Dio ha messo in cuore che tu per alcuno tempo594 piuttosto volessi pace che guerra f acciocché non, le ottimo col pessimo di tutti li uomini Giugurta permischiando, ti maculassi; e insieme con questo acciocché togliersi a noi una molesta necessità, che noi egualmente te errante e lui scelleratissimo dovessimo perseguitare. Anche perocché al popolo di Roma, dal principio, quand’era assai debole e povero, parve il meglio d’acqistare amici che servi, credendosi bene che fosse più sicuro a uomini volonterosi, che costretti, signoreggiare. Ma a te niuna amistà è migliore o più in acconcio che la nostra: prima, perocché noi semo di lungi, onde di gravezza pochissimo, grazia e amore eguale siccome presso e presenti fossimo; poi, perocché uomiui obbedienti a noi avemo in abbondanza, ma d’amici nè noi nè niuno uomo ebbe unqua assai. E volesse Dio che queste cose fino dal principio ti fossono piaciute! Certamente molti più beni n’avresti rirevulo, che li mali che sostenuto hai. Ma, perocché delle cose umane molte ne regge la ventura, a lei, a cui una fiata è piaciuto che provassi forza, piace che provi amore e grazia. Ora, da che per lei puoti, avaccia, e cosi, come hai cominciato, procedi. Molte cose hai acconce, per le quali leggiermente puoi lo tuo errore per servigi avanzare. Alla perfine questo ritieni nel tuo petto, che giammai il popolo di Roma per far benefizii non fu vinto, che non servisse via più; ma io guerra che possa tu medesimo il ti sai595.
CAPITOLO LXXVIII.
Risposta di Bocco a Siila.
A queste cose Bocco piacevole e dolcemente fece poche parole per iscusa del suo peccato; e com’egli non per nimichevole animo, ma per difendere il suo reame avea preso arme: perocché, siccome dicea, quella parte di Numidia, della quale avea scaccialo, e tolta a Giugurta596, per ragione di battaglia era falla sua; e che-quella da Mario fosse occupata e guasta non avea potuto sostenere: anche com’egli dinanzi, avendo a Roma mandato ambasciadori, era stalo cacciato da loro amistà. Ma lasciava stare le cose vecchie: e disse come, se per Mario Tosse conceduto, manderebbe ambasciadori al senato. Poi, venuto agio e copia di parlare, l’animo del Barbaro (a)597 fu rivolto da’suoi amici, li quali Giugurta per doni avea corrotti, quando seppe dell’ambasceria di Siila e di Manlio, ri temendo quello che s’apparecchiava (b)598.
CAPITOLO LXXIX.
Come Mario si partì con alquanta gente; e Bocco mandò ambasciadori, li quali pervengono a Siila.
Mario intanto, avendo sua oste ne’ luoghi da vernare disposta, con le coorti espedite e parte della cavalleria andò in luoghi di grandi boschi ad assediare la regale torre, nella quale Giugurta avea posti tutti li fuggiti per difesa. Allora anche da capo jjocco fu rivolto in bene, o pensando come gli era nelle due battaglie colto599, ovvero ammonito dagli altri suoi amici, li quali Giugurta non corrotti avea lasciati. Onde egli di tutti suoi amici stretti elesse cinque600, la fede de’quali era da lui conosciuta, e loro ingegno di grande valore. Costoro mandò per ambasciadori a Mario, e indi, se piacesse a Mario, dovessono andare a Roma; e di fare le cose, e ’n qualunque modo piacesse loro concordare di pace, concedè loro piena licenza e mandalo601. Eglino tostamente andarono alli luoghi vernarecci de’Romani: ma, nella via da’ladroni getuli soprappresi e spogliati, ispaurili e senza onore fuggirono a Siila, lo quale il consolo, andando espediiamenle al detto assedio, avea lasciato per pretore nella città d’Utica. Loro Siila non, com’eglino aveano meritato, li ricevette per vani uomini602; ma onorevolmente, e donando loro assai. Per la qualcosa li Barbari e la fama dell’avarizia de’ Romani esser falsa, e Siila603, per li doni, loro amico appensarono. Perocché allora lo donare da molti era non saputo: datore non credea altri che niuno fosse, se non egualmente rivolendo: ogni dono era per grande benevolenza riputato. Dunque al questore Siila manifestarono l’ambasciala di Bocco; e domandarono a lui che fosse loro fautore e consigliatore: la gente, la fede, la grandezza di loro reame, e altre cose, le quali eglino utili, o la benevolenza credeano che vales-;ono604, per loro parola magnificavano. Poi Siila promettendo tutto, furono gli ambasciadori ammaestrati da lui e come appo Mario, e come appo’l senato dovessono parlare: e intorno a quaranta dì aspettarono quivi.
CAPITOLO LXXX.
Come Mario, secondo il consiglio, mandò a Roma gli ambasciadori di Bocco.
Mario, poiché, non fatto quello perchè era ito, ritornò a Cirta, e dell’avvenimento degli ambasciadori fu certificato, loro e Siila fece venire da Ulica, e simigliantemcnle Lucio Beliieno pretore; anche da ogni parie tutti quegli dell’ordine de’ senatori: con gli predetti, quando cognobbe l’ambasciala di Bocco, ebbe consiglio a quali ambasciadori dovesse essere data potestà d’andare a Romiti. In questo mezzo era addomandalo (ini consolo che dovesse essere dato indugio e triegua: la quale a Siila e ii più altri piacque;alquanti pochi più ferocemente605 sentenziarono, veramente non saputi delle cose mondane606, le quali, discorrenti e mutevoli, se.npre in avversila si tramutano. Avendo dunque Mario tutte cose comandato e ordinalo, tre Mauri andarono a Roma con Gneo Ottavio Rufo, il quale questore avea portalo il soldo in Affrica; due ne ritornarono al re. Da loro Bocco e sì tulle altre cose, e sì massimamente la cortesia v. lo studio di Siila udì mollo volentieri.
CAPITOLO LXXXL
La proposta degli ambasciadori di Bocco in senato; e la risposta falla loro.
Gli ambasciadori che andarono a Roma, poich’ebbono detto che’l re avea errato, e era caduto per la malvagità di Giugurta, pregando egli della loro amistà, e domandando patto e compagnia, fu loro risposto in questo modo: Lo senato e’I popolo di Roma del beneficio e della ingiui ia si suole bene raccordare607: veramente a Bocco, perocché si pente del male, fa grazia, e perdona; amistà e compagnia li sarà conceduta, quando avrà sì fatto, che la meriti d’avere.
CAPITOLO LXXXII.
Come Siila fu mandalo a Bocco, e Voluce suo figliuolo li venne incontro.
Queste cose avendo saputo, Bocco per lettere domandò a Mario che li mandasse Siila, per lo cui consiglio e volontà si provvedesse delli comuni tatti. Siila vi fu mandato con gente da cavallo e da piede, frombolatori, e balestrieri608: anche v’andarono saettatori e la coorte detta Peligna con arme velitari (a609) per avacciare più tosto: nè di quelle cotali erano eglino meno armati bene che dell’altre, quanto contra le lance de’nimici, perchè sono lievi. Ma nella via, il quinto dì, Voluce figliuolo di Bocco subitamente, ne*campi manifesti e piani, con mille e non più cavalieri si dimostrò: ii quali, disordinatamente e spartitamente andando, a Siila e a tutti i Romani mostravano maggior numero che’l vero, e facevano nimichevole paura. Sicché ciascuno de’Romani cominciò apparecchiarsi, e tentare arme e lance: paura era alquanta; ma speranza via maggiore certamente, siccome a vincitori, e contra coloro li quali egli aveano spesse fiate vinti. Intanto mandò Stila cavalieri a spiare, li quali rinunciarono610 il fatto quieto, siccome era la verità. Voluce, quando giunse, parlò al questore, e disse: com’egli era mandato incontra lui da Bocco suo padre, e anche per suo ajuto. £ io quel dì e nel seguente senza niuna paura andarono insieme congiunti.
CAPITOLO LXXXIH.
Come Giugurta apparia nella contrada, e Siila si mise ad andare di notte.
Poiché la sera fu l’oste allogata, subito’1 Mauro (b)611 con dubbiosa faccia spaurito veune ratto a Siila, e disse come da quelli, ch’erano posti a vedere per guardia, avea saputo che Giugurta non era molto di lungi; e sì’l pregò e confortò che la notte nascosamente fuggisse insieme con lui. Egli con animo feroce rispose: che il Numida tante fiate sconfitto non ritemea612, e assai si confidava nella prodezza de*suoi; eziandio, se manifesto pericolo ci fosse, egli piuttosto starebbe fermo, che, tradendo coloro che seco meuava, per sozza fuga perdonasse alla vita non certa,162 | il giugurtino |
CAPITOLO LXXX1V.
. Come Sdla difese Voluce; e poi passarono per l’oste di Giugurta, e vennono a Bocco.
Ma Siila, avvegnaché credesse quelle medesime cose, pertanto da ingiuria difese il detto Mauro, e confortò li suoi ch’avessono vigoroso animo: chè spesso innanzi tra stato da pochi bene combattuto e vinto incontro di molli; e quanto nella battaglia meno perdònassono a sè medesimi, tanto sarebbono più sicuri; nè si convenia che niuno uomo, il quale era armato delle sue medesime mani, egli dovesse da’disarmati piedi cercare ajutorio, e nella grandissima paura lo corpo, che non vede, e non ha onde sè difenda (a)615, alli nimici rivolgere. Poi a Yoluce, perocché inimichevolmente si portava, fece uno quasi avversario scongiuramento per l’altissimo Iddio616, il qwale dovesse vedere tanta iniquità che Bocco verso di lui avea commessa; e comandò che Yoluce si partisse dall’oste. Egli lagrimando Io pregava: che nulla era stato fatto per tradimento suo; anzi per malizia di Giugurta, il quale spiando e riguardando avea saputo lo suo viaggio. E disse come, perocché Giugurta non avea seco gran gente, e la speranza e tutta sua potenzia pendea dal suo padre, egli credea che egli non s’ardirebbe di fare niente contra lui, quando egli figliuolo fosse presente, per la qual cosa egli parea il meglio ch’eglino dovessono passare per mezzo del suo campo; e come, mandati innanzi ovvero lasciati quivi li Mauri, onderebbe solo con Siila. Questa cosa, siccome in cotale fatto, approvata, incontanente andarono: e, perocché avvenne così improvvisa e subita, dubitando e ritemendo Giugurta, sani e salvi passarono. E dopo pochi di pervennono a quello luogo, dove andavano. Quivi era un Numida, eh’avea nome Aspar, lo quale usava molto e famigliar famigliarmente con Bocco; ed era stato mandato da Giugurta, poichè avea udito che Silla era chiamato: onde egli era ito per ambasceria, e maliziosamente, per ispiare lo consiglio e lo intendimento di Bocco.
CAPITOLO LXXXV.
L’ambasciata che mandò Bocco a Silla.
Bocco mandò a Silla uno che avea nome Dabar, figliuolo di Masugrada, della gente di Massinissa, ma da parte di madre non era sì grande, perocchè la sua madre era bastarda nata d’una amica617. Egli era al Mauro618 per le sue molte bontà caro e accetto: il quale Bocco avea provato per molti temporali innanzi com’egli era fedele a’ Romani. Per costui li mandò dicendo: com’egli era apparecchiato di fare tutto ciò cbe ’l popolo di Roma volesse; che ’l dì, e ’l luogo, e ’l tempo di parlare insieme egli dovesse eleggere; che dalla sua parte era stabilito perfettamente di tutto; e non temesse l’ambasciadore di Giugurta, lo quale egli dicea ch’avea chiamato, acciocchè ’l fatto più comunemente e più liberamente trattare si potesse, chè dalle sue malizie altrimenti non si sarebbe potuto guardare. Ma io619 trovo veramente che Bocco più per fede affricana620, che per quello ch’egli dicea, insieme e li Romani e ’l Numida621 tenea per isperanza di pace622, e che egli era usato di molto volgere nel suo animo, se Giugurta a’ Romani, ovvero Silla a lui dovesse tradire: e, quanto la sua voglia, era contro di noi; ma la paura per noi il movea623.
CAPITOLO LXXXVI.
Risposta di Silla; e come Bocco mandò per lui di notte.
Silla mandò a dire: com’egli direbbe poche parole dinanzi da Aspar; l’altre direbbe segretamente, o niuno o pochissimi essendo presenti; e ammaestrollo come dovesse rispondere. Onde poi, così com’egli volle624, furono insieme. Silla disse: com’egli era mandato dal consolo per domandare e sapere da lui s’egli avea intendimento di volere pace, ovvero guerra. Allora il re, siccome era ordinato, disse: ch’egli vi ritornasse il decimo giorno; chè allora egli non avea niente diterminato, ma in quel di li risponderebbe. Poi andò l’uno e 19 altro a sua gente. Passata una pezza della notte625, Siila fu chiamato da Bocco, si che dall’una parte e dall’altra non fossono presenti se non fedeli e saldi amici; e Dabart il quale era messaggiere, santo uomo626, fece saramento in quello modo che piacque a l’uno e a lf altro627: e poi il re cominciò a favellare in questo modo a Siila:
CAPITOLO LXXXVII.
Diceria di Bocco a Siila.
Non pensai giammai che dovesse intervenire che iof grandissimo re di tutte contrade e di tutti quegli ch’io sappia, a privai uomo fossi debitore e obbligato per grazia. E per l’alto Dio ti giuro. Siila, che, anzi ch’io ti conoscessi, io a molti, che mi domandarono, e ad altri per mia spontanea volontade diedi e ajuto e favore, e di niuno ebbi unque628 bisogno. Che questo mi sia ora mutato e mancato, onde gli altri si sogliono dolere, io me ne rallegro, da che di questo bisogno, chf f ho avuto, mi sia pervenuto così grande pregio, come è quello della tua amistà, della quale appresso l’animo mio niuna cosa ho più cara. £ questo può’ tu provare: arme, uomini, pecunia, e ciò che air animo tuo piace, prendi e usa a tua volontà: e non pensare che9I debito della grazia ti sia mai rendalo: sempre appresso me sarà intero; e niuna cosa sarà, ch’io sappia che tu vogli, ch’io sostegna che tua volontà indarno sia629. Veramente della repubblica vostra, per la quale curare tu se*qua mandato, in poche parole lo’ntendi630 Guerra nè feci io al popolo di Roma, nè mi piacque, nè volli: li miei confini incontra gli armati ho per arme difesi631. Onde, da che vi piace, io lascio ciò: fate contra Giugurta guerra come volete. Io dal fiume Muluca, lo quale fu fra me e Micipsa, non uscirò; nè Giugurta intrare vi lascerò: e, se niuna cosa da me degna d’essere data a voi do* manderai, non ti partirai senza il tuo domando632. CAPITOLO LXXXVIII.
Risposta di Siila; e ragionamento fra lui e Rocco.
A queste cose Siila per sè brievemente e poco, ma per li fatti comuni disse molto. E alla perfine fece conto al re: come quello, eh* egli pròmettea, lo senato e ’1 popolo di Roma non avrebbono molto per grazia, perocch’egli aveano633 più di lui potuto o fatto per arme; ma facesse alcuna cosa t la quale si mostrasse che fosse per loro servigio più che per lo suo medesimo. E questo era assai pronto a fare, perocché avea copia di Giugurta: il quale s’egli il desse a’Romani, diverrebbe che gli sarebbono molto debitori di grande amistà; e che legamenti634, e patti, e quella parte di Numidia, la quale egli vi addomandasse, per loro propria volontà gli verrebbe a signoria. Lo re prima li cominciò a negare, e allegare Io parentado: e dicea com’egli insieme aveano fatto patti e giuramenti d’amistà; anche com’egli temea non per mutevole fede egli dipartisse da sè l’animo de’ popolari suoi, alli quali e Giugurta caro, e li Romani erano molto odiosi. Alla perfine molto allassato si rammollò635, e venne a ciò; e a volontà di Siila promise di fare tutto: e ordinarono insieme quelle cose che parvono utili, per mostrare che volessono pace, della quale il Numida, stancato della guerra, era mollo disideroso. E così avendo ordinala la fraude, si dipartirono.
CAPITOLO LXXXIX.
Come Bocco mandò Aspar a Giugurta; e come Aspar ritornò a lui.
