Gnefro
che cagava accovacciato nella borsa di un prelato,
quel pretaccio si adirò: Alìbabbà mimì e cocò! »
Lo gnefro è una creatura leggendaria tipica della cultura popolare dell'Umbria; i più ci scuseranno per aver usato le parole "cultura" e "Umbria" nella stessa frase. In particolare vive nella zona della Valnegrina, in gruppi più o meno numerosi nei pressi della cascata delle Marmore, da loro chiamata Gran Burrone. Secondo la tradizione popolare è di bassa statura, si muove ricurvo su se stesso, ha grosse orecchie sporgenti e piccoli occhietti cattivi, indossa sempre un cappello a punta. Proviamo a visualizzare mentalmente Giulio Andreotti all'asilo col cappello da somaro, dovremmo esserci. È di fatto assimilabile ad un folletto, parla il dialetto dei folletti, si muove come uno di loro, sulla carta d'identità c'è scritto "Professione: Folletto", insomma è un cazzo di folletto a tutti gli effetti, e a termine di legge[1]. Lui però ci tiene alla differenza e, come ben sanno gli abitanti della zona, "Mai contraddire uno gnefro!".
Etimologia
Il termine gnefro è l'anagramma di fregno, termine quest'ultimo che abbraccia due scuole di pensiero:
- quando viene usato nella frase "Aho! Mario è proprio fregno!" sottintende la propensione di Mario alla paraculata, all'uso oculato di una sottile furbizia, ed è paradossalmente in contrasto con l'accrescitivo "fregnone", che testimonia stupidità;
- inserito nell'asserzione "Sei proprio un fregno buffo" assume invece il significato di curioso personaggio dal comportamento bislacco.
Il motivo che ha reso necessario trovare una nuova parola è che lo grefro aggrega entrambe le caratteristiche, ossia è uno strampalato omuncolo dedito agli scherzi che se la cava furbescamente. Qualcuno potrà obiettare che esisteva già il termine "rompicoglioni", ma qui non ci trova d'accordo per due motivi:
- innanzitutto è troppo volgare, brutta testa di cazzo;
- usarlo per apostrofare uno gnefro equivale a dare un calcio nelle palle di un rinoceronte, in piena savana e con l'albero più vicino a sette chilometri.
Comportamento
Il professor Mūḩsin Fiḩammadiev, massimo gnefrologo del Zabizistan, ha osservato per nove anni alcuni gnefri nei pressi di Spoleto. La necessità di studiarli in Italia era motivata da un lato per la totale assenza di tali esseri nel suo paese, dall'altro perché la sua amante gestiva una tabaccheria a Perugia e non poteva spostarsi agevolmente. Grazie a lui, al suo nutrito archivio fotografico, e al puntualissimo diario, oggi sappiamo molto dello gnefro (e anche delle perversioni sessuali delle tabaccaie di Perugia).
Stando alle testimonianze appare ai viandanti nel bosco che costeggia le sponde del Negra, esclusivamente di notte. Per quale assurdo motivo un tizio debba recarsi da solo (a notte fonda e a piedi) in un bosco non s'è mai capito, di solito succede solo nei film horror, e finisce puntualmente male. Lo gnefro si presenta a volte con l'aspetto di un bambino grazioso, altre con le fattezze di un piccolo gnomo con pelle cresposa. Nel primo caso meglio non importunarlo, con i minori non si scherza e non conviene sperare che finisca, come per altri, con "il fatto non costituisce reato". C'è anche chi afferma di averli visti ballare attorno al fuoco di un copertone, agghindati con calze a rete e pelliccetta ecologica, ma il mondo accademico gli ha revocato i fondi per la ricerca e li ha etichettati come "inconcludenti visionari", sminuendo così la loro rigorosa indagine antropologica.
Le leggende narrano che gli gnefri si divertano a importunare i viandanti
solitari con piccoli dispetti, finalizzati per lo più a spaventarli, senza però arrecare danni reali. Grazie ai loro piccoli poteri magici posso tramutare le persone in fagiani, in molti casi è un miglioramento.
Alcuni li considerano veri e propri folletti protettori delle case, infatti la maggior parte di loro per campare installa antifurto per abitazioni, mentre il ramo originario della Zingaria è nel settore pulizie rumorose.