Lo re Bocco l’altro dì chiamò Aspar ambasciadore di Giugurta, e dissegli: come Dabar gli avea fatto assapere da parte di Siila che la guerra per buone condizioni si potea componere e pacificare636; per la qual cosa egli dovesse cercare la sentenzia e’1 volere del re. Allora egli allegro tostamente se n’andò all’oste dov’era Giugurta. E, intesa la risposta, e ammaestrato da lui, l’ottavo dì ritornò a Bocco, e disse: come Giugurta avea volontà di fare tutte cose che comandate li fossono, ma non si fidava di Mario, chè spesse fiate innanzi cogli imperadori di Roma la pace conventa637 era suta per niente; ma, se Bocco volesse fare bene a sè e a lui, e se volesse ferma pace, desse opera ch’egli dovessono venire a parlare insieme* della pace, e quiti li tradisse Siila638. E quando egli avesse cotale uomo in sua podestà, allora diverrebbe che per comandamento del senato e dei popolo si farebbe pace e patti, perchè non vorrebbono cho uomo, il quale non per sua viltà, ma per la repubblica fosse in podestà de’nimici, dovesse essere abbandonato. Queste cose il Mauro con seco molto rivolgendo, alla perfine promise veramente: se per fraude o per vero dubitando mutato, non avemo trovala la verità: ma spesse fiate le volontà degli re, siccome sono fortissimi, così mobilissimi, spessamente sono a sè medesime contrarie.
CAPITOLO XC.
Come Bocco fece venire Giugurta, e tradillo a Siila.
Poi, ordinato il tempo e’I luogo a venire a trattare la pace, Bocco ora Siila, ora l’ambasciadore di Giugurta chiamava e benignamente trattava, e una medesima cosa ali’ uno e all’altro promettea: quelli egualmente erano in buona speranza. Ma la notte, la quale fu prossima innanzi al di ordinalo del trattare, il Mauro,avendo chiamati a sè suoi amici, e, incontanente mutata volontà, rimossi tutti altri639, dicesi che seco medes;mo molte cose ripensava,di volto, di colore, di movimento del corpo640, é sh migliantemente d’animo isvariato: le quali cose, così, tacendo, egli occultate, per mutamento di sua faccia assai dimostrò. Ma alla perfine fece chiamare Siila, e, secondo che lui parve641, ordinò il tradimento642 al Numida. Poiché fu fatto dì, e fugli detto come Giugurta era pfesso; egli con alquanti suoi amici e col nostro questore, quasi per onorarlo, gli andò incontro ad uno cotale monlicello, il quale leggermente si vedea dagli aguali che posti erano. AI quale luogo il Numida con assai de’ suoi grandi amici, senza arme, come ordinato era, venne; e incontanente, a certo segno dato, da ogni parte insieme dagli aguati fu assalito. Tutti quelli, che erano con lui, furono morti; e Giugurta fu dato legato a Siila, e da lui menato a Mario. CAPITOLO XCI.
Come Mario fu chiamato consolo contra li Galli; e ritornò a Roma con grande trionfo.
In quel medesimo temporale incontra li Galli da’ nostri duchi Quinto Cepione e M. Manlio fu male combattuto: per la quale paura tutta Italia n’era suta in tremore. E quegl’Italici e Romani in quel tempo e fino a questo così stettono: che tutte altre contrade erano suggette e obbedienti a loro virtude; ma con li Galli per loro salvamento, non per gloria, combatterono. Ma, poi che compiuta la guerra in Numidia, e che Giugurta era menato preso, fu saputo a Roma; Mario assente fu fatto consolo, e diterminatogli la provincia di Gallia: e lo dì di calen di gennajo il consolo con grande gloria trionfò. E a quel tempo la speranza e la potenzia della città tutta in lui fu posta.
QUI FINISCE IL SALLUSTIO GIUGURTINO
Note
- ↑ fievole vale debole, di poca forza.
- ↑ chè ripensando tu contra ciò) Ripensare nel suo proprio significato vale pensar di nuovo; e, perchè il considerare non è altro che il pensar su di una cosa più volte, di qui ripensare si prende anche nel sentimento di considerare, come è qui adoperato.
- ↑ non è niuna cosa più gentile ne più bastevole) Con queste parole il nostro autore traduce il latino neque majus aliud neque praestabilius invenias. — Gentile, come sopra si è notato, anche qui vale nobile; e bastevole qui sta in sentimento di egregio, eccellente, prestante, o forse anche di durevole.
- ↑ gli manca) Anticamente usavasi gli sì per il maschile e sì per il feminile; oggi, per altro, al feminile dicesi le.
- ↑ miseria qui sta per ignavia: v. p. 71, n. 6.
- ↑ trasmuta e appone ad altri fatti) Il testo latino legge: suam quique culpam auctores ad negotia transferunt: e trasmutare, come notò il p. Cesari nel suo Vocabolario, qui sta per rivolger colpa o simile addosso ad altrui. Apporre, oltre al suo proprio significato di por sopra, aggiungere, si prende anche, siccome dice il Varchi, per dire che uno abbia detto o fatto una cosa la quale egli non abbia nè fatta nè detta; e così si vuole qui intendere.
- ↑ avessono tanto studio di buone cose) Studio qui vale desiderio. Vedi pag. 19, nota 9.
- ↑ prode sustantivo è voce antica da non usare, e vale lo stesso che prò, giovamento, utile.
- ↑ per lussuria e per miseria menano lor vita) La particella per si usa in innumerevoli modi, de’ quali molti si è incontrato di far notare in questo libro. Qui pare che stia in luogo di in o nel; ma non vogliamo tacere che come è qui usata non ci piace gran fatto: il che è stato per avere il buon frate voluto tradurre troppo letteralmente il latino, che ha per luxum atque ignaviam aetatem agunt: la qual cosa molte volte non si può fare per la diversa indole delle due lingue. — Miseria qui anche vale ignavia.
- ↑ intiepidire e incattivire lasciano) Intiepidire qui è preso metaforicamente, e vale perdere il fervore dell’affetto. E incattivire vale divenir cattivo, vile, abjetto.
- ↑ molte e istoriate arti d’animo) Con queste parole traduce le latine multae variaeque sint artes animi. Ars in latino viene adoperato anche per industria, studium; nel qual sentimento pare che debba prendersi in questo luogo; ma arte in questo significato non è registrato nel Vocabolario della Crusca, quantunque moltissimi esempii se ne trovino e presso gli scrittori del trecento, e quelli del cinquecento.
- ↑ sieno da desiderare) È qui da notare che elegantemente si tace l’affisso negl’infiniti dei verbi preceduti dal verbo essere con la particella da come in questo luogo; ed il Casa nel Galateo disse: Perciocchè non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide, e schife, e stomachevoli, ma il nominarle anche si disdice»
- ↑ virtudioso è voce antica da non usare, e vale lo stesso the virtuoso.
- ↑ per isforzamento di signoreggiare) Perchè desideriamo che gli studiosi non ’solo apprendano i pregi del nostro autore, ma ne schivino anche i difetti, facciam loro notare che questo costrutto è assai rozzo e duro, ed anche oscuro. La quale sforzata durezza ed oscurità e generata ed in questo ed in altri parecchi luoghi del nostro autore dal soverchio studio di esser breve; nè è mestieri qui ricordare che egli volle troppo seguitare il latino, non ricordandosi della sentenza di Orazio: brevis esse laboro, obscurus fio.
- ↑ tagliamento qui sta per istrage: ma oggi questa voce non è da adoperare.
- ↑ è lo stremo e l’ultimo di stoltizia) Stremo sust. masch. per estremo è adoperato qui in senso di del più alto grado. Ultimo si prende anche qui come sust. masch. e vale il massimo grado.
- ↑ (cioè disonorevole).
- ↑ è a grande utilità) Quando la preposizione a si trova appresso al verbo essere, vale di. Il nostro autore nel Catilinario disse: L’ozio e le ricchezze, cose desiderevoli dagli altri, furono loro a carico ed a miseria.
- ↑ non creda uomo che ec.) Uomo talvolta vale altri come in questo luogo; ed è maniera passata a noi dal provenzale e da usare ora con risguardo. Il Boccaccio nella nov. 7 disse: Veramente è questi così magnifico, come uom dice.
- ↑ la vita spartita in tutto dalla repubblica) Spartito vale diviso; e qui spartito dalla repubblica vale lontano da’ pubblici negozii.
- ↑ porranno nome di miseria e di pigrizia) Spesso dal nostro autore è adoperata, come qui, la voce miseria, la quale non si deve prendere in senso di sventura, di avarizia, o di povertà, ma in quello di dappocaggine; nel qual significato fu aggiunta dal p. Cesari nel suo Vocabolario con un esempio del Boccaccio, il quale non è così chiaro ed evidente come questo.
- ↑ andar cercando grazia per conviti o per simiglianti cose a poter pervenire agli onori) La prima cosa è da notare che per proprietà di nostra favella appresso a’ verbi andare, venire, stare, ec., invece dell’infinito si suole adoperare il gerundio. Ho proposto meco medesimo venirti mostrando; dice il Casa nel Galateo. La seconda, che spesso in vece della preposizione in si adopera per, come in questo lungo. Da ultimo nelle parole a poter pervenire agli onori, è da notare che elegantemente si suole adoperare la preposizione a nel senso di per, a fine di.
- ↑ e che maggior bene verrà alla repubblica del mio riposo che dell’altrui operare) Nota come sono ben composte le parti di questo costrutto, dal che viene la sua brevità e bellezza.
- ↑ che non si poteva attutare) Attutare vale quietare, spegnere, smorzare.
- ↑ chi è che non contenda di Ticchetta e d’avere) Contendere, oltre gli altri suoi significati, vale anche, come in questo luogo, gareggiare, emulare.
- ↑ Qui il volgarizzamento soggiugnele parole non dico con le immagini ma’, le quali, come quelle che ci pajono evidentemente intruse per altrui imperizia, sono state da noi tolte via.
- ↑ con niuno suo maggiore) Niuno talvolta vale alcuno, e così si vuole qui intendere.
- ↑ Eziandio uomini nuovi) Homo novus in latino dicevasi colui il quale, non avendo avuto maggiori chiari per ufficii o altri fatti nella repubblica, egli cominciava ad essere. In questo senso l’ha qui posto l’autore, toltolo di peso dal latino; ed il Vocabolario non pone niuno esempio. Vedi pure a p. 29 la n.ti.
- ↑ e tutti altri cotali ufficiche comunemente diciamo carica, più toscanamente dicesi officio, o ufficio.
- ↑ e più alto sono andato) Alto vale pure lontano: di qui dire e prender da alto, che vale cominciare a dire le cose da lontani principii.
- ↑ incresce e pesa assai ) Pesare metaforicamente vale dispiacere, dolere.
- ↑ al rigoglio degli nobili) Rigoglio, oltre gli altri suoi significati, vale anche, come in questo luogo, ardire, orgoglio, superbia.
- ↑ da lungi qui vai quanto da allo.
- ↑ Vedi la nota 2 a pag. 59.
- ↑ poi ebbe soprannome dalla sua virtude) Soprannome è quel terzo nome che si dà a chicchessia, sia in bene sia in male, preso da qualche cosa notabile che è nella persona a cui si dà. È da avvertire che anticamente fu il soprannome scambiato col cognome, il che oggi non sarebbe più da fare.
- ↑ e gran fatti di battaglie) Per proprietà tutta sua la voce grande suol troncarsi in gran, non solo nel singolare, ma anche nel plurale, e nel femminile altresì; come il Bocc., n. 69: Gran cosa mi parrebbe che il risapessi giammai.
- ↑ e finio lo imperio) Finio sta per finì, e non sarebbe più oggi da adoperare, se non in poesia. Così per gentilezza di favellare i nostri antichi fuggirono ogni troncamento che per l’accento riuscisse aspro agli orecchi; onde fecero andoe, hae, pietade, prode; ma quelli che sopravvennero, amando più la brevità, non vollero in questo seguitarli, e fecero andò, ha, pietà, prò.
- ↑ Par che sia modo ellittico, da sottintendersi fila o simili. Il testo latino ha aut in primis.
- ↑ metteagli paura) Nota bel modo, metter paura, che vale far paura.
- ↑ corrente qui è lo stesso che corrivo; e l’uno e l'altro vale disposto, inclinato.
- ↑ e che) La stampa leggeva E così. Abbiamo creduto fosse o mala lettura del codice, o di menanti. Il testo lat. ha praeterea.
- ↑ ziandio gli nomini mezzani per isperanga dipreda fa intraversare) Mezzano qui vale mediocre• Intraversare vale propriamente porre a traverso 9 attraversare; ma si prende anche figuratamente per uscir della via retta % del giù* sto; ed il Vocabolario in questo significato non pone altro esempio che questo dei nostro autore»
- ↑ e per tali molestie compreso) Compreso vale, oltre gli altri suoi significati, angustiatoed è registrato nel Vocab. con solo questo esempio.
- ↑ cavalleria qui vai guerra» milizia> di che vedi la nota 1 a pag, 6.
- ↑ leggermente di leggieri^ vai facilmente•
- ↑ divenne) Divenire vai diventare: ma si trova, come in questo luogo, per avvenire, e> come equivoco, non è oggi da adoperare.
- ↑ siccome uomo che era sollecito e di grande ingegno) Così traduce il nostro autore Te parole latine; e rat impigìv atque acri ingenio. Qui sollecito vale quello che noi diciamo anche attivo ^ cioè fattivo, operoso.
- ↑ (cioè consolo di Koma ).
- ↑ approvvedutamente vale con accortezza] ed il Vocabolario non vi pone altro esempio che questo.
- ↑ provedenzia*procedenza sono voci antiche, e valgono lo stesso che provvidenza; e provvidenza si dice il vedere o conoscere alcuna cosa, che dee essere, avanti eh* ella sia.
- ↑ faceva per Giugurta) Qui la particella per sta in vece di mediante, per mezzo. Vedi il nostro Trattato delle particelle.
- ↑ ne cominciamento niuno era, che non venisse ben fatto) Il latino ha: quippe cujus ne. que inceptum ullum frustra crat. Onde cominciamento <jui sta in iscambio dpruovaf impre. sa: e non ci pare bel vocabolo e da usare in questo senso*
- ↑ de* nuovi) cioè uomini nuovi-, di che vedila nota 4 a pag. 72.
- ↑ appresso loro compagni famosi ec. ) Qui il testo latino legge: a pud socios clari magis quam honesti. Sicché si vede chiaro che in questo, come in altri luoghi ancora, compagno è stato dal nostro traduttore adoperato per confe~ derato, allealo; non altrimenti che compagnia fu adoperalo per lega, confederazione} nel qual sentimento compagno non e registrato nel Vocabolario della Crusca.
- ↑ parlamento qui risponde al latino concio; che è propriamente discorso che si fa al popò«
- ↑ adusare, come fu altrove avvertito, vale assuefare e si usa, così come nell’alt., nel neut. pass* ancora; ma nel neut, assoluto, come è qui adoperato, non incontra di trovarne spessi esempli, e solo con questo il pone il Vocabolario.
- ↑ la sua pecunia • • . • verrebbe a niente) Qui il testo latino ha: sin properantius pergeret$ sua mei ipsum pecunia praecipitem casarum; e pare che il traduttore non l’abbia bene inteso; perocché Sallustio qui vuole significare che Giugurta,se avesse voluto affrettare il suo in« grandimenlo per mezzo del suo danaro, per questo stesso suo spendere sarebbe rovinato.
- ↑ grandissima a dismisura) Il testo lai. lia long e maxima. Cosi troviamo in latino ed in italiano longe nobilissimus e molto nobilissimo, giustissimo, ec.
- ↑ piccolo te .. . nel mio regno ti ricevetti ) Non vogliamo tacere che il traduttore, per aver qui seguito troppo la collocazione latina, ha sforzata un poT indole della nostra lingua; e però si guardino i giovani d’imitare si fatti esempii. Nondimeno ci piace di lor mostrare come con piccolissimo mutamento questo periodo può farsi naturalissimo ed elegantissimo, dicendo cosi: Giugurta9 avendo tu pìccolo perduto tuo padre% essendo senza ricchezza e senza speranzat nel mio regno ti ricevetti, pensando ec.
- ↑ eh1 io ingenerato avessi) Ingenerare vai lo stesso che generare.
- ↑ m* hai molto onorato, me e tutto il mio reame, cioè hai molto onorato me e tutto il mio reame. £ vogliamo che si noti come quel mi è un pleonasmo: chè sovente incontra ài trovare usata al medesimo tempo la particella pronominale ed il pronome: ma queste cose si possono imitar solo da chi è molte pratico della lingua e dell’arte dello scrivere.
- ↑ mi fa fine di vita ) 11 latino ha: miài natura vitaefinem facit • e pare che il buon frate abbia qui troppo secondato il latino.
- ↑ per q.mano destra; lat.per hanc dextram.
- ↑ tesauro k vece antica, ed è lo stesso che tesoro: ed oggi si userebbe solo io poesia.
- ↑ Abbiam posto/* io vece di et sulla valida autorità del testo latino.
- ↑ per discordia le grandissime tracorrono) Tracorrere,voce antica, e lo stesso che trascorrere, qui vale disfarsi, rovinare; ed è riportato in questo senso dal Vocabolario di Napoli col solo esempio del nostro autore.
- ↑ onorate e osservate cotale uomo come e questi) Qui il verbo osservare vale rendersi alcuno benevolo, dargli riverenza e ossequio.
- ↑ seguitate la sua virtù) Seguitare, oltre le altre sue significazioni, si usa ancora, come in questo luogo, per imitare.
- ↑ rispose benignamente, secondo il tempo) Tempo alcuna volta vale occasione, opportuni tà re così si vuole qui intendere.
- ↑ H testo lat. ha regul19 cioè piccoli re.
- ↑ furono insieme per trattare e ordinare de* fatti del reame) Essere insieme con uno vale trovarsi con alcuno, abboccarsi con lui; e si dice ancora essere con alcuno.Vogliamo avvertire che essere insieme t stato aggiunto in questo sentimento al Vocabola rio del Manuzzi con un esempio del Cecihi, al quale potrebbe aggiungersi ancora quest’altro, che è più spiccato e chiaro.
- ↑ la qual cosa appresso a quegli di Numidia è tenuta ad onore) Queglif plurale, quando è seguito da un genitivo di un nome di luogo, come quei di Napoli quei di Genova, vale i cittadini o gli ubitatori di Napoli f # cittadini 0 gli abitatori di Genova. Notiamo anche nelle parole tenuta ad onore il significato della particella a, che in questa luogo vile per; onde il Boccaccio disse: Non Vabbiano gli uomini a male.
- ↑ tutti gli ordinamenti. . . dovessono essere cassati) Cassare qui è posto in sentimento di annullare, togliere vigore ed autorità.
- ↑ per le quali Jemsale ad inganno fosse compreso ) 11 verbo comprendere qui è usato in sentimento di prendere„
- ↑ raumiliare vale tor via l’ira, mitigare.
- ↑ si terminassono i confini) Terminare vale propriaineute, come è qui da intendere, porre termini, cioè contrassegni o confini ì tra Vuna possessione e l’altra.
- ↑ partire della pecunia% cioè dividerla.
- ↑ tornare vale in questo luogo albergare. Nel Sacchetti, nov. 185, si legge: Uscendo la mattina delV albergo de? Mucci, ove tornava, andava ec.
- ↑ che era d’uno masnadiere prossimo di Giugurta ) Il testo latino ha: proxumus lictor Jugurtae. E proxumus lictor dicevasi appresso a’Komani quel littore che andava innanzi al magistrato, e gli era più da vicino. Il perchè pare cheil traduttore, per ignoranza de* costumi e delle usanze de’Romani, non abbia beninteso il senso di queste parole.
- ↑ serraglio qui vale serratura, serrarne; nel qual sentimento fu aggiunto al Vocabolario di Napoli,ma non con esempii di buono autore; e potrebbevisi sostituir questo.
- ↑ ma la fama di così gran male fu manife sto e ragionato) Ne’ tempi composti de’ verbi, il participio quando è congiunto con avere si ac corda onon si accorda.sepondoche meglio piace, al nome al quale si riferisce;quarido con essere, si deve accordar sempreje però qui dovrebbe dirsi fu manifesta e ragionata: ma forse manifesto e ragionato si è voluto dal traduttore riferire a male, anzi che a fama,& che l’apparente disaccor-« do grammaticale.
- ↑ altro talvolta vale rimanenteonde qui Poltro vale il rimanente., la rimanente parie de’ JSumidi: ma al modo come è adoperalo qui oggi non sarebbe da usare.
- ↑ ariento e voce antica,ed e Io stesso che argento, e poi accattino de1 nuovi) Accattare, oltre agli altri suoi significati, vale ancora procacciare, acquistare; e così si vuole qui intendere.
- ↑ oste qui sta per ospite. Vedi la nota 6 alla pagina 68.
- ↑ gravemente qui Tale rigidamente.
- ↑ fu dato loro il consiglio, cioè fa loro dato o conceduto di venire in senato; chè il latino ha: senatus utrisque datur. Questo luogo non ci par ben tradotto.
- ↑ la procurazione tenessi per mia) Procurazione qui vaia cura, governo; e la particella per è adoperata in senso di come. 11 Boccaccio, ti. 9. N. 6, disse: /■. di dire le parole che tu sogni per vere.
- ↑ guarnimento del reame avrei ) Guarnimento risponde alla voce latina munimenta, e vale fortificai ione, difesa o fornimento di cose necessarie a difendersi.
- ↑ uomo sopra tutti quegli,che la terra sostiene, più sceletatissimo) Più talora si trova accompagnato con aggettivi superlativi e comparativi, come in questo luogo; ma o non ma» o è da imitar con moltissimo risguardo.
- ↑ venture qui s’intenda fortune, beni.
- ↑ e secondo a questo ) Secondo vale talvolta dopo: onde qui secondo a questo è lo stesso che dopo questo.
- ↑ Queste parole sono aggiunte dal traduttore; chè il lesto non ha che: cogor prius oneri qaam usui esse.
- ↑ nonprovviso e modo antico, e vale improvtedatamente: è registrato nel Vocabolario con questo solo esempio; e, io luogo di a non provetto, vi si legge a non provvisto.
- ↑ ilfratei in mio e prossimano ) Prossimano è voce antica, e vale prossimo-,? qui sta in luogo di congiunto di sangue, di parentela.
- ↑ come io avea udito dire e predicare al mio padre) È da notare che, per eleganza e proprietà di nostra favella, invece di dire udir dire da mio, padre, si dice udir dire a mio padre] invece di lasciar fare da uno, lasciar fare a uno’, e così si fa pure di altri verbi.
- ↑ questo è in vostra mano ) Essere in mano i bel modo, e vale lo stesso che essere in potere, essere in balia,
- ↑ egli fosse congiunto e una cosa con noi) Essere una cosa con uno vale essere un altro lui; ed è bel modo di dire.
- ↑ aj ut amento, non altrimente che ajutorio, è voce antica, ed è lo stesso che ajuto.
- ↑ diede luogo alla sua natura ) Questa frase è tolta di peso dal latino, che ha naturae con cessila e vale morire.
- ↑ stessono interi a me) Stare qui sta in luogo del verbo essere, adoperato alla latina in sentimento di avere: onde se tutti gli beni .... stessono interi a me, vale se io avessi tutti in teri i miei beni. Questo modo di dire vorremmo che fossa lasciato a quelli che sono somma ment*1 pratichi delle cose della lingua.
- ↑ di ogni onorevoli cose bisognoso) Ogni anticamente si usò anch • al plurale, come vedesi qui; ma oggi non sarebbe da così fare.
- ↑ cui di ajutorio dimanderò, Il testo a stampa leggeva: cui ajutorio dimanderò?,* e, per la costruzione e chiarezza del seguente inciso, al Betti, così come a nsi, è parutodi aggiungere il dì.
- ↑ che nuove compagnie nè patti noi non dovessimo prendere) Qui compagnia sta per unione, lega9 come compagno alcuna volta si trova adoperato in senso di allento. Nel Villani leggiamo: Con loro re, chiamato Lotario, fece lega e compagnia contro il detto imperadore.
- ↑ faticano ciascuno di voi ) Faticare qui sta nel proprio significalo, del tutto latino, cioè con istanza e con ogni opera cercar di piegare e vincere Paltrui volontà.
- ↑ cadimento e voce antica, ed e Io stesso che aaduta; e qui sta per rovina, o morte.
- ↑ paternale e lo stesso chepaterno f ma e voce antica da non adoperare.
- ↑ agguardamento è voce antica, e qui vale Io stesso che spettacolo.
- ↑ s% io proseguiti la ingiuria tua ) Proseguitare qui sta per vendicare; chè il latino ha persegnar: ed in questo sentimento non è registrato nel Vocabolario.
- ↑ Pare che debba aggiungersi un di.
- ↑ dessi Iato e luogo alla ingiuria ec.) Dare lato vai lo stesso che far luogo.
- ↑ Questo da voi è aggiunto dal traduttore f e pare che debba intendersi per cagion vostra.
- ↑ Il volgarizzamento avea dispuosono.
- ↑ Abbiam messo fautori in cambio di facitor19 che è nella stampa. Il testo latino hzfautores.
- ↑ Per grazia spervertita ) Spervertito è lo slesso che pervertito, ed è voce antica da non adoperare*
- ↑ 11 testo *.so%%xì%azccterumvitia sua callide occultans. I/editor fiorentino traduce: d’altronde accorto neWoccultare i proprii difetti!
- ↑ che l’donare del re era famoso e isvergo gnato) Famoso vale di gran fama, e si adopera in buona ed in mala parte: nella buona vale in• signef noto; nella cattiva impudente, infame9 disonesto9 come in questo luogo.
- ↑ egli) La stampa leggeva e egli. Abbiam tolta via IV, che ci è partita intrusa.
- ↑ avendo ucciso ec.) Secondo il testo, il quale legge C. Gracco et /17. Fulvio interfectis, si sarebbe dovuto tradurre essendo stati uccisi; dappoiché non da L. Opimio, ma sotto il suo consolato furono quelli uccisi.
- ↑ la quale con Mauritania si confina) Del verbo confinare non ci è incontrato di trovarne altro esempio in forma di neut. pass., com’è in questo luogo; ed e registrato nel Vocabolario di Nap. con solo questo esempio; «he l’altro aggiunto dal Manuzi è tolto dal Magalotti,e malamente arrecato in mezzo, essendo di forma neut.ass.
- ↑ p!ù di$n110Sa P^r bellezze che per usare) li latino ha Ulani alteram, specie quam usa potiorem. Usas in latino si prende anche per frutto, uti/e, prò; ma usare in italiano non si trova mai adoperato in questo senso: perche abbiam creduto doverne avvertire i giovani.
- ↑ ne direi la contanza del vero ) ( ontanza e voce antica da non adoperare, e vai lo stesso che contezza.
- ↑ (cioè discesa),
- ↑ (cioè affricani).
- ↑ in brieve fa discorsa) Discorrere qui vale disfarsi; c il Vocabolario non ne arreca altro esempio clic questo.
- ↑ casa/ino 9 diminutivo ili casale, qui vale piccola casat tugurio] e fu aggiuntodal Cesari al suo VocaboL con questo esempio del nostro autore; come anche casale in questo sentimento.
- ↑ cine non istanti ).
- ↑ cioè verso il meriggio).
- ↑ chiamando a barbara lingua ) Qui la par ticella a, come è stato avanti avvertito, sta in luogo di con.
- ↑ affare vale propriamente, in questo luogo, condizione, stato. Cosi* leggiamo nel Tesoro di tfr. Latini: / savii antichi dissero molte cose delP affa r del mondo, e di molte dissero la veri/ade.
- ↑ ( là dove è oggi la città di Buggea ).
- ↑ (là dove è oggi la città che si dicé Tripoli di Baibaria),
- ↑ fine qui sta per confine., termine: ma in qawto senso è oce poco usala, e più comunemente si trova di genere maschile.
- ↑ area novellamente avuti ) Novellamente è lo slesso che poco fa, teste.
- ↑ erano sotto Giugurta) Essere sotto di alcuno vale essere sotto il comando, sotto la signoria di alcuno. Il Guicciardini nel/e sue Storie disse; Il re concedette contro a* vicarii ec. trecento lance sotto Ivo d’Allegri a spese proprie, ec.
- ↑ donamento è voce antica da non usare, e vale lo stesso che dono.
- ↑ Non vog’iamo lacere che in questo inciso la trasposizione è alquanto sforzata, e meglio sarebbe stalo dire: pose tutto il suo animo in avere il regno di Aderbale.
- ↑ (cioè Aderbale ).
- ↑ era più guernito delP amistà ec. ) 11 teste qui ha ami citi a pop ali romani magis quan ti ami dis fretus erat; onde pare che f. Barto Ioni meo dia alla parola guernito la forza di munito, provveduto, afforzato.
- ↑ pertanto vale propriamente perciò; ma fu adoperato in sentimento di non pertanto, non di meno, come in questo luogo, ed in altri molti ancora del nostro autore; ma noi non consiglieremmo i giovani di usarlo oggi a questo modo.
- ↑ avendo egli innanzi cercato via di battaglia ) Così traduce il latino tentatum antea (bel lumi; e però quel via sta in sentimento di modo, di maniera, mezzo: ed è bene vederlo nel Vocabolario.
- ↑ poiché si vide a tanto condotto ec.) A tanto è modo proprio di nostra lingua, e vale a tal termine, a tal condizione; proprio l’eo de* Latini, come si può vedere nel testo: e si dice anche a tale, che vale lo stesso.— Condotto qui sta in iscambio di ridotto: e questa voce molto elegantemente si adopera pure in questo sentimento.Cosi nella Tavola Hitonda leggiamo: Si lo feria arditamentef e avealo già a tale condotto, che Lancillotto non si potea quasi più veramente difendere.
- ↑ assalirono Poste de*nemici) Oste, come altre volte abbiamo avvertilo, vale anche esercito, e talvolta vale ancora il campo nel quale è radunato l’esercito, gli alloggiamenti; ed in questo sentimento è da intendere in questo luogo, Quest’esempio potrebbe aggiungersi al Vocabolario, dove è stato aggiunto con due esempii tolti dalla versione di Vegeiio.
- ↑ sonnoloso è lo stesso ehe sonnacchioso, ma è voce antica da non adoperare.
- ↑ e se non fosse la moltitudine ec. ) Se non fosse qui sta in luogo di se non fosse statof come dovrebbesi dire oggi che è ben fermata la grammatica; ed e questo un bel modo di nostra lingua breve e riciso . il quale l’abbiamo pure nel nostro dialetto, dicendosi, per modo di esempio: se non era per tuo padre, per tef io sarei morto, ec.
- ↑ (li detti Romani «hiama Sallustio togati per certo vestimento eh* usavano ).
- ↑ e con gatti e con torri e con dificii) Gatto e una specie di macchina da guerra che usavano gli antichi, Di fido è voce antica ed è lo stesso che edificio, e qui sia ancora per macchina da guerra; ma o^gi in questo sentimento non è da adoperare.
- ↑ ebbe inteso ec.) Il verbo intendere9 quando è adoperalo in sentimento Ai sentire, udire, si costruisce o senza prepostone, o più fiorentinamente colla preposizione */,come vedesiin questo luogo.
- ↑ 11 testo latino ha di più: de controversiis suis ju re poti us quam beilo di se ep tare.
- ↑ la qual cosa poich’egli avea trovato) Tro• vare qui sta in sentimento di conoscere, avvedersi 9 sentire.
- ↑ manderebbe brievemente ambasciadori a Roma) Brievemente qui vale in breve tempo, fra poco; ed è stato aggiunto al Vocabolario di Napoli con questo esempio.
- ↑ per forza o per tradimento cercava) Cercare per adoperarsi, nel qual senso ci par che qui sia, è notato nel Vocabolario; ma gli esempii, che si arrecauo, non sono punto acconci. Il lat. ha; autpervim, aut dolis tentare9 cioè urbem, o expugnationem.
- ↑ ma questo tanto av veggio io) Primamente si noti che tanto qui sta per solo, solamente; appresso vogliamo che si ponga mente a questo partirolar costrutto con cui è usato il ver* bo ravvedere, il qual si vede reggere il quarto caso; ed è anche così notato nel Vocabolario con due esempii: ma a noi pare che oggi non sia da adoperare a questo modo.
- ↑ e niente s’appartenga a voi) Il niente qui par che stia in iscambio di niuna parte di quelle cose, e perciò l’autore l’ha congiunto col verbo al singolare: costruzione da non imitare.
- ↑ 11 lat. ha regnum vestrum.
- ↑ quelle cK io innanzi nel senato lamentai) Lamentare si usa in forma neutra, neutra passiva, ed attiva; e quando è usalo in forma attiva, come in questo luogo, allora significa compiangere. deplorare.
- ↑ al reame di Numidi a. . . . come vi piace consigliate ) Consigliare in questo luogo è adoperato alla Ialina in sentimento di provvedere; che l’originale dice: regno Numidiae,quod test rum est, uti lubet consulitr.— Ci piace di qui avvertire che in questo sentimento non è registrato nel Vocabolario; ma, quantunque l’autorità di frale Bartolommeo sia di gran peso, pure non consigliamo a’giov.ini poco pratichi dell’arte dello scrivere di adoperarlo in questa significazione.
- ↑ per privata grazia fa riuto)ì.’ originale ha: ila bonum publicum, ut in plerisque negotiis so/et^ privata gratia dcvictum. E non vogliamo tralasciar di dire che questo è uno di quei luoghi dove il nostro buon frate ha troppo puntualmente assecondato il latino. Dappoiché, diceudoche il bene comune per privata grazia fa vinto, riesce un poco oscuro, e avrebbe dovutoforse allargare un pocolino, e dire che/"" conculcato il ben pubblico per favorire a privati uomini.
- ↑ uomini antichi e nobili) Antico qui sta per vecchio semplicemente, ed è proprio di nostra lingua.
- ↑ immantenente è lo stesso the immantinente, ed è voce antica
- ↑ erano venuti con’rn il tuo cominciato ) Il Vocabolario della Crusca spiega la voce comincialo per cominciamcnto, principio, ed arreca quattro esempii, tra i quali questo di frate Bar-tolommeo, il quale a noi non par bene allegato: chè qui cominciato è stato usato dal nostro frate per tradurre inccptum dell’originale, che vale impresa: ma nondimeno sappiano i giovani che in si falla significazione questa è voce vieta ed antica.
- ↑ non sapea qual fare, cioc non sapea che fare,ovvero non sopea qualcosafare, come pare che avrebbe qui dovuto dire il traduttore, se pure egli non iscrisse qual cosa, e per isbadataggiue de’eopiatori non sia stata tralasiiata la voce cosa.
- ↑ sì era a quello che cominciato avea) Il verbo essere, seguito dalla particella a f precedente a verbo, o a nome, come in questo luogo, vale talora essere volto, inchinato, essere inteso. Nelle Vite de’Santi Padri si legge: Gli oc» chi di Dio sono a provvedere sempre quelli che l’temonof
- ↑ si partirono non facendo nit ni e, cioè senza aver fatto niente .11 lat. ha: frustra discesse te.
- ↑ per la virtù de9 quali) Virtù talvolta si adopera in sentimento di valore, coraggio, come è da intendere in questo luogo. Il Guicciardini nelle sue Storie die e: Il duca d’Urlino ec.,stimando forse più che non era giusto la virtù delle genti spagnuole e tedesche »... aveva fisso ne IP animo ec.
- ↑ alleggerai è voce antica, e vai lo stesso che alleggerire.
- ↑ ingegnoso qui sta per sagacey o di sveglialo ingegno. Il lat. ha acer.
- ↑ fece avvedete al popolo di Roma) É qui da notare che il verbo avvedere e usato in forma di neut. ass., e così non è registrato nel Vocabolario della Crusca; nè sapremmo noi consigliare di così usarlo*
- ↑ gli dovesse essere in lutto perdonalo) Questo è un altro esempio, dove il participio non si vede accordato col nome sustantivo posto avanti; di che vedi la nota 2 a pag. 79.
- ↑ Pare che in quésto luogo non abbia il traduttore dato bene nel segno; e però ci piare di arrecare le parole dei testo: Ac ni C. Memmius, tribunns pi e bis designatus, v ir acerei infestus potentine nobilitatisi populum romanum e docuisset id agif utiperpaucos factiosos Jugurtae scelus condonaretur profccto omnis invidta, prolatandis consullaliouibus $ dilapsa foret.
- ↑ venne Italia ) Venite qui sta per toccare.
- ↑ si scrivea Poste) Vedi la n. 7 alla pag.36.
- ↑ ucciso Jemsale, cioè: poi che fu ucciso Jemsale.
- ↑ avvenissono) Questo verbo non incontrasi in Crusca nel significato del latino aggredii* ci pare bel modo. II Cesari nelle sue giunte, recando in mezzo questo lungo, dà al verbo italiano il significalo dei latino adire9 cioè andare a.
- ↑ dimandò consiglio dal senato, se piacesse loro ec.) Vogliamo che igiovani considerino al*» lentamente questa maniera di dire propria di nostra lingua, la quale è al tulio latina, ed è breve e ricisa: chè si tralascia in auesto modo più parole, le quali qui esser potrebbero: per tapere, per intendere, oppure cioè.
- ↑ e anche Giugurta in persona) In persona è bel modo toscano, che l’abbiamo anche nel nostro dialetto, e vale personalmente, da se slesso: e dicesi anche toscanamente in petto e impersona, che vale lo stesso, ma ha maggiore
- ↑ approweduto e lo stesso eht accorto, cauto.
- ↑ guati) Vedi a pag. 31 la n. 7.
- ↑ apparecchiato tutto fornimento) Fornimento si dice di tutto ciò che fa di bisogno altrni per qualche particolare impresa o affare. Vogliamo ancor fare avvertire a’giovani che il tacer l’articolo innanzi a’ nomi, come vedesi qui taciuto innanzi a fornimento, e in moltissimi altri luoghi di questo volgarizza mento,è maniera antica, da non imitarsi oggi se non in alcuni casi, come abbiamo detto nella lettera posta in fronte a questo libro.
- ↑ it cominciò a tastare di moneta ) Tastare, come abbiamo avanti avvertito, qui sta adoperato figuratamente per tentare; e la particella di sta in luogo di con.
- ↑ tenea mano a questo fatto) Tenere mano k bel modo di nostra lingua, e vale esser complice o consenziente: e nello stil comico e famigliare dicesi flirt tenere il sacco. Onde leggiamo nel Gelli, Sport. 2. 1: Io dubito che co stui non sia anche egli un tristo, e tengagli il sacco. E prendesi sempre in mala parte.
- ↑ ordinò di tutti trattamenti e patti fare con loro egli in sua presenza) Non voghamo tacere che questo luogo è alquanto oscuro per la mala collocazion delle parole; e si noti ancora che trattamento qui sta per trattato, ma in questo senso è voce antica.
- ↑ fidanza qui sta per fede, pegno di fede; ed il latino dice Jidei caussa.
- ↑ andamento, per Vandare: poco usato.
- ↑ e) Abbiawo aggiunto questV, confortati dal senso e dal testo latino.
- ↑ leofante si disse anticamente per elefante.
- ↑ lo*mpedia dalla verità e dal bene) Impe dire uno da una cosa vale tenerlo lontano da quella: e questo verbo impedire si usa col se tondo, col terzo, quarto e sesto caso ancora, e n’escono belli e recisi modi di dire. Veggasi il Vocabolario della Crusca.
- ↑ rivenderla è il vender che si fa da’pubblici magistrati la giustizia: che dicesi ancora baratteria.
- ↑ rigoglioso propriamente vale rigoroso, che ha rigoglio, vigore, forza; ma qui sta figuratamente per superbo.
- ↑ dicitore qui vale oratore, aringatorc } c si adopera pure in sentimento di scrittore.
- ↑ (cioè popolo di Roma ).
- ↑ ragione niuna ) Ragione qui sta in iscambio di diritto; e si ha ad intendere: vedendo ni un diritto mantenuto.
- ↑ già è quindici anni te.. ) Questo luogo, non sappiamo se per difetto del traduttore o de’ copiatori, non è abbastanza chiaro; e, se l’inciso già è quindici anni non fosse collocato dov’è, procederebbe forse maglio la clausola*
- ↑ a? vostri nimici non ardite di levarvi) Cosi traduce il Ialino ne nunc quidem obnoxiis inimicis exurgitis. Onde qui la particella a sta per contro; ma non è bel modo di dire certamente; chè ha del perplessa e dall’oscuro,
- ↑ che voi incontro ec. ) Kcco un altro di quei modi brevi e ricisi, e più chiaro ancora dell’altro notato avanti a pag, 93, n. 9: che chi non We pratico della lingua, muterebbe qui certamente un cioè, o più altre inutili parole.
- ↑ molti dsfvostro ordine ) Ordine è propria* mente quello che dicesi volgarmente classe, ceto . e questo vocabolo è stato aggiunto al Vocabolario dal Manuzzi con due esempii,uno di F. ► Villani, l’altro del Salvini; e questo del nostro traduttore dovrebbe essere ivi pure aggiunto.
- ↑ t utte le stampe di«l testo latino hanno sane fuerit regni para*io plebi jura sua restituere: perloche dopo la parola Roma del volgarizzamento le altre e sia sembrano intruse»
- ↑ ca n*ri qui sta per aerarium de* Lilini » che è quel lunjo, dove si ripone il danaro del pubblico. ìVl. Villani nelle sue Storie disse: Li beni, quali erano incorporati al la camera del comune.
- ↑ ma vannovi per bocca ec. ) Il testo qui leg- ge: sed incedimi perora ve tira magni/ice, sacerdolia et consulatusy pars triumphos suos ostentantes ec*; e però si vede che quello van* novi per bocca è stato adopera’o dal traduttore per significare incedunt per o a vestra, cioè vanno al vostro cospetto, sotto i vostri occhi; ma non par che sia frase da potersi imitare, che è oscura ed equivoca, essendoci l’altra frase andar per bocca o per la bocca, che significa il parlar che si fa di una cosa frequentemente da tutti.
- ↑ li volgarizzamento avea bontà. Si è posto pietà sul l’autorità del testo latino.
- ↑ tanto è massimamente sicuro) Si vegga la nota 6 alla pag. 80
- ↑ ma se voi aveste ec. ) Vogliamo che qui si avverta primamente il come posto in corrispondenza di quanto, che è maniera poco usitata, e da non imitarsi almeno da’giovani, Appresso vogliamo pure che si ponga mente a quel nè9 che non si vede ripetuto avanti le parole gli vostri beneficiti e questa e una proprietà di lingua, essendoché non di rado si vede tralasciata da’buoni scrittori, dando alla congiunzione e quasi la forza di riferirla * e per tutti gli altri usi di questa particella veggasi il nostro Trattato delle particelle ed il Vocabolario della Crusca del Manuzzi.
- ↑ franchigia propriamente vai libertà; e^ui così è da intendere.
- ↑ al nimico tradirono lor patria ) Tradire qui è usato alla latina in sentimento di dare in mano9 dare in potere con tradimento. Così ancora il Villani disse; Cercò trattalo con certi della città di Lodi, che gli dovessero tradire la terra.
- ↑ domando è voce antica da non usare, e vai Io stesso che domanda# dimanda.
- ↑ Il testo ha di più atque paces.
- ↑ assai avevate pur di mantenere la vita, cioè credevate una gran cosa il mantenere la vita: chè avere si usa talvolta in sentimento di giudicare, stimare, credere; e assai si usa pur sovente per molto.
- ↑ disposta a tornare in pestilenzia ) Tornare, oltre alle altre sue significazioni, vaie pure divenire, riuscire, come • da intendere in questo luogo; e pestilcpzia è qui figurai, adoperato per rovina grande.
- ↑ Si è tolto un che,onde venia nocumento alla chiarezza della sentenza.
- ↑ converravi sta in iscambio di converraeei: chè gli antichi solevano negli affissi de’verbi terminanti in vocale accentata non raddoppiar la consonante.
- ↑ diritto qui vale giustamente, a ragione.
- ↑ Par che manchi un più.
- ↑ Memmio fece col popolo et.) Fare in questo luogo significa adoperarsi, ingegnarsi: onde leggiamo ne’Fiorelti di S. Francesco: Fedo• no tanto col generale, che gli mandò l’obbedienza.
- ↑ fosse mandato per Giugurta ) Mandare per uno è bel modo di nostra lingua, e v^Je mandare a chiamare uno, farlo venire a sè: onde qui fosse mandato per Giugurta, si ha ad intendere fosse mandalo a chiamare Giugurta.
- ↑ le rivenderle di Scauro) Vedi alla pag. 9$ la n. 4.
- ↑ seguitando ilcostumedello ’mperadore suo) Imperadore qui sta adoperato per capitano,alla latina; che i Latini dicevano imperatores a quei che avevano il supremo comando delle armi; e forse anche oggi da chi ben sa la lingua potrebbe adoperarsi in quest • sentimento parlandosi degli eserciti romani, o traducendo dal latino. — Suo sta per loro.
- ↑ 11 testo latino ba di più practor.
- ↑ miscricordievole qui vale compassionevole, da muover misericordia.
- ↑ 11 testo Ialino ha torneisi in ipso magna vis animi erat: vi potesse leggeva la stampa: abbiamo,col parere del Betti, cambiato il vi in si, dicendosi con antica eleganza si potesse assai, cioè potesse assai di sè.
- ↑ acciocché fosse per lai) Essere per uno è lo stesso che essere della parte di uno, ajutorio, favorirlo; ed è bel modo di nostra lingua.
- ↑ rammollia loro animi) Rammollire qui è adoperato figuratamente, in sentimento di piegare, indurre a far checchessia.
- ↑ egli il vuole più manifesto avere da lui) Avere, oltre delle altre molte sue significazioni, ha ancora questa di risapere, aver notìzia.
- ↑ e sua potenzia e avere) Qui il testo Ialino legge: sed se suasque spes corrupltirum; però bisogna pensare che nel codice usato dal frate, in luogo di spes, fosse opes.
- ↑ sia a mal passo) Essere a mal passo vale trovarsi in pessime condizioni: e questo modo fu aggiunto al Vocabolario di Napoli con questo solo esempio.
- ↑ e di volere muovere le cose ) Muovere qui sta per ri mutare^ cambiare.
- ↑ artefice propriamente vale escrcitatord}arte qualunque; ma qui è usato figuratamente per autore, operatore.
- ↑ Onde Bomilcare ec.) Il testo lat.qui legge: Et reus magis ex aequo bonoque, quam ex jure gentium Bomilcar, Comes ejus, qui Ito* mamfide publica venerai. Intendi che Bomil care,come compagno di Giugurta,e che era venuto a Roma sotto la fede publica^ o col salvocondotto, non potea essere preso e giudicato; ma, per l’equità naturale, essendosi latto colpevole, di grave delitto, fu riputato reo, ec.
- ↑ non restò mai di sforzarsi) Restare, oltre delle altre sue significazioni, si adopera ancora in sentimento di cessare, rifinare e così è da intendere in questo luogo.Coj>i il Boccaccio: Or volesse Iddio che mai ... questa grandine non restasse.
- ↑ tatico è Io stesso che ostaggio.
- ↑ vendevole qui è lo stesso che venale; ma oggi si adopererebbe meglio per agevole a vendersi, facile a trovarsi a comperare.
- ↑ di tanta fretta ... fosse tanto indugiato ec. ) Primamente si noli quel di, che sta in luogo di da; e pì>Ì il verbo indugiare 9 rhe qui e adoperato assolutamente, e si usa ancora come att.*e neut. pass.
- ↑ contrastanti loro gli altri loro compagni) 1 nostri antichi spesso usavano il participio presente alla maniera latina; ma oggi si usa in iscambio il geru dio, quantunque si possa pure talvolta adoperare il participio, ma questo si ha solo a fare da chi è ben pratico dell’arte dello scrivere.
- ↑ addutto in isperanza ) Addutto è antica uscita del participio del verbo addurre, ed oggi è da usare addotto: ed addutto in isperanza qui sta per indotto in isperanza.
- ↑ vernare vale propriamente dimorare il verno in alcun luogo: e dicesi anche svernare.
- ↑ per la crudeltà del tempo ) Crudeltà qui è adoperato figuratamente per crudezza, asprezza e ci par bella metafora.
- ↑ acconcio, quando è sustantivo, significa comodo, pro} utile, ed ancora destro, occasione, come fu avanti avvertii*; ma qui sta per sito ^opportuno, situazione vantaggiosa; ed io questo sentimento fu aggiunto dal Cesari al Vocabolario con questo esempio.
- ↑ prerutto è voce tolta di peso dal latino, che vale discosceso, dirupato.
- ↑ padule è lo stesso che palude; ma è meglio oggi usar palude.
- ↑ Qui era vie: consigliati dal testo latino, abbiam posto vigne.
- ↑ facea vigne e terrati) Vigna era una macchina antica da guerra, che poco differiva dal gatto: e ferrato, che è voce antica, vale riparo fatto di terra; ed oggi è a dire terrapieno.
- ↑ il suo malo intendimento e opere che facea) Si osservi questa locuzione, che ben da essa si scorge quanto vada errato alcuno odierno grammatico che dà per regola ferma e costante, che, posto l’articolo al nome che precede, debbasi porre ancora a quello che siegue; e qui si vede, e molti altri esempii se ne potrebbe arrecare in mezzo e del trecento e del cinquecento, che bene si può tralasciare, anzi è questa proprietà di nostra lingua, per la quale si tralascia l’articolo al nome che segue, ancora che sia d’altro genere.
- ↑ Il latino ha duces turmarum; e il traduttore, seguendo l'uso de’ suoi tempi, ha tradotto queste parole col vocabolo conestabili, che propriamente significava capitano di soldati.
- ↑ perocch’era lo sforzo de' nemici grande) Sforzo qui vale esercito. Appresso il Villani leggesi: Gli si fece incontro con tutto lo sforzo d'Italia.
- ↑ per gli nuvoli oscurato) Nuvolo è lo stesso che nuvola o nube: ma nuvolo e nube sono dello stile alto, nobile, poetico; e nuvola dell’umile, del famigliare, del comico. Onde non vogliamo tralasciar di avvertire i giovani che, quando noi diciamo che una voce o una locuzione è sinonima di un’altra o di più altre, non intendiamo che si possano tutte egualmente adoperare l’una in iscambio dell’altra in ogni specie di scrittura, ma si vuole andar con molto giudi- zio in questo: chè una voce o modo di dire può bene adoperarsi in una maniera di stile, e in un’altra non istarebbe bene.
- ↑ (cioè cinquecento militi lombardi ).
- ↑ (cioè 60 militi di Grecia ).
- ↑ ( cioè dalla minore condizione ).
- ↑ passarono al re) Il verbo passare qui è adoperato per signi fi* » re l’abbandonare che fanno i soldati il loro campo e andarne all’inimico, ed è bell’uso di questa voce breve e significativo, e non è stato finora registrato, e meriterebbe di essere.
- ↑ e H centurione della prima bandiera) Bandiera ben si adopera a sigaiiicare, come ia que sto luogo, un drappello di soldati che stanno sotto la bandiera. Così nel Villani; Gli era scemato soldo, e partita sua masnada a più bandiere. (d) (ciò si facea in segno di giogo e servitù).
- ↑ facendoli tutti andare sotto un -asta) Andare qui sta per camminale, passare) e pel vocabolo asta frate Birtolomme > ha voluto significare il giogo rappresentato da uri* asta, sotto della q tale i domani faceano passare i prigioni in segn > di averli vinti e soggiogati.
- ↑ minaccio, voce antica e vieta, è lo stesso che minaccia,
- ↑ assegnava egli lo rifacimento de ti* oste) Assegnare qui sta per prescrivere, stabilire.
- ↑ come avea convento a Giugurta) Questo luogo non ci par bello: chè quel convento in luogo di convenuto è da non usare siccome antico, e quell’a invece di con non ci piace gran fatto.
- ↑ medicare l’odio ec.) Medicare qui è adoperato figuratamente alla latina, in sentimento di mitigare9 raddolcire, scemare; ed in questo sentimento none, manderebbe registrato nel Vocabolario della Crusca.
- ↑ per la gente che avea diterminò ec.) 11 la tino ha ex copia rerum9 e si vede chiaro che dpvea esser guasto il codice usato dal nostro fra te. — • Diterminare è voce antica, ed è lo stesso che determinare.
- ↑ propose al popolo dJ una inquisizione) Si ponga mente a questo modo non ordinario di adoperare il verbo proporre, dove l’oggetto è posto con la preposizione di, e così costrutto non si trova registrato nel Vocabolario della Crusca;nè a noi piacerebbe di vederlo così usato. Come osserva il Betti, potrebbe o essere error di copista, o mancarvi un fare, leggendosi: sì propose di fa* re una inquisizione.
- ↑ incontra qui sta per contro; ma oggi incontra, o incontro, si usa meglio in sentimento di dirimpetto.
- ↑ alcuni temendo per parie) Parte qui vale fazione; e questo luogo si ha ad intender così: alcuni temendo per esser della parte de*grandi eh* aveano commesse quelle cose.
- ↑ per gli nominati Latini, cioè per quelli ci?erano nominati Latini, ovvero della gente del Lazio: chè il latino ha homines nominis latini; e nomen appresso ai Romani si prendeva talvolta per nazione; e i Toscani invece ài nomen dissero nome e lingua. Onde M. Villani scrisse: Volle far palese il comune che quelli di quella lingua ’erano leali.
- ↑ volontarioso è voce antica, e tal io stesso che volonteroso o volenteroso.
- ↑ tanta era... la volontà delle parli ) l’originale ha qui: tanta lubido in partiòus erat; e frate Bartolommeo ha tradotto lubido (che là par sia da intendere per desiderio di nuocersi, odio, mal talento) per volontà-, e questa voce così usata non ci ira a sangue, nè in questo sentimento è registrata nel Vocabolario della Crusca.
- ↑ a fare) La stampa leggeva e fare: col consiglio del Betti si e così emendato.
- ↑ sforzevolmente è lo stesso che sforzatamente, ovvero con isforzo.
- ↑ voglia qui sta per lubido, siccome poco a vanti volontà;e. ciò che abbiamo detto di quella, sia ancor detto di quest’altra voce.
- ↑ isconvenenza, o sconvenenza, è voce antica, ed oggi si ha a dire sconvenienza.
- ↑ ciò si dee intendere di prosperità mondane).
- ↑ piacentemente vale con piacevolezza, cioè con dolci modi.
- ↑ si combatteano fra loro) Combattere qui sta iti sentimento di contendere e questo esempio potrebbe aggiungersi al Vocabolario,che nonne ha di forma neut. pass.
- ↑ (ciré, gli onori delle viltorie).
- ↑ era costretto e delle milizie e della loro medesima bisognatila) Costringere qui sta per l’urgere de’Latini, cioè vessare, angariare, e non si trova nel Vocabolario in questo senso, uè così vorremmo che si adoperasse.— Ancora si avverta clic </<7/r quisla per dalle .-— Hisognanza è vote aulica da non usare, e vale lo stesso che bisogno.
- ↑ si straboccarono e guastarono) Straboccare è lo slesso che traboccare, ma è di più forza, e qui sta adoperalo figuratamente per/wr//»/a/», gettare in fondo.
- ↑ aveano molto accresciuto alla repubblica, cioè aveano accresciuto molto impero, mollo potere alla repubblica.
- ↑ compagno qui sta per alitalo. Vedi la n. 2 alla pag. 73.
- ↑ (cioè sopra li popoli, de’quali li Komani non fidandosi gli tramutavano in loro contrada).
- ↑ morii a ferro .cioè morii conferro o di ferro: chè qui la particella a sta por con.— Quest’ultima parte del periodo c siala rettificata così dal Belli, coni’ajuto del testo Ialino. La stampa leggeva cosi: sicché gli grandi prima uccisono Tiberio; e poi dopo pochi anni, entrando Ga-jo tribuno, per quella medesima via, e un al-Irò officiale c signore sopra lo menare delle colonie, e simigliantemente Marco Fulvio Fiacco aveano morto a ferro.
- ↑ a tutta sua voglia) Qui sua sia in iscambio di .’od; il che può farsi talvolta quando non tu-
- ↑ in somma qui sta per in sunto: ma qui pare che il buon frate non abbia dato nel segno; chè l’originale legge: aut prò magnitudine parem di ss e re re.
- ↑ poichè fu entrato nella signoria) Entrare, oltre alle altre sue significazioni, vale ancora prendere un uffizio; e potrebbe questo esempio aggiungersi al Vocabolario, essendo più degli altri chiaro e spiccato
- ↑ 11 testo latino ha commeatum: e però, sul l’autorità ancora de’ due nostri codici, abbiam mutato in fodero, che ha significato di vettovaglia, il foderi di legname, che ha il volgarizzamento a stampa, romeehè questo luogo sia allegato dalla Crusca in § 4 todero.
- ↑ 11 testo latino ha usuifore. Il perchè questo modo italiano sia per abbisognare: nè si registra dal Vocabolario.
- ↑ senza operare) Cosi traduce lo iners del teslo, latino; ma sarebbe stato meglio dire inerte, infingardo, pigro.
- ↑ 11 verbo approssimare più comunemente trovasi usato in forma di neiit. pass., ina trovasi anche, come in questo luogo, in forma di neut. ass., ed è stato aggiunto al Vnc. del Manuzzi*
- ↑ (cioè quaudo gli altri consoli si doveano eleggere)
- ↑ dottoso è voce antica; ed oggi si ha a dire timoroso.
- ↑ Qui pare che manchi la parola luogo, che così ha ancora il latino: locum mutare.
- ↑ ne a costume d$ oste si poneano) La particella a vale ancora secondo9 conforme onde qui a costume d9 oste vale secondo il costume degli eserciti, secondo it costume militare.
- ↑ anche gli ribaldi e vili sergenti) Ribaldo presso gli antichi significava una sorta di milizia la più abjetta e vile; e così si vuole qui intendere,— Sergente qui sta per serventef come pure anticamente si adoperò questa voce,
- ↑ qualunque vitupèri) Qualunque qui è adoperato come plurale, e eoa trovasi presso altri scrittori antichi ancora; ma oggi non è da usare in questo modo*
- ↑ miseria) 11 lat. ha pigntia:* pigrizia vorrebbe il Betti che qui si leggesse: ma la voce miseria non fe raro incontrarla negli antichi per dappocagginef viltày ignavia, come fe pure il nostro autore, al primo cap.del Giugurtino.
- ↑ (cioè de* minori).
- ↑ anche per viaggi traversi) Traverso vale obbtiquo, non diritto. Ancora facciamo notare la voce viaggio usata in significalo eli via, luogo pel quale si viaggia; e potrebbe questo esempio essere aggiunti» al Vocabolario, dove àoctviaggio fu posta in questo sentimento con un solo esempio di Dante non così chiaro e spiccato.
- ↑ (cioè di tipa e di fossato).
- ↑ Nuovo ci sembra questo reggimento, similissimo al latino proliibendo a delictis.
- ↑ per innanzi qui vale per lo passato. Questo modo, secondo il luogo ove trovasi adnpeiato, può significare anche per Vavvenire. Così nel peccati passati si debbono piangere, e per innanzi non farne più.
- ↑ per ingegno rimutevole ec.) Rimuteroles ien da rimitiarte vale atto a rimutarsi’, cioè mutabile, ovvero volubile.
- ↑ ppoco appoco è lo stesso che a poco a poco, ma meglio oggi si scrive a quest’altro modo,
- ↑ Vedi a pag. 47 la n. 0, e a pag. 4f> la n.i:.
- ↑ in palese rinunciassono al re Giugurta) liinunciare o rinunziare vai propriamente cedere o rifiutare spontaneamente la propria ragione o il dominio sopra chea hessiai si trova anche usati) negli antichi per riferiret così è di intendere in questo luog
- ↑ con l’oste attesa a battagliti) Atteso q-ii bta per inteso,apparecchialo, pionloed e slato aggiunto al Vocabolario dal ASanuzzi con un esimpio ancora di frale Bartolommeo.
- ↑ (ch’erano certi loro ediGiii, siccome è dello di sopra).
- ↑ procedeanogli inconlraJQutsìo procedeanogli è modo antico, ed oggi si ha a scrivere prò ccdeangli e così ancora a tutte le altre terze persone de' verbi, quando sono congiunte con gli affissi, si toglie via l’ultima vocale, dicendosi amansi% fecergli, temevanmi, e non amanosi, fecerogli, temevanomi.
- ↑ Vedi la nota l alla pag. 51.
- ↑ avea compartiti gli cavalieri del soccorso) I cavalieri del soccorso sono i cavalieri ausiliarii; e queste milizie a cavallo o a piedi,che erano mandate da’ confederati per combattere negli eserciti de' Romani, fono dette ancora ajuti, spezialmente dal Davanzati. Tac. Ann. 1. 20. Altrettante legioni e doppi ajuti guidò egli. E Vit. Agric. La fanteria d’ajuti, che erano otto mila nel mezzo.
- ↑ II testo a stampa avea pericoli: peritia ha il latino: di che vedesi chiaro l'error de’ copisti.
- ↑ nominato qui sta per celebrato, rinomato.
- ↑ pregando di pace) Pregare alcuno di qual che cosa vale chiedere pregando ad alcuno qualche cosa; ed è bel modo, che ha brevità ed efficacia.
- ↑ prima)o è voce antica da non usare, che vale primo.
- ↑ impromessa è Io stesso che promessa; ma è voce poco o nipote oggi da usare.
- ↑ poi qui sta per poiché. Vedi p. 25, n. 5.
- ↑ partigione è voce antica, che vale divisione.
- ↑ meriggio vale il tempo del mezzodì; e così è registralo nel Vocabolario: ma qui meriggio e. adoperato per il punto opposto al settentrione; ed in questo sentimento non è registrato, e, dovendosi allogar nel Vocabolario, si potrebbe fare con questo esempio.
- ↑ era parimente da ciascuna parte ritrattó) latino ha tracia pari; sì che questo luogo si può intender cos'era ugualmente da ciascuna par te esteso; ma ritratto on si trova nel Vocabolario in questo sentimento.— »11 Belli pensa si abbia a leggere di tratto.
- ↑ infruttuoso da naturate.) Si noti bell’uso della particella da, la quale qui sta in iuogo ài per.
- ↑ lato, ad)., voce al tutto latina, vale largo e spazioso; ma oggi non sarebbe da usare.
- ↑ oliastro, che meglio oggi dicesi ulivastro, è l’ulivo salvatico.
- ↑ se non gli luoghi ec ) Se non qui sta nel proprio suo sentimento di fuorché, eccettoche.
- ↑ s'assise Giugurta) Il lat ha consedit; onde assidersi qui sta per fermarsi, ed è stalo dal Manuzi aggiunto al Vocabolario della Crusca con questo solo esempio/ ma oggi non è da usare in questo sentimento,
- ↑ insegnò gli dovesse fare) insegnare qui sta per dire semplicemente, informare, come l’usò
- ↑ (cioè alcuni pochi).
- ↑ che si appertengono al signore ) App e rutene re è voce antica» ed oggi si ha a dire appartenere.
- ↑ avessono a mano venire) Vogliamo in prima si noti la trasposizione qui alquanto sforzata, avendosi potuto dire avessono a venire a mano; poif che venire a mano qui sta per venire alle mani, cioè azzuffarsi, nè in questo sentimento trovasi questo modo nel Vocabolario, nè vorremmo oggi si adoperasse,
- ↑ tutte lor fatiche ec. assommerebbe) Assommare qui vale compiere, ridurre a termine; ma oggi questa voce non è da adoperare,
- ↑ sappiendo è uscita antica del gerundio del verbo sapere;, ed-oggi si ha a dire sapendo.
- ↑ vvero apparenza di quello luogo),
- ↑ bellamente ordinò l’oste ec.) Vedi alla p, 66 la n, 7.
- ↑ cantora per canti. V. la n. 2 alla p. 63.
- ↑ dalPalto) Cosi giustamente corregge il Betti la stampa, che ha dal lato.
- ↑ al dirietro è modo antico, lo stesso che ai di dietro o di dietro.
- ↑ principali menatori e fedi tori) Cosi traduci le parole latine principes facti erant;t menatori par che qui stia por operatori, maneggiatore del fatto; feditore è voce antica, per feritore
- ↑ se gli Romani dessono piega) Dar piege vale dare addietro,cedere; ma oggi più comunemente si direbbe piegare, ovvero pigliar la piega,
- ↑ // ordini de*Romani sturbavano) Sturbare propriamente significa interrompere, impedire le azioni o i disegni altrui) maquista’per////^dr/tf, scompigliare; nè in questo sentimento è registratone! Vocabolario, ecrediamoche vi si debba aggiungere.
- ↑ (cioè lanciati o saettati).
- ↑ mano venire) Vedi sopra a pag. i i 3, n. %
- ↑ ma l’ano daW altro massimamente dii lungati, cioè: ma l’uno dalV altro stessero i massimamente dilungati: essendosi qui taciuta . la parola stessero per proprietà di linguaggio.
- ↑ 7 non potessono spaventare ec.) Spaventare ― uno da una cosa vale rimuovere, far desistere, . tor già alcuno da checchessia; e potrebbe que? sto esempio aggiungersi al Vocabolario, che in / questo sentimento non ne ha di così chiari.
- ↑ disusanza è il contrario di usanza; e qui • disusanza del luogo vuoisi intendere la poca pratica del luogo: chè usanza vale ancora pratica.
- ↑ Manca neque signa.
- ↑ molto era andato del dì) Si noti beli* uso del Tei Lo andare, il quale, oltre alle molte altre sue significazioni, ha pur questa di trapassare, scorrere, parlandosi di tempo. Il Firenzuola, As. 241, disse: JSè vi andò molli giorni, che, parendo a1 miei padroni ec,
- ↑ (cioè compiute).
- ↑ fuggiente è uscita del participio presente del ▼erbo fuggire, ed oggi si dice fuggente.
- ↑ avea per sè li buoni combattitori) La par ticella per, olire a’ molti eleganti modi in cui s usa, de’quali incili abbiamo già notati avanti serve anche a dimtare a disposizione di chi sic una cosa o una persona; ed in questa significazione è stata aggiunta al Vocabolario dal Manuzz con questo altro esempio della Vii.-» di S.M.Maddalena; Non ristesse altri che egli ec., e questa casa stesse sempre per lui te.
- ↑ erano in acconcio) V. a pag. 102 la n.6.
- ↑ a rimpetto vai lo stesso che rimpcllot di rimpetto, che oggi e più in uso.
- ↑ grida è il clamor de* Latini, cioè grido messo unitamente da più persone.
- ↑ àlbore è voce antica, lo slesso che albero.
- ↑ vidergli soprassalire dà9 nimici) Sopras salire vale assalire^ assaltare aW improvviso. Ne* Morali di s. Gregorio si legge Acciocché ec. noi non fussimo soprassaliti da9 ladroni.
- ↑ niuna cosa pig^a ne rilassata sosteneano) Rilassato qui vale languido, lento.
- ↑ su nella prima sera) La stampa avea: fa nella prima sera; e non dava ni un senso. Ab* biamo accolta la correzione del Belli.
- ↑ stette a campo quattro giorni) Stare a campo e bel modo di nostra lingua, e vale essere accampato: e si dice ancora essere a campo.
- ↑ quanto per la vittoria) Quanto, seguito dalle particelle a o per, come in questo luogo, vale per quanto appartiene a, per quello che spetta a; ma più comunemente si usa seguito dalla particella a.
- ↑ eccetti li cavalieri ec.) Eccetto è prep. che vale fuorchè, salvo: ma fu anche usato, come in questo luogo, in forza di adjettivo, e vale quello che diremmo anche tratto, carato. Così M. Villani disse: Gli altri nomati, eccetto il detto Bartolommeo, furono per lo podestà ec. condannati nella persona.
- ↑ e che egli avea mal combattere con li Giugurtini: cioè dannoso ed inutile combattimento, dove il vincitore avea più danno che il vinto.
- ↑ molte castella e città... prese e incese) Si noti qui questo incese passato del verbo incendere; chè malamente da molti si vede oggi in suo luogo usato incendiare, che non è voce toscana.
- ↑ che fossono per mestieri) Essere mestieri o mestiere vale abbisognare. Qui f. lìarlolommeo ha usato essere per mestieri in luogo di esser mestieri, ne a noi pare bel modo.
- ↑ com’egli sè e sua gente ay costumi e modi degli maggiori governava) Primamente facciamo osservare quell’a1 costumi e modi degli magglori, dove la particella a è adoperata in luogo di secondo, conforme-, il rhe elegantemente si può fare ancora oggi. Appresso vogliamo che si ponga pur mente al bel modo in che è adoperato il verbo governare, il quale qui significa quel tener che si fa una certa regola nell’operare, o nel guidar le cose proprie ole altrui.― Così il Pandolhni: Ottimi sono questi documenti-, ma ec. in chc modo voi disporreste le cose, in che modo ci governereste?
- ↑ il quale era magnifico per la miseria <P Albino) Il latino qui legge: magnificum ex Auli sucordia-, onde miseria quic da prendere in sentimento di dappocaggine. viltà.
- ↑ diserto, luogo solitario e abbandonato.
- ↑ spaurato, participio passato del verbo spaura re lo stesso che spaurito, ovverò impaurito.
- ↑ adesse in concio al suo nimico). Cadere in concio è lo stesso che cadere in taglio, cioè
- ↑ lascii) sua grate spargere a preda, cioè: lasciò sua gente spargere a far preda.
- ↑ ora a quegli. . . minacciar a) Il verbo minacciare si usa col quarto raso, ed aurora, come vedesi in quc>to luox», può bene usarsi col terzo.
- ↑ tanto qui vale Solamente.
- ↑ dal nimico non si ficca copia del combattere) Copia, oltre ìe altre sue si^niGraiioni, vale ancora comodo.facol’à, opportunità; onde i modi arrr copia, dar copia, esser data copia, che valgono air re, dare comodo, facoltà, opportunità, e concedere alcuna cosa ad uno.
- ↑ la quale in quelle contrade era principale e reale) Cosi traduce il latino: urbrm magnam, et in ea parte, qua sita rra’, arcem regni-, sicchè reale è stalo dal nostro frale usato come aggiunto di cosa che dinoti la maggiore nella sua spezie; ma non ci par che spieghi bene le parole laine.
- ↑ antivenne a Metello in Zama) Antivenire vai prevenire, arrivare innanzi; e si usa col quarto e col terzo raso ancora, come in questo luogo.
- ↑ 11 volgarizzamento a stampa ava del viaggio di Metello. A olteuer chiarella abbiam mutalo il di in da. Il testo latino ha senza più: Marium ex itinere frumtnlalum mitsam.
- ↑ Nel volgarizzamento a stampa si confondeano insieme i due periodi, e si pònea lasciando. Noi, scorti dal testo latino, che ha eo cam delectis equitibus noctu pergit, ci pensammo che il copiatore avesse scritto lasciando in luogo di là andando; e là andando abbiamo restituito.
- ↑ escendone per uscendone: che escire si dice in luogo di uscire.
- ↑ confortò e gridò alli Siccesi, cioè confortò li Siccesi, e gridò alli Siccesi: e si noti che, per proprietà di nostra lingua, allora che due verbi richiedono diverso costrutto, può questo regolarsi col verbo più vicino, supplendosi il proprio all’altrt), come vedesi in questo luogo.
- ↑ 11 menerebbe del volgarizzamento a stampa si è mutato in menerebbono9 confortati a ciò dal nostro cod. A; il con loro per coloro si è da noi creduto error de* menanti, e però corretto. Vedi il testo latino.
- ↑ ipennoni e le bandiere) Pennone vale sten dardo > insegna f bandiera; ma così pennone come bandiera si dice pure a quella moltitudine di soldati che sta sotto un pennone o una bandiera, e così si ha qui ad intendere. Vedi anche a pag. 104 la u. 2.
- ↑ confortati e atati) Vedi la n. 2 alla pag. 46.
- ↑ 11 testo lat. ha paucis amissis; sicché il testo, di cui fe uso il nostro frate, dovea essere qui scorretto.
- ↑ (cioè con pezii di piombo, e d* altro metallo, il quale gittavano con tionde).
- ↑ per combattere alle mani con loro) Il latino ha cupere proelium in man/bus facere sicché combattere alle manidevesi intendere combatter da vicino, che i Latini dicevano anche cominus pugnare.
- ↑ Su questo luogo vedi i comentalori del testo latino. La Crusca haper face nuziale e per sorta di pino selvatico. Qui dee intendersi per facella, fiaccola in generale.
- ↑ Nola quest’uso del vocabolo edificio. II latino ha tormentis.V. anche avanti a p.S8 la n.8.
- ↑ rimessi c uccisi quegli te.) Rimesso e participio del verbo rimettere, il quale, oltre alle altre sue siguibcazioji, vale anrhe respingere, come devesi qui intendere. Cosi il Guicciardini nelle sue Storie disse: Assaltando quelli che già erano passali con grande animosità, gli rime ssero insino a mezzo il ponte.
- ↑ incontanente ebbe G.Mario) Vedi alla pne. 25 la n. 1.t’
- ↑ ciV egli nel!’ oste vincitore non lasci rima’ nere niuna vergogna) Il testo latino ha e quam contumeliam remane re inexercitu viclore; e la stampa leggeva: ch’egli nell’oste non lasci rimanere’niuna vergogna di vittoria: dove il Betti osservale sì chiaro, che parmi impossibile averlo fraBartolomeo tradotto così alla bestiale. Emendisi perciò il certissimo strafattone degli amanuensi,e scrivasi: ctteglinelP oste vincitrice non lasci rimanere niuna vergogna.» noie parato meglio porre vincitore usato dagli antichi per vincitrice.
- ↑ contrapparavano in tutti i luoghi) Contrapparare fu aggiunto dal p. Cesari al Vocabolario della Crusca con questo solo esempio, e, com’egli spiegò, qui vale far difesa sforza contro
- ↑ mutandosi qua e là) Mutarsi qui vale tramutarsi da un luogo ad un altro. Si ponga mente a quest’uso «li questo verbo, che è breve e di molta forza,
- ↑ e a sostenere che gii Numidi sen za briga vedessono ec., cioè: e a snffcrire che i Numidi, senza prendersene briga, senza curarsene, vedessero ec.
- ↑ essendo coloro attesi per lo studiare degli suoi) Questo luogo è alquanta oscuro, e par che il traduttore abbia voluto troppo secondare il la― j tino; e si ha ad intender cosi: E così, essendo * coloro attenti a considerare quello che i loro facevano, ec.
- ↑ pei la battagliateci consideri qucslo luogo, dove la collorazion dell* parole è sforzata, ed i arreca oscurità, rhe a prima giunta pare che la i battaglia faccia cessar la notte: e, se si fosse dello: poi la no’Jet che venne, fece cessar la battaglia da119 una parte e dalP altra, nou ci sarebbe slata ambiguità.
- ↑ eli* erano mancate al re) Dicesi mancare, di fede, mancarla fede, ed anche^ome in questo luogo, mancare assaiutaweute, perromperla fede, ribellarsi. Questo esempio potrebbe essere aggiunto al Vocabolario, il quale ne manca.
- ↑ innanzi brigò ec. Vedi alla pag 2l la n. 5.
- ↑ per arme9 noe in luogo di arme.
- ↑ a cioèf si perche)Le stampe hanno: a ciò; e sì perchè, con manifesta offesa della reit.i sintassi. Facile ci e paruto l’emendamento, congiungendo quel clic male erasi diviso n<*l trarre dal codice la stampa. Cioè per ciò trovasi spessissimo negli antichi.
- ↑ loro ingegnamento non tien fede) Ingegnamento qui sta per indole, natura; di che vedi la n. 5 alla pag. 56.— Tenere fede qui vale man tenere fede.
- ↑ non prendano altro compenso per loro) Compenso qui vale rimedio, provvedimento, <he è il proprio suo significalo. Ci piace di avvertire che male oggi si adopera questa voce in sentimento di compensazione, ricompensa.
- ↑ Manca ad imperalorem.
- ↑ Anticamente si usavapenlerc in luogo dipentire-, t perciò qui sia s i pente in luogo di si pentì.
- ↑ fece chiamare de* luoghi vernarecci ec.) Primamente si osservi la particella di usata in luogo di da: poi quel vernarecci che oggi si direbbe vernarecci, e vale da verno o buon per lo verno.
- ↑ per ambasciadori, cioè per mezzo di ambasciadori.
- ↑ dubitazione è Io stesso che dubbio-, ma oggi e meglio usar dubbio.
- ↑ II testo lat. non ha se non Romae senatus de provinciis consultus Humidiam Metello decreverat.
- ↑ diterminò il senato Numidia a lui) Diterminare, che e voce antica in luogo di detetminare, qui sta per assegnare.
- ↑ certe ostie agliDii)Ostia qui vale vittima.
- ↑ indivinatore k’oce antica,ed e lo skssoche indovinatore o indovino.
- ↑ C«>si abbiam corretto Va del testo.
- ↑ II latino ha probità*.
- ↑ si diede ad uso, e a far frutto e operazioni) Con queste parole par the il traduttore voglia significare che si dette a vita operosa, di azione, e fruttuosa; ma il testo dice solo: stipendiis fa ciundis. . . scse cxercuit, cioè che si dette a militare.
- ↑ (cioè capitaneria de’ militi).
- ↑ (cioè schiatte).
- ↑ ma poi per ambizione si diede a traboccare) Il testo Ialino ha: nani postea atfibitione praeceps datus est.
- ↑ li detti ec. andavano a quel medesimo ec.) Andare i sta insenlimcntodi tendere, mirare’, ed è stato registrato dal Manuazi nel suo Vocabolario con questo esempio,
- ↑ Ì1 non è ogni cosa da desiderare a ciascuno) (>u la particella a sta in luogo di da.
- ↑ Cioè: per alcun fatto della reputiica.
- ↑ e anche per contrario di Metello) Contrario qui par che sia adoperato sustantivamente per contrarietà, avversità.
- ↑ purché fosse per lui a potere sulla signoria venire jcioè:purché potesse egli venite nella signoriat purché potesse avere egli la signoria.
- ↑ incolpevolmente è voce antica,e significa non già senza colpa,còme incolpevole,nàcon colpa, ila incolpare ì e fu aggiunto al Vocabolario di’l la Crusca dal p. Cesari con questo solo esempio: se non che sembra, come bene osserva it Belli, doversi qui leggere colpevolmente.
- ↑ II volgami, a stampa yontavacciava >xit da noi si c mutato tx a* accia, confortati dal testo lattilo e dalTusscrvare che sopra si legge desidera.
- ↑ macero tP infermità) Qui macero sfa per affralito, spossato; ed è bella voce e significati va.
- ↑ avendo) Confortati dal testo latino, abbiamo così così corretto 19avea della stampa.
- ↑ governamento è lo stesso che governo9 ma oggi non si vuole più adoperare.
- ↑ lo) Manca lo nelle stampe.
- ↑ A costai angosciato fa Mario) Essere a uno,o da uno, vale andare da uno. Così il Vil lani nelletIncontanente fi a papa Martino e suoi cardinali ec. Ci piace di qui aggiungere che essere ad uno vale anche essere servo di ano; essere al servigio di uno e dicesi di persona e di cosa.
- ↑ e lui ec. lo innalzò e lodò) Si ponga ben mente a questo lui, il quale è oggetto e non soggetto, come da prima parrebbe; e si consideri pure la particella pronominale fo la quale si vede qui posta, non ostante che non ce ne sia bisogno, essendoci avanti Iure he questo si fa per proprietà di nostra lingua, e sovente non è solo una leggiadria, ma dà chiarezza ed evidenza al discorso.
- ↑ tostano è voce antica da non usare, e vai lo stesso che presto, subito.
- ↑ arrendimenlo vai resa, l’arrendersi.
- ↑ che da lui erano partite) Partire o partirsi da uno vale abbandonar la sua parte9 lasciar la sua amicizia.
- ↑ tastava di moneta) V.a p. 9 . la ti.4.
- ↑ tanto pregò e fece) Fare qui sta per adoperarsi, come si è avanti avvertito.
- ↑ furono insieme li principi e li caporali della città) Di essere insieme vedi la n. 8 alla pag. 77. Li principi sta per i principali del paese; e caporali vale i capi; e caporale in questo sentimento e voce antica da non usare, o da usar conrisginrd ».
- ↑ posono il terzo dì cr Porre, oltre alle altre sue significazioni, elegantemente si adopera ancora per stabilire, fermare, come e da intendere in questo luogo,
- ↑ quel dì era festereccio e guardato per tutta Affrica) Festereccio vai lo stesso che festivo; e guardare le feste vale onorare i giorni festivi co1T astenersi dal lavorare. Cosi nel Cavalca leggiamo: Iddio diede al popolo suo a guardare e a festeggiare il giorno del sabato.
- ↑ essendo sul desinare ec.) Essere su o sopra fare una cosa valgono stare in procinto di far quella cosa9 od anche starfacendola^ come devesi intendere in questo luogo.
- ↑ per la sprovveduta paura... spaventarono) Sprovveduto qui vale non preveduto: ed in siffatta significazione questa voce fu aggiunta al Vocab lario dal p Cesari con un esempio del Bembo,al quale potrebbe aggiungersi quest’altro. Si noti ancora il verbo spaventare usato come neutro assoluto senza affisso, che oggi non si dee far da tutti.
- ↑ gonfalone c lo stesso che insegna, bandiera.
- ↑ direni re t nsa talvolta per avvini re, addivenire-, e così deesi qui intendere.
- ↑ ovvero per caso di ventura) Si osservi questo modo per caso di ventura, che è proprio del nostro Iraduttore.essendochèsarebbe bastato di di re solo per caso, per ventura.
- ↑ (la cui testimonianza valere non debbia).
- ↑ si partì da pubblico in secreto luogo) Q ui è un’ellissi: chè propriamente si sarebbe dovuto dire: si parli da pubblico e andò in secreto luogo; ma è un bello scorcio di lingua.
- ↑ P°gg’0 val monte, luogo eminente.
- ↑ rilevati li loro animi) Rilevare qui sta per riconfortare.
- ↑ prima alli pedoni) Prima qui è preposizione, ed è usata in sentimento di avanti; e però le è data la costruzione della preposizione avanti, la quale si costruisce con t’a e col di.
- ↑ potea sopra la stanchezza, cioè potea più. della stanchezza, viacea la stanchezza.
- ↑ e cosili Vaccesi te.) Grande era il guasto in questo luogo, ove leggeasi: E così li Vac-cesi solamente due dì della loro reità rallegrati, li quali erano in città grande e riccay tutta fu ec. 11 testo legge così: Ita Vaccensesbi-duummodo ex perfidia laetatiicipitas magna et opulcns, poenae cuncta aut praedac fuit. Abbiamo con lieve modificazione ammesso la correzione del Betti.
- ↑ non potendosi bene ispurgare nè scusare) Spurgarsi qui sta per discolparsi. Più comunemente si dice purgarsi.
- ↑ d’una terra del Lazio) Le stampe leggea-no: d’una terra delta Colla zio. Il Betti osserva: « Potrebbe darsi chequi fosse errato il codice usato da fra Bartolomeo pel suo volgarizzameuto; e che invéce di nam is civis ex Latio erat, dicesse nam is civis ex Co fiat io erat. Ma potrebbe anche darsi che il copista abbia scritto detta Collazio in luogo di del La-zio.
- ↑ improntamento qui vale incitamento; ma oggi non sarebbe da adoperare*
- ↑ agguardava tempo di tradirlo) Questo modo aeguardar tempo fu aggiunto dal p. Cesari al v orabolario della Crusca con questo esempio, e vale aspettar /’ opportunità.
- ↑ accettevole a* suoi popolari) Accettevole è io stesso che accetto. Quanto a popolari ^ vedi alla pag. 28 la n. 1.
- ↑ adoperare propriamente vale usare, servirsi. ina si trova pur sovente, massime appresso gli antichi, per operare t fare y come è da intendere in questo luogo: ed in questo sentimento oggi sarebbe da usar con molto risguardo.
- ↑ e poi egli) Qui poi sta per poichk.
- ↑ (ovvero pigrizia sua).
- ↑ capezzale è quel guanciale lungo quant* è la larghezza del letto, dove si pone il capo.
- ↑ proseguitateli sta per perseguitare. Vedi alla p. 83 la n. 5.
- ↑ tradigione è voce antica da non usare, ed è lo stesso che tradimento.
- ↑ Qui pare che sia usato il credersi in significato affine all’afidarsi, confidarsi, e simili; nè incontrano esempii di quest’uso negli scrittori del buon secolo, ovvero sono assai rari, avvegnaché frequentissimi presto i migliori de’ secoli seguenti. Dal Vocabolario noti si registra; ma il Cesari gli ha dato luogo nelle sue giunte,di chiarandolo con un solo esempio dell’Ariosto.
- ↑ quali prima erano per lo suo onore) Essere per uno vale favorirlo, proteggerlo; onde qui erano per lo suo onore vuol di’e favorivano l’onor suo.
- ↑ e allo fmperadore ec.) Il testo ha: Imperatori nobilitas, quae antea decori fuerat, invidior esse: cioè, che la nobiltà, cagione in prima di onore all’imperadore, cominciò poi ad esser di odio. Chiaro è dunque l’errore del volgarizzamento.
- ↑ di Mario nè di Metello Qui il nè sta per la semplice congiunzione e di che vedi a pag. 7 la n. 1.
- ↑ era sì arreso all'amore di Mario) Si noti questa locuzione acceso all'amore, che è il medesimo che acceso dell'amore. Il verbo accendere ed il suo participio acceso si trovano con diverse costruzioni: cioè dicesi acceso di, acceso in, acceso da, e tutti sono be’ modi, ma si dee saperli usare, non essendo tutti perfetti sinonmi, ma avendo ciascuno una sua propria e particolare significazione; di che veggasi il Vocabolario della Crusca.
- ↑ spesseggiavano di venire a Mario, cioè venivano spesso, frequentemente a Mario, siccome dice il latino frequentarent Marium, e secondo la propria significazione del verbo spesseggiare: e ci piace di far notare come il Cesari, malamente seguitato dal Manuzzi, aggiunse al suo Vocabolario spesseggiare in sentimento di affrettarsi, rifermandolo con questo esempio.
- ↑ domandato. . . di cui volesse ec.) Il verbo domandare si costruisce col secondo e col quarto caso, e si dice domandare una cosa e di una cosa; onde qui domandato di cui volesse che facesse la guerra % è come se avesse detto: domandato cui o chi volesse che facesse la guerra.
- ↑ e altri per paura fuggiti) Quando in una clausola sono compresi pin incisi, ne*quali sono tempi composti di verbi, si suole, per amor di brevità e per proprietà di nostra lingua, tacere 19ausiliario di alcuno de’ detti tempi, ed ancora &e il tempo composto che segue al primo chiedesse altro ausiliario the quello che ha avuto il primo, come vedesi in questo luogo; dove il traduttore, avendo detto prima de* quali molti egli creta uccisi, nel!’ altro inciso, quantunque avesse dovuto dire e altri per paura erano fuggiti, pure ha detto e altri per paura fuggiti, tralasciando I* ausiliarii» erano. Non pertanto noi avvisiamo che al primo modo, cioè tacendo I’ ausiliario messo avanti, si possa far da tutti: ma, quando v altro o gli altri ausiliarii sono di diversa natura, non si debba fare se non con molto risgoardo, e quando non può ingenerare oscurità nè equivoco.
- ↑ si ti di/nostro Metello) Le particelle pronominali mij ci, ti, ci, si, quando sono avanti alla paiticella ne, o a’ pronomi lo, la, gli» //, le, per eufonia, mutano IV in e: ma gli antichi non solcano così fare; e però qui, in luogo di se gli, sta si li.
- ↑ fu alquanto ritenuta la battaglia) Ritenere trovasi talvolta usato per sostenere, e così vuoisi qui intendere. Così nel Villani si legge: Per lui era quasi ritenuta tutta la battaglia.
- ↑ d’uomini poco) Kmendazione del Betti.
- ↑ buonamente) lat.ha ferme, cioè quasi.per rordinario; e così vuole il senso. Forse il testo di fra Bartolomeo leggea fr/ne:ondco sbaglio
- ↑ piova, voce antica, è Io stesso che pioggia.
- ↑ brigò di sopra andare a tutte l’asprezze, cioè; brigò di andar sopra ec.; ed andare sopra, che propriamente vitanda re verso la parte superiore,qui Tale rimaner superiore} vincere.
- ↑ fece lor porre vasa ec.) Anticamente molti nomi al plurale avevano 1* uscita in a ed in / ancora, ma oggi la più parte si usano con l’uscita io i; e però dicesi vasi e non vasa.
- ↑ Manca: qui se post regis fugam Metello dederant.
- ↑ vittuvaglia) Cosi diceano gli antichi; ma oggi è meglio dir vettovaglia.
- ↑ ma li militi usaro) Usaro è accorciamento di usarono, ed oggi di questi accorciamenti raramente 0 non mai si fa in prosa, e solo si può usare in poesia.
- ↑ 11 volgarizzamento a slampa in cambio del la pone un che. Senza la nostra mutazione uoo ci pensiamo rhe di questo luogo si possa cavare senso, che ragionevole sia.
- ↑ poiché vidono che si bolcionava il muro) Bolcione o bolzone era uno strumento antico militare da romper muraglie; onde bolcionare o bolzonare dicevasi il ferir col bolcione.
- ↑ e il fallo loro andava ec.) 11 verbo andare elegantemente si adopera nel sentimento che ha qui, cioè di tendere9 riuscire.
- ↑ al fuoco guastarono, cioè distrussero col fuoco.
- ↑ (cioè di quella parte, la quale si dice oggi ia diritta Lombardia, che anticamente si dicea Liguria).
- ↑ (cioè d’una terra d’oriente, che oggi si dice Setta).
- ↑ (dice Sallustio).
- ↑ (cioè bassi e da potere guadare).
- ↑ limaccio è lo stesso che fango, quella porcheria che si genera ne* luoghi paludosi.
- ↑ frale è lo slesso che fratello, nel qual sentimento questa voce è restata alla poesia; ed oggi non si usa che per uomo di chiostro e di religione.
- ↑ termine, cioè confine.
- ↑ ritenere .oltre delle altre sue significazioni, ha pure quella di impedire, trattenere; e così è qui da intendere.
- ↑ sezzajo è voce vieta ed antica, c lo stesso che ultimo.
- ↑ (cioè li Cirenensi).
- ↑ feciono alli Cartaginesi colai partilo) Fare un partito ail uno vale proporgli una condìzione, o patto.
- ↑ nè conosceanonientedi nominanza romana) Nominanza vale fama, gloria, grido.
- ↑ a servare signoria) Il verbo servare, parlandosi di precetti, leggi, costituzioni, o simili, vale obbedite, non trasgredire. Così Dante nel Purgatorio disse: Non servammo umana legge, Seguendo come bestie l’appetito.
- ↑ per li quali aiutatori comprendendo il re) La forza del verbo comprendere qui ci è fatta manifesta dall’originale, dove si legge quis adjutoribus regem aggressus’, e però bisogna intenderlo come assalire, investire: ma investire toscanamente si adopera a significare quello che gallicamente sì dice abbordare uno, ed assalire pur toscanamente vale correre addosso ad uno con animo di offenderlo; e, dovendosi dire che un uomo si fa presso ad un altro per indurlo e trarre con arte a far qualche cosa, questo comprendere sarebbe molto adattato; e questo esempio sarebbe bastante autorità.
- ↑ a Giugurta era maritata ec.) II verbo maritare più comunemente si trova costruito col. l’a, come in questo luogo; ma si trova por sovente costruito coli’ in e col con.
- ↑ questo cotal parentado. . . è avuto per assai leggieri) Dioesi ’egualmente leggiere, leg giero e leggieri; e leggieri è invariabile tanto pel maschio quanto per la femmina, e qui vale di poco momento, di poca importanza.
- ↑ e altri impacciamenti di battaglia) Il latino ha impedimento; e si vuole intendere i bagagli.
- ↑ (dice Sallustio).
- ↑ e che ogni guerra si prende ec.) Vogliamo qui si notino più cose: e primamente il verbo prendere, il quale qui sta per intraprendere, cominciare. ed elegantemente vien così adoperato; appresso,che gravemente qui vale difficilmente, malagevolmente; da ultimo il verbo mancare, che è usato in sentimento di cessare, terminare.t•
- ↑ perduto qui sta per rovinato, e ci parbe1l’uso di questa voce, quantunque non sia regi* strato nel Vocabolario della Crusca.
- ↑ egli converrebbe tutto ad ogni buon patto) Convenire qui sia per accordare.
- ↑ lutti tedia e turbava) Lcdire è voce latina ed antica, in luogo di ledere, che pure, essendo anche latina, oggi in prosa non si vuole molto usare, e vai lo stesso che offendere.
- ↑ addoloratole è voce antica da non usare, e vai quanto dolffoso o dolente.
- ↑ ristituire è pur voce antica, ed oggi si dice restituire.
- ↑ li quali aveano già meritato lor soldo) Questo è uno di quei pochi latinismi giustamente rimproverati al nostro frate dal Salviati: che non ispiega chiaramente il concetto dell’autore. Dappoiché i Latini diceano moerere stipendia, e qni Sallustio homines emeritis stipendìisf quando i soldati aveano adempiuto il loro tempo di militare, che noi diciamo veterani: onde frate Bartolommeo, malamente avvisandosi di fare italiana la frase latina » ha tradotto: aveano meritato lor soldo.
- ↑ traggeano i loro animi) Anticamente .si disse traggere e traere per trarre; onde qui traggeano sta in luogo di traevano.
- ↑ e perdonare alla camera) Il latino ha aerano parcere; cioè e risparmiare il danaro della camera, ovvero delP erario. Ci piace di qui avvertire che il verbo perdonare elegantemente si usa per risparmiaref come in questo luogo, ed in questo sentimento si costruisce sempre con la preposizione a; e, quantunque il Vocabolario della Crusca aggiunga ancora che si trova sempre con la negativa (che è il suo comune uso), questo sarebbe un esempio in contrario.
- ↑ cai non vuoli offendere) Vuoli è antica uscita della seconda persona del presente dell’indicativo del verbo volere$ ed oggi si ha a dire puoi
- ↑ II testo latino ha: omnium ora in me conversa esse
- ↑ II volgarizzamento a stampa ponea dando; noi^ abbiam creduto dover correggere con 11 autorità del testo latino*
- ↑ acciocché voi non siate ingannali di me) Ingannarsi di ale uno,o di alcuna cosa, vale ivere falsa opinione, essere in errore e in incanno intorno ad alcuno o ad alcuna cosa; id è bel modo, breve e riciso.
- ↑ li gentili) Gentile qui vale nobile, come è italo innanzi avvertito,
- ↑ alcuno di quello gomitolo) Il latino ha ex filo globo, e globus in latino prendevasi per moltitudine semplicemente, nel qual sentimento iia qui il traduttore adoperato la voce gomitolo. Dal Man uzzi fu aggiunta questa voce al suo Vocabolario in sentimento di una mano di soldati raccolta tumultuariamente insieme in ordinanza circolare per difendersi da ogni parte dai nemici, rifermamlola con quest’esempio del Bembo, Stor. 11. t. i: i suoi fanti, incitati alla vendetta, correndovi il gomitolo degli altri, cacciarono i nemici.
- ↑ e di molte immagini de*suoi, cioè che avea molte immagini dcy suoi antcuati a’ quali, per essere stali chiari e glandi uomini, erano state decretate statue dal senato: e queste statue, che si conservavano da* nepoti, erano quelle che i Romani dicevano imagines.
- ↑ ora agguagliate poi er.) Agguagliare va! propriamente fare eguale, pareggiare; ma trovasi anche usato per paragonare, e così devesi intendere in questo luogo. Nelle Vite de’SS PP. si legge: Tutto il tempo e spazio di questa vita, agguagliato all’eternità 9è meno che unpunto.
- ↑ io partita ne ho veduto) La voce partila ha varii significati, de’quali molti sono oggi in uso. <>ui sta per parte; ma in questo senti mento nou si vuole più adoperar*.
- ↑ dispregiano eglino la novità mia, cioè 19 essere io uomo nuovo. il testo latino ha contemnunt novità’ em meam.
- ↑ di viltà mal diletto) Così abbiamo corretto la stampa, che dicea: viltà di mal.dilettof contro il buon discorso e il testo latino, che ha: ignavine voluptatem.
- ↑ rincolpare qui vale lo slesso che ingolpare} e • on questo es.fu aggiunto al Voc, dal p. Cesari.
- ↑ se di ciò sia da pentere) Pentere si disse anticamente in luogo di pentiref che rggi solo si dee usare.
- ↑ coverta o coperta qui si vuole intendere quell’abbigliamento che si attacca alle bestie da cavalcare e cuopre loro il dorso; che dicesi an* t he copertina.
- ↑ non terrò loro a stretta) A stretta qui vale a penuria, in disagio; e in questo sentimento sol c.m questo esempio l’aggiunse il p. Cesari al suo Vocabolario.
- ↑ sono molto errali) Essere errato c bel mod o
- ↑ giullare o giù!laro è lo stesso che buffone.
- ↑ da altri santi uomini ec.) Santo qui sta per buono,pio generalmente, come pure si trova adoperato il latino sanctus.
- ↑ mundicia c voce antica, del tutto latina, che vale dilicaiczza.
- ↑ masserizia vai risparmio, mode ronza nello spendere e nel far uso delle cose.
- ↑ beano per bevano: chè egualmente dicesi bevo e beo.
- ↑ parlerò io alquante parole ec.) Parlar parole k lo stesso che parlare sempliceme nle, essendo proprietà di nostra lingna il dare a molti verbi n utri un accusativo di un nome della medesima loro significazione. Così si dice viver vita, dormir sonno, e simili: i quali modi, quando si usano a tempo e luogo, aggiungono gratia e leggiadria al dettato.
- ↑ boni adoso è voce Vieta ed antica, e vale che ha bontà, virtuoso.
- ↑ giungessimo virludc) Giungere, oltre «Ielle altre sue significazioni, vale ancora accrescere, aggiungere, come si ha qui ad intendere.
- ↑ e acconci a lai gli animi ec.) Acconcio vai propriamente accomodalo, assettalo; ma si trova usato, benché di rado, per farorevole; e così è da intendere in questo luogo.
- ↑ scrivea li militi, arrotava soldati.
- ↑ E’pare che in questo luogo il volgarizzatore non abbia dato nel segno. Il testo latino dice:non more majnrum, ncque ex ci assi bus, sed uli cujusque lutiJo eroi, capite censos plcrosque\ ed egli ha preso dassis, non per ordine di cittadini, ma per flotta, armata.
- ↑ con le coortid’ajutorio, cioc con le coorti ausiliari. Il testo lat. ha cohortibus auxilia-riis. Vedi alla pag. Ili la n.2. Qui la stampa leggeva coorti ad ajutorio. Il Betti opina si a-vesse a leggere dell’ajutorio. Noi abbiadi messo d’ajutorio, chè facilmente l’a potè esser dono del copista.
- ↑ poi si mise ùlle castella ec.) Il latino ha dein castella et oppida. . . aggreditur; onde qni si ha ad Intendere poi si mise ad oppugnare, ad assaltar le castella; chè il verbo mettersi, usato con I’ in, o con 1* a, come in questo luogo, vale mettersi a fare quella lui cosa di cui si parla.
- ↑ vennono a valore) Venire a qualche cosa ▼ale acquistare, conseguire quella tal cosa: onde vennono a valore si ha ad intendere acquisi aron valore, divennero valorosi. Così ancora leggiamo in Fra Giordano, Pred. 2: Noi veggiamo che chi vuol venire a ricchezza, che vi si pone con tutto il cuore.
- ↑ forte qui sta per difficile, aspro, come 1* usò pure Dante, c. ì: Ahi, quanto a dir qual era, e cosa dura Questa selva selvaggia, e aspra, e forte.
- ↑ li fatti suoi... attendea e considerava) verbo attendere elegantemente si adopera in si. gnificato di badare, por mente, nel qual sentimento si trova non pur col terzo, ma col quarto caso ancora, come vedesi in questo luogo. E così pure il Boccaccio, nov. 13, disse: Attendi quello eh* io ti voglio dire’, cioè bada, poni mente a quello eh* io ti voglio dire.
- ↑ 11 testo latino ha ipsumque regem; e però par che qui debba intendersi di Giuguita.
- ↑ non avea copia, cioè agio, opportunità.
- ↑ erano molto per gli nimici te.) Essere per uno vale essere della sua parte; e dicesi ancora nel medesimo sentimento sentire con alcuno’. e Simo be’ modi di nostra lingua.
- ↑ e prima facea cose mezzane) Mezzano, oltre del proprio significato, vai pure mediocre; e rosi deesi qui intendere.
- ↑ da funga è modo di dire antico, e vai Io stesso che da lungif come si ha a dire oggi.
- ↑ fosse tempo di mettere mano ec.) Sieltere mano vai cominciare, darsi a fare
- ↑ veramente ancora ec.) fccco un altro esem pio di veramente usato come particella avver sativa; e qui, come si vede chiaro, sta in luogo di mai non pertanto nel Vovabolario è registrato solo ia sentimento di nulladimeno, con tut to ciò.
- ↑ Come nel testo latino, il volgarizzatore ha soppr^so il verbo eranoi il che non ci par da imitare.
- ↑ Abbiam mutato il che del volgarizzamento a stampa in per, consigliati dal testo latino.
- ↑ jugi a qua ha il testo latino. La voce continuo in sentimento di perenne manca alla Crusca, la quale nota solo acqua perenne conesempio di autor moderno.
- ↑ 11 quanto e slato da noi aggiunto, a dare ragionevole senso alla clausola.
- ↑ 11 volgarizzamento a stampa avea e farina; i due nostri codici ferma. Noi con lf autorità
- ↑ secondo la copia cttavea) Copiaiale,come in latino, divizia, abbondanzapm^n secondo la copia cN avea si dee intendere secondo quel’la quantità di roba che avea.
- ↑ II testo lat. qui legge: per centurias, itera tarma*.
- ↑ pose quivi il campo ec,) Porre il campq o porre campo, che si dire pure metter campo, o porre oste, vale accampare l’esercito. Così il Villani disse: Fiorino pretore con roste de’ Romani pose campo di là dal fiume d* Arno.
- ↑ levò il campo, e. . .si posò) Levare il campo o levarsi da campo è il contrario di porre il campo, cioè ritirarsi dal luogo o abbandonare il luo%o occupalo dal campo.— Sì noti ancora il verbo posare, che qui al n. pais. è adoperato per fermarsi.
- ↑ fece andare in corso a Capsa) Andare in corso è registrato nal Vocabolario della Crusca in sentimento di corseggiare, andar corseggiando’, ma qui in corso è lo stesso che a corsa, cioè correndo-, onde fece andare in corso si ha ad intendere fece andare correndo.
- ↑ nè per paura recasi al diritto) Qui la slampa avea: nè per paura recali al diritto. Facile ci è paruto lo scambio della lettera, e però abbiamo così ridotto a corretta sintassi la clausola.
- ↑ sì 7 lodavano al cielo) Lodare al cielo vale lodar grandemente: ma, meglio che lodare al cielo, dicesi lodare a cielo.
- ↑ pigliamento è voce antica, ed è lo stesso che presa, il prendere.
- ↑ molte ri’ arse diserte, per miseria degli Capsesi) Le slampe hanno; molle riarse per miseria degli Capsesi. Dice il latino: pi tira, deserta propter Capscnsium miserias, /gni corrumpi. « È dunque ( osserva il Betti ) certo che dopo n’arse marn a un essenzialissi* mo deserte, pvvero abbandonate. » Ci siamo attenuti all’avviso di tanto uo’ino.
- ↑ assai di grande vedi ita) Il testo ha qui saiis patens; onde par chc si debba intendere che poteva esser veduto da ogni parte.
- ↑ Tutto questo luogo era nel volgarizzamento a stampa manifestamente c< nfuso.Con l’autorità del testo latino si è mutato il in ritagliata e gl'incisi sonosi ragionevolmente ordinati.
- ↑ era rincontro Oclluogo ec.) Rincontrot che vai di rimpetto, si costruisce egualmente col di, come in questo luogo, e, più comunemente ancora, con (’ a.
- ↑ (che sono quasi di generazione di nicchi).
- ↑ ilice è voce al tutto latina, edè lo stesso che leccio, ovvero elee.
- ↑ sagliendo... fu suso) Primamente vogliamo che i giovani avvertano come anticamente si di ceva s agli re e sali reonde sagliendo qui c io si esso clie salendo; poi,che suso è lo stesso che jw.M’hc gli antichi, i quali sfuggivano le termi* uationi acculiate, dicevano suso e giuso per su e giù; e così molti altri.
- ↑ spiale tutte cose) Spiare vai propriamente cercar con diligenza9 andare investigando diligentemente.
- ↑ ragguardando e avvisando tutto) Ragguardare e più cheguardare, chè vale attentamente e minutamente guardare ed avvisare qui sta per por mente, m mutamente considerare. Così ilBjcc.disse; Maestro,avvisa questo destriere ec.
- ↑ eh’ erano trambctlalari e cornetta’ori) Trombettatore è lo stesso che trombettiere, come oggi si direbbe più comunemente. Cornet-tcUore è colui che suona la cornetta, che è uno strumento musicale da fiato.
- ↑ dopo ’Mosso aveano le spade e le scuda) Li particella dopo qni sta usala in luogo di dietro. Scada è uscita antica del plurale di scudo; ed oggi si dii.e scudi.
- ↑ awengach’e è lo stesso che quantunque, benché-, ma oggi si dice avvegnaché
- ↑ maladiceano agli Romani) Maladire qui vale dir male, svillaneggiarci e si costruisce egualmente col terzo c col quarto caso.
- ↑ di colpa trovò e gli pervenne gloria, cioè: trovò e gli pervenne gloria dalla colpa che avca fatto. Si consideri qui bene, che, quantunque in questo luogo si veggano adoperati due verbi che richiedano una diversa costruzione, pure 1* autore ha costrutti tutti e due all’istesso modo: e questa è una proprietà di nostra lin gua, come altrove abbiamo fatto osservare.
- ↑ c’è accaduto il fatto di tale ec.) Qui è un’ellissi; e si deve intendere: perocché e’ è accaduto di dover ragionare del fatto di tale ec.
- ↑ (cioè antichi, e di grande cura e luogo nel la patria).
- ↑ sua casata ec.) Casata e casato valgono cognome di famiglia’, e si prendouo talora per la stessa famiglia tc,omt& vuole qui intendere.
- ↑ facondioso è voce vieta ed antica, ed e lo stesso che facondo, come oggi si ha a dire.
- ↑ di bassa mano) Vedi «ila pag. 41 la n. 2.
- ↑ attrailo è il lai. illcctus, cioè allettalo,
- ↑ andando già Mario a fare il perno) Il testo latino qui ha: Marium in hiberna proficiscentem; onde si ha ad intendere: andando già Mario a* quartieri dy Inverno, o a svernare.
- ↑ o le salmerie raccogliere) Salmeria vai moltitudine di some, carriaggio.
- ↑ alla ritonda, modo avverbiale, fu aggiunto dal p. Cesari al Vocabolario con questo esempio, e vale circolarmente.
- ↑ si teneano verso la potenzia ec.) II lesto lat ha: atque ila, ab omnibus partibus simul tedi atque instructi, hoslium vim sus tenta bant. — * Tenersi, spiega il Vocabolario, parlandosi di piazze, fortezze, e simili, vale non arrendersi, non cedere, resistere agli assalii-, ma qui, come si vede dalle parole del lesto allegate, tuttoché si parli di esercito, è da prendersi nel medesimo sentimento, e dovrebbe però questo esempio essere aggiunto al Vocabolario.
- ↑ II testo latino ha familiarissumis.
- ↑ appensando che la notte era per lord) Ap pensare e Io stesso che pensare; ma oggi è da adoperar con risguardo.— Essere per uno, come si è già detto altrove, vale essere della sua parte, essere in suo favore; onde qui si ha ad intendere: pensando che la notte li favoriva.
- ↑ 1 a pieni passi li menò al colle) Questo modo dì dire a pieni passi non è registrato, e risponde alle parole del testo pieno gradu, che par si debbano intendere a grandi passi.
- ↑ confort amento è lo stesso che conforto; ma oggi non è molto da usare.
- ↑ confermato qui vale rassicurato.
- ↑ e uscire delle porte dell’oste) Oste, come altrove abbiamo detto, vale ancora esercito; ma si prende pure pel campo dory è radunato Fes ere ito; e così si deve intendere in questo luogo. Non vogliamo lasciar di dire che oste in questo sentimento fu registratone! Vocabolario con un solo esempio di Vegezio e potrebbevisi aggiunger quest* altro, che è molto più chiaro.
- ↑ 11 testo latina ha neque fugere.
- ↑ marino è lo stesso che marittimo’, e così Oggi si dice più coinuneu.ente.
- ↑ e sopra ciò ec,) Sopra qui sta per oltre.
- ↑ per vergogna. . . sua oste costrignea) Costrignere9 o costringeref qui è da prendere in sentimento di raffrenaref moderare. e potrebbe questo esempio aggiungersi al Vocabolario, che non ne ha cne un solo del Tesoro di Br. Catini.
- ↑ rediano diversamente) Redi re è voce al tutto Ialina, che oggi non si vuole più adoperare; ed in iscambio si ha a dire tornare% ritornare.
- ↑ altro daW una parte ec.) Qui altro sta in luogo di uno, ne «i trova registrato; ma non consiglieremmo ai giovani di imitarlo.
- ↑ egli co1 suoi percosse a1 Mauri) Percuotere in uno9o ad una o più persone, vale fare impeto, assalire una o’più persone: ed c per lo più vocabolo militare.
- ↑ (cioè Giugurta).
- ↑ per niente qui vale int ano, come è stato già notato avanìi.
- ↑ Il volgarizzamento a slampa avea della vittoria: noi, a conseguire maggior chiarezza, e ajtifali dal testo Ialino,abbiam fatto questo legger mutamento.
- ↑ accano male combattuto,erano stati sconfitti.
- ↑ s’clV era contrario, invece di se Fera contrario che avea la stampa, è correzione del Betti.
- ↑ anche che fosse più giovane) Anche è lo stesso che ancora; onde qui anche che sta per ancora che9 quantunque.
- ↑ 11 testo latino ha aliquando.
- ↑ che possa tu medesimo il ti sai) L’arti colo il, o lo, sovente si usa per pronome maschile nel quarto casodei numero del meno; ed in questo sentimento con molta leggiadria si prepone alle particelle mi, ci, si, li, ne, vi. Leggiamo nel Boccaccio, nov. 41: & avvenne, siccome la sua ventura il vi guidò,in un proietto nov. iil; La donna rispose ad Egano: io il ti dirò.
- ↑ della quale ec. Vedi alla pag. 6 la n. 6.
- ↑ (cioè di Bocco).
- ↑ (cioè pace di Boero e de’ Romani).
- ↑ come gli era. . . colto) Cogliere elegantemente si adopera in sentimento di avvenire, accadere, incontrare, come è da intendere in questo luogo. Così anche nel Morgan te si legge: Io dubito che’mal non ce ne colga.
- ↑ di tulli suoi amici stretti ec.) Stretto, non altrimenti che nel nostro dialetto, toscanamente si adopera per intrinseco, confidente, coinè in questo luogo. Veggasi il nostro Vocabolario domestico napoletano e toscano.
- ↑ mandato qui sta per ordine* commessione, che è il proprio significato di questa voce.
- ↑ loro Siila. . . li ricevette) Vedi alla pag. 127 la n. 6.
- ↑ e la fama dell’avarizia de*Romani esser falsa) La stampa avea: e la fama de’Romani e la loro avarizia esser falsa.l latino: et famam Romanorum ayaritiae falsam. « Il guasto è qui pur certo, e Io reputo all’amanuense, non potendosi giustamente, in passo sì chiaro, attribuire alla poca intelligenza che il volgarizzatore avesse del latino. Perciò emenderei: e la fama delPavarizia ec. » (Betti).
- ↑ le quali eglino utilizo la benevolenza cremo che valessono, cioc: le quali eglino cremo utili$ o che volessono la benevolenza.
- ↑ più ferocemente, più superbamente.
- ↑ non saputi delle cose mondane) Saputo di una cosa vale istruito, ammaestrato in quel• lari ed e bel modo di nostra lingua.
- ↑ raccordare è lo stesso che ricordare, ma i un pò* antico, e non da adoperarsi molto frequentemente.
- ↑ II testo latino ha balearium.
- ↑ (cioè leggieri).
- ↑ rinunciarono, cioè riferirono.
- ↑ (cioè Voluce).
- ↑ che il Numida tante fiate sconfitto non ritemea) Si avverta che Numida qui è oggetto e non soggetto del discorso,e si dee sottintendere innanti al non ua egli che si riferisca a Siila.
- ↑ facea ponere il campo) Vedi a pag. 32 2, e a pag. I18 la d. 3.
- ↑ io/a? qui sta per il semplice che.
- ↑ (cioè la parte dietro).
- ↑ fece uno quasi avversario scongiuramene to ec. ) 11 testo lai. ha semplicemente Jovcm maxumum ohtestalur^tà avversario vale contrario| nemico.
- ↑ era bastarda nata d’una amica) Nel testo latino leggesi ceterum materno genere impar, nam pater ejus ex concubina ortus erat. Toscanamente amica vale talvolta concubina; e così devesi intendere in questo luogo.
- ↑ (cioè a Bocco).
- ↑ (dice Sallustio).
- ↑ (cioè mutevole e piccola).
- ↑ (cioè Giugurta).
- ↑ tenea per isperanza di pace) Qui tenere sta per trattenere, tenere a bada; e potrebbe questo esempio aggiungersi al Vocabolario,dove non ce ne ha che un solo dell’Ariosto.
- ↑ la paura per noi il movea, cioè in nostro favore.
- ↑ Il volgarizzamento a stampa ha vollono. Abbiam mutato con l’autorità del testo latino, che dice sicuti voluerat.
- ↑ passata una pezza della notte) Pezza, rhe dicesi anche pezzo, «I parte onde qui passata una pezza della notte vale passata una parte delta notte. Ci piace di avvertire che pezza e pezzo si adoperano pure assolutamente a significare spazio ditempo jexmt buonapezza, un gran pezzo, esimili, e valgono un grande spazio o tratto di tempo. Così leggesi nel Boccaccio, nov. 15: Egli è gran pezza che a te venuta sarei.
- ↑ santo uomo) Santo qui sta alla latina per buono, pio, religioso•
- ↑ che piacque a l’uno e a l’altro ) Anticamente nelle preposizioni articolate scrivevasi la preposizi one divisa dall’articolo, come vedesi in questo luogo; ma oggi non si ha a far così, e solo in poesia è rimasto tuttora quest’uso.
- ↑ unque* unquatvoc lat.,lo stesso che mai.
- ↑ Manca l’intero periodo, che qui a* infra* scrive: Nam, ut ego aestumo, regem armis quam munificentia vinci, minus fagitiosum. Non Vogliamo, intanto, lasciar d’avvertire che l’ultima clausola del periodo italiano tiene troppo del latino.
- ↑ in poche parole lo ’n tendi) Il pronome lo qui riferisce tutta la proposizione detta avanti; come se avesse detto: intendi in poche parole quello che ti ho adire della repubblica vostra„ Non vogliamo tacere che al modo come qui è fallo non si vuole imitare.
- ↑ ho per arme difesi} Si noti bell’uso della preposizione per% la quale è qui posta in luogo di con o per mezzo di.
- ↑ domandof voce antica per dimanda.
- ↑ A conseguir chiarezza, e ajutati dal testo latino, abbiamo posto ai cono in cambio di avea, che era nella impressione fiorentina.
- ↑ legamento ) è adoperato per confederazione, lega; ma in questo sentimento è voce antica non registrata, nè vorremmo si registrasse.
- ↑ molto o/tassa/o si rammollò) Primamente si noti qiteli* allassato adj. dal verboallassare, che è lo stesso che stracco, lasso, ma è voce antica da non usare; poi il verbo rammollarc, il qual propriamente significa far molle, ma qui è usato metaforicamente per piegare, indurre a far checchessia.
- ↑ si potea comporr ere e pacificare) Componere è voce antica, che oggi si dice comporrei ed è qui adoperata in sentimento di pacificare, riconciliare, mettere accordo; ed elegantemente si adopera in questo senso.
- ↑ la pace conventa) La slampa leggea: la pace con verità ec.; pacem conventam ha il latino. L’osservò il Puoti, e non s’ardì di mutare; il Beiti rifermò del suo parere la correzione: però l’abbiamo, senza più esitazione, sostituita uel testo.
- ↑ li tradisse Siila) Vedi alla pag. 97, n. 5.
- ↑ rimossi tutti altri) E rimossi ec. leggeasi nella stampa. Col consiglio del Belli e con l’autorità del lesto Ialino, si è lolla IV, modificando alquanto la punteggiatura delle passate stampe.
- ↑ di colore, di movimento del corpo ) Confortati dal testo Ialino e dal consiglio del Betti, abbiamo così corretto la stampa che leggea: di colore del corpo, di movimento, ee.Kcco il t-slo latinowultu, colore, ac motu corporis pariter atque animo varius.
- ↑ secondo che lui parve, cioè secondo che a lui parve; perocché anticamente solevasi tacere il segnacaso avanti a lui e a loro; ed oggi solo avanti a loro si può così fare.
- ↑ ordinò il tradimento, cioè dispose ec.
di nostra lingua, e vale essere in errore, in ingonna; e dicesì ancora andare errato, che vale il medesimo. Il Sacchetti, nov. 1315, disse: e mi pare che voi siate forte errati.
pure Dante, Iof. 6: Edio a lui: ancor vo9 che m’insegni, E che di più parlar mi facci dono.
del testo latino abbiam sostituito ferina, pensandoci altresì che molto agevolmente sonosi potute scambiare le lettere di questa parola.
